Recensione redatta da Valerkis
I Comencini sono un nome da custodire per il cinema italiano, prima con Luigi e per arrivare alle figlie Cristina e Francesca, che hanno deciso di seguire le orme del padre nella regia e poi c’è anche Paola, scenografa e costumista. Non conoscevo che tipologia fosse la regia di Francesca Comencini, anche se ho visto il documentario che fece sulla vicenda di Carlo Giuliani avvenuta al G8 del 2001. Ma questa è un’altra vicenda.
La produzione italo-francese, tra cui troviamo anche Marco Bellocchio tra i produttori, ha voluto dare spazio alla storia personale di Francesca ed esaltare cosí la sua vicenda inoltre raccontando una società e una generazione che viveva nell’incertezza, dove l’escamotage per andare avanti erano la protesta e l’assunzione di qualcosa che può portare addirittura alle cause peggiori.
Quindi, è la storia di Francesca (interpretata da una bravissima Romana Maggiora Vergano per la parte adulta e per la parte da bambina da Anna Mangiocavallo) e del suo rapporto con il padre, Luigi (interpretato da un bravissimo Fabrizio Gifuni) e delle vicende che li riguardano. Si passa dai set cinematografici del padre per finire ad un viaggio insieme a Parigi per sfuggire da tutto il male che li stava influenzando. La storia di questo film passa dal cinema alla realtà e che finalmente trova il risvolto definitivo, mettendo entrambi al pari in ogni senso.
Francesca Comencini gioca la carta della sua autobiografia, costruendo registicamente due personaggi così uniti e così distanti e riesce persino a coordinare i due protagonisti, aldilà della bravura di base da parte della Vergano e di Gifuni. La regia è buona sicuramente, anche se potevo aspettarmi un maggior tocco di autenticità registica. Effettivamente non era questo l’obiettivo, perché si tratta di un film autobiografico e perché parliamo di un’altra generazione di fare cinema in Italia rispetto a quando lo faceva Luigi, secondo me. Non è un film da tralasciare nella visione perché ti porta in un periodo storico che ha influenzato moltissimo i due protagonisti e cercando alla fine di sostenersi e riuscire così a trovare la giusta strada. La fotografia di Luca Bigazzi rende il tutto alquanto autentico e il montaggio (Francesca Calvelli, Stefano Mariotti), in questo film, risulta importante per il cambio di alcune scene inserendo quella che chiamerei “metafora della balena”. Ognuno, se vedete il film, può interpretarla come vuole. Anche i messaggi che vuole tramandare questo film sono importanti e non da sottovalutare, in particolare sugli effetti negativi che la droga può scatenare.
Vorrei puntualizzare come mi abbia colpito l’interpretazione della Vergano, nella scena cuore di tutta la storia, durante una crisi nervosa. Questo è un grande salto di qualità nella sua dote attoriale, riuscendo ad entrare perfettamente nella parte.
La Comencini ha esaltato molto il periodo buio degli anni di piombo creando incertezza, instabilità e dispersione nei protagonisti ma con la voglia viva di rimettersi in gioco affrontando un bel viaggio insieme e con la complicità che li distingue. Questo è quello che mi ha trasmesso il film di Francesca Comencini, così profondo, personale con un'attenzione ai messaggi da tramandare e una bella dedica al cinema, alla sua storia e a suo padre, che l’ha seguita nel suo percorso, arrivando ad oggi con questo film da non sottovalutare in alcun modo.