mercoledì 15 maggio 2024

Signori siamo a Broadway e sicuramente sarà un successo!


Recensione redatta da Valerkis


Siamo nel 1994. Invece no, a livello di trama siamo negli anni ’30 del Novecento. Nel cuore degli Stati Uniti, dove la quotidianità è influenzata da vari aspetti, a partire da un’imminente crisi in arrivo. Ma non sarà questa la caratteristica principale del film, ovvero sarà tutt’altro. Woody Allen nel 1994 ancora determinava la sua regia puramente satirica e movimentata al suo tempo. 

David Shayne (John Cusack) è un drammaturgo che vuole portare in scena il suo nuovo spettacolo e l’impresario non ha minimamente intenzione di produrlo. Però gli troverà chi può farlo al suo posto, il gangster Nick Valenti (Joe Viterelli). Un gangster? Si, esatto. Ma ad una condizione: far recitare Olive Neal (Jennifer Tilly), una ballerina di un nightclub. Shayne si trova in pieno disaccordo e poi, convinto del buon risultato che potrebbe uscire fuori, decide di portare in scena questo spettacolo finanziato attraverso i malaffari. Nonostante ciò, Shayne è orgoglioso di far recitare un’attrice di fama come Helen Sinclair (Dianne Wiest), stella di Broadway. Inoltre ci saranno altri personaggi importanti come l’attore Warner Purcell (Jim Broadbent) e Cheech, lo scagnozzo del boss Valenti che controllerà e accompagnerà Olive alle prove. Tutti i personaggi alla fine vogliono raggiungere il proprio scopo, definendo questa vicenda puramente corale e assai movimentata.

Come ho detto ora, risulta corale, dato che ogni personaggio si incontra con l’altro ed è movimentata perché la vicenda affronta il lato teatrale della storia; il lato personale e contorto del protagonista e il lato più drastico, cioè quello della gang e di come si sono occupati della messa in scena. Perlopiù tutta la storia risulta essere una messa in scena, secondo me! Ognuno interpreta una parte nella parte e Woody Allen fa risaltare registicamente questo aspetto, devo dire notevole agli occhi dello spettatore. John Cusack interpreta un personaggio che ne esce fuori da questa storia a tutti gli effetti vincitore sentimentalmente e perdente nel lato artistico. Dianne Wiest è stata fenomenale, tanto da vincere il Premio Oscar come miglior attrice non protagonista nel 1995, interpretando un personaggio bellissimo, a mio parere, che assume ogni sfumatura di una donna di teatro, giocando con le proprie maschere e con le enfasi giuste da mostrare agli occhi del personaggio di David Shayne, come attrice e come persona. Gli altri sono stati perfetti boss o scagnozzi, perfette imbranate che si ritrovano su un palcoscenico all'improvviso, oppure dei buoni personaggi contribuenti alla corretta andatura della vicenda. Insomma la parte recitativa è azzeccata. Sia il soggetto sia la sceneggiatura (scritti entrambi dallo stesso Allen e Douglas McGrath) costituiscono una vicenda non troppo articolata di fondo, ma inserendo elementi dove avevano l’importante compito di tenere in piedi il contenuto presente nella scrittura, determinando le conseguenze previste. I personaggi sono l’elemento chiave della sceneggiatura. A livello estetico mi esprimo ben poco, dato che la fotografia è risultata adatta e la colonna sonora pienamente caratterizzata dal jazz che accompagna le scene e nel susseguirsi degli eventi. Classico di Woody Allen.

Si tratta di una bella storia, di una vicenda non troppo complessa ma non da sottovalutare, sia per l’importanza del personaggio in sé e di come la vita, a volte, viene coinvolta in determinati eventi, che alla fine ti rendi conto non vale la pena perseguire. Si è presentata all’interno un’esecuzione difficile, strana, improponibile, però una cosa è certa…sarà sicuramente un successo!

giovedì 25 aprile 2024

And I go back to…black


Recensione redatta da Valerkis

Stavo pensando che su questo blog dovremo affrontare più film che trattano di musica e del mondo che le appartiene. Credo attiri molte persone perché accomuna i gusti di tutti, o quasi. Avevamo parlato dei “Beatles” con Rickers e oggi posso affrontare l’argomento della musica attraverso la recensione di questo film, appena uscito nelle sale.

Non so se vale la pena spiegare al volo la trama, ma semplicemente è ambientato negli anni in cui a Londra e dintorni si affermò una nuova voce femminile, Amy Winehouse (Marisa Abela).  Aveva sicuramente i mezzi giusti per mostrarsi al pubblico, che l'hanno apprezzata sempre di più, lasciando un segno nella storia della musica britannica, internazionale e del genere a cui ha appartenuta, il jazz (come stili nominano anche il soul e il contemporary R&B). Inoltre, la protagonista nella sua vita ha incontrato ogni tipologia di persona, sia chi l’ha fatta soffrire, sia chi l’ha apprezzata per ogni sua tonalità e sia per chi ha puntato su di lei come artista, offrendole accordi e portandola in alto alle classifiche.

La regia mi ha stupito nel nome di Sam Taylor-Johnson (regista del film “Cinquanta sfumature di grigio”), proprio perché me la ricordavo nella sua mediocre esecuzione passata, cosa che non ho trovato qui. Non che sia eccezionale questo film, ma neanche è stato troppo superficiale. Sam Taylor-Johnson riesce a dirigere una vicenda che racchiude ogni tonalità del periodo di punta di Amy Winehouse, nel bene e nel male. La sceneggiatura, scritta da Matt Greenhalgh, non l’ho trovata troppo articolata e credo non era l’obiettivo del film raccontare la storia della Winehouse in maniera tale da annoiare lo spettatore, rendendo il tutto alquanto troppo ricco di dettagli, con il rischio di risultare probabilmente eccessivo. Sicuramente lo sceneggiatore ha dovuto scrivere qualcosa che garantiva piena responsabilità nel raccontare un personaggio che la stampa ha descritto in altra maniera, uscendo dal lato artistico ed entrando in quello personale. Questo film lo fa e racconta non solo i problemi principali che la protagonista ha avuto, ma anche delle perdite e dei momenti di disagio interiore, in cui si è ritrovata, incluse le ferite amorose che l'hanno condizionata completamente, ma dandole gli spunti per i suoi fenomenali testi. 

Ora, comprendo i gusti che ognuno di noi può avere sulla musica come sul cinema e non vorrei mischiare critica musicale con critica cinematografica. Io sono qui per recensire questo film e non aprire un dibattito sul jazz o su Amy Winehouse in sé. Ma una cosa è certa, nel suo breve periodo artistico ha segnato la storia di un genere e della musica internazionale e questo film lo esalta, come le varie tonalità della protagonista manifestate in ogni contesto. 

Tutto sommato è un film piacevole da vedere, ma nulla di troppo entusiasmante. Non è brutto, ma si poteva migliorare ancora soprattutto nel descrivere alcuni dettagli all'interno della vicenda e dal punto di vista della struttura scenica. Aldilà di ciò, magari avrei approfondito ancora di piú il lato artistico e ridotto qualcosa inerente il lato dove lei si autodistrugge. Nulla di particolarmente esagerato su quest’ultimo aspetto e lo reputo un pregio dal punto di vista registico, ma avrei lasciato da parte dei dettagli che forse potevano essere solamente accennati. Infine, risulta un buon lavoro firmato Sam Taylor-Johnson, con una Marisa Abeda che si conferma capace di reggere i panni di un personaggio imponente e con un carattere molto particolare come quello di Amy Winehouse. Spero sia un trampolino di lancio verso ulteriori interpretazioni di questo genere perché possa spingersi a migliorare ancora, come tutto il resto che ha determinato la struttura di un film comunque consigliato per conoscere una storia che non finisce bene (si sa) ma raccontando un personaggio che ha portato la cultura musicale di una nazione in alto e in pochissimo tempo.


sabato 20 aprile 2024

Gli esordi che mi piacciono!


Recensione redatta da Valerkis

Forse questo è uno di quei momenti del cinema italiano che non ci aspettavamo, ma di cui forse avevamo bisogno. Claudio Bisio, che all’età di 67 anni, diventa regista esordiente con un film che fa riflettere lo spettatore e gioca con sfumature lievi e tragiche di un periodo molto drammatico come quello del Fascismo e della Seconda Guerra Mondiale.

Il film racconta la vicenda di quattro bambini, quattro amici: Italo (Vincenzo Sebastiani), Cosimo (Alessio Di Domenicantonio), Vanda (Carlotta De Leonardis) e Riccardo (Lorenzo McGovern Zaini). Italo è figlio del Federale Barocci (Claudio Bisio), Cosimo è nipote di un lavoratore comune, Vanda è un’orfana che vive in un orfanotrofio delle suore, accompagnata nelle sue giornate da suor Agnese (Marianna Fontana) e poi c’è Riccardo, ebreo. Nonostante ciò riesce ad entrare nel gruppo dei suoi amici, risultando determinato e pronto alle sfide lanciate dal resto del gruppo e specificando come si possa considerare “ariano” nonostante il suo credo. Insieme trascorrono le loro giornate come solo un bambino può vivere una determinata realtà: nella piena semplicità con quel retrogusto amaro di tensione e preoccupazione. Quando Riccardo un giorno sparisce, i protagonisti partono per una missione che avrà come obiettivo la salvezza del loro amico e la determinazione del loro carattere e della loro forza che passa per ogni confine, sia regionale sia nell’incontrare ostacoli figurativi veri e propri. 

Esteticamente risulta un film semplice, sia come colonna sonora (curata da Pivio e Aldo De Scalzi) sia come fotografia (curata da Italo Petriccione) che sicuramente accompagnano nella giusta proporzione tutta quanta la vicenda. In questa recensione vorrei parlare più del film in sé che della sceneggiatura e della regia, quindi vorrei lasciare un parere generico e non troppo sull’analisi tecnica dell’esecuzione e della scrittura. Personalmente, è un film che mi ha coinvolto e colpito pienamente per essere una regia esordiente e secondo me l’età gioca tanto. Quando sei giovane, le “lacune dell’esordio” sono più rilevanti; più o meno nella mezz’età, avendo una determinata esperienza si possiede maggior conoscenza da trasmettere, che risalta maggiormente nella storia e quindi costituisce una vicenda solida e organica, nel suo complesso. Si ha maggior responsabilità in ciò che si vuole trasmettere. In questo caso si potrebbe pensare a lungometraggi che non risultano ben elaborati, invece è un film con una struttura equilibrata e anche se non risulta molto articolata e credo non rispecchia l’etica del lavoro compiuto da Bisio, riuscito ad esordire registicamente con un film che racconta la visione reale, da parte dei bambini, di un periodo storico turbolento, dove nonostante ciò, l’amicizia li ha uniti e li ha tenuti vivi. Le interpretazioni fatte dai protagonisti sono state ottime, in base al comportamento di ogni singolo personaggio e sono state in assoluto la colonna portante del film. Negli sguardi dei giovani attori, si intravedevano come erano pienamente convinti di quello che stavano facendo, grazie proprio a chi dietro la macchina da presa li ha completamente coinvolti nella visione da adottare, in una storia considerata lieve e turbolenta al suo tempo, come detto prima.

Sono contento che sia stato candidato ai David Giovani di quest’anno, perché significa che il messaggio alle nuove generazioni è arrivato. Confermo, il messaggio che questo film vuole lasciare arriva e con questo posso dire che Claudio Bisio esegue un ottimo esordio alla regia, imprimendo caratteri, sfide e rimembranze che non possiamo lasciare in secondo piano e i fattori che hanno caratterizzato il tutto sono stati i seguenti: amicizia, coraggio, inarrestabilità per ottenere ciò che volevano, ovvero essere ricordati per aiutare qualcuno a cui si tiene veramente, sacrificando molto e tutto.


giovedì 18 aprile 2024

Un emblema del Made in Italy



Recensione redatta da Valerkis

Conoscere un paese come l’Italia significa sapere ciò che abbiamo inventato, scoperto e costruito. Si parla tanto del famoso “Made In Italy”, che cercano di conservare e diffondere a livello internazionale e non solo per elementi come la pasta e la pizza.

Il mondo dei motori è anche italiano e immagino subito a chi starete pensando: alla Ferrari? Mi sembra ovvio. Se vi dicessi che oggi si parlerà del suo concorrente e avversario principale, dal punto di vista del mercato a cui appartengono? Proprio lui, Lamborghini.

Al volo con la trama: finita la Grande Guerra si ritorna in patria, precisamente a Cento, provincia di Ferrara (dista 53 km da Maranello, dove è localizzata la Ferrari) e conosciamo subito i due protagonisti, Matteo (interpretato da Matteo Leoni) e la mente di tutto quanto, Ferruccio Lamborghini (per la parte da giovane interpretata da Romano Reggiani e poi da Frank Grillo). Poi c’è la compagna dell’epoca di Ferruccio, Clelia Monti (interpretata da Hannah van der Westhuysen), aiutante morale e figura imponente per il protagonista, il padre Antonio (intepretato da Fortunato Cerlino) che lo aiutò assumendosi pienamente il rischio che c’era da incorrere e la successiva compagna di Ferruccio, Annita (per la parte da giovane interpretata da Chiara Primavesi e poi da Mira Sorvino). Dagli anni ’50 agli anni ’70 l’azienda di Ferruccio è diventata sempre più predominante nel mercato dei motori, passando dai trattori alle auto sportive vere e proprie, ottenendo una notorietà assoluta e diventando ciò per cui lo conosciamo oggi.

Non parliamo tanto dei personaggi in sé, ma quanto del film. Penso che se bisogna raccontare la storia di un personaggio come Ferruccio Lamborghini, bisognerebbe fare un film quasi perfetto e ben dettagliato nella ricerca e nella storia, perché anche “romanzare” troppo si rischia di sfumare quel pizzico di realtà che si vorrebbe conoscere. Sicuramente è stato un personaggio imponente del “Made in Italy” con i suoi modelli di auto e trattori, ma non è stato solo questo. 

La prima metà del film, mi ha coinvolto. A mio avviso non è uno splendore, quindi non vi aspettate chissà cosa, ma la prima parte è stata gradevole, interessante e comunque fa riflettere su alcuni aspetti di come intraprendere la vita, al costo di mettersi in pericolo o di sbagliare, cambiando e diventando quello per cui si era predisposti. La seconda parte ha praticamente rovinato tutto il prodotto ed è stato come quando costruisci una torre e levando il mattoncino portante crolla tutto. È stato fatto passare il messaggio che la Lamborghini, dopo la crisi energetica degli anni ’70, è stata decretata fallita e che la sua storia fosse finita lí, quando negli anni ’80 è stata ricomprata e gestita da soggetti terzi ed esterni alla famiglia Lamborghini, riportando il marchio attivamente sul mercato. Comunque avrei approfondito maggiormente l’aspetto inerente al “risollevamento” dell’azienda, perché è sicuramente importante per la sua storia e comunque è un marchio che rimane ancora oggi presente e conosciuto in tutto il globo. Invece hanno preferito far vedere che Ferruccio ha mollato tutto per dedicarsi alla cura di sé, o meglio come si dice “ritirato a vita privata”. 

Peccato per questo finale immotivato e quasi senza senso, perché poteva essere un film degno di raccontare una storia tutta italiana che ha visto dei momenti floridi e dei momenti bui. Ma questa è la vita, purtroppo, non va sempre come noi vorremmo che andasse. Il film è riuscito a trasmetterlo questo, ma ho apprezzato anche come Ferruccio era un creativo e un personaggio motivato a restare attivo sul mercato, proponendo dei modelli che sono diventati storici. Chissà nell’aldilà cosa stará combinando! Forse starà  gareggiando con una delle sue opere! Gli attori potevano spingersi di più a trasmettere la propria storia e così addentrarsi maggiormente nella parte e farci capire che di banale non doveva esserci nulla. Sono state interpretazioni decenti, ma non particolarmente impegnate, secondo me.

Fotografia ben riuscita quella di Blasco Giurato e sia la regia sia la sceneggiatura (tratta dal libro scritto dal figlio di Ferruccio, Tonino) sono risultate molto semplici (film diretto da Bobby Moresco). Sia la regia sia la sceneggiatura potevano essere più dettagliate e il problema si poteva risolvere semplicemente credendoci di più del dovuto in questa storia, comunque sceneggiata discretamente fino alla seconda metà, risultata senza senso e con la fretta di finire di raccontare questa vicenda che ha segnato l’emblema del “Made in Italy” e in particolare interessante agli amanti dei motori.


P.S.: anch’io confermo che la Miura è una bestia!


Sitografia:https://www.museolamborghini.com/it/la-storia/#storia7


martedì 19 marzo 2024

Un’altra volta sarà un’altra volta. Adesso è adesso.



Recensione redatta da Valerkis

Tra i candidati quest’anno al premio Oscar come miglior film internazionale, c’è stato anche questo film diretto dal regista tedesco Wim Wenders per una produzione giapponese. La vicenda ci porta in una storia che affronta la quotidianità in una maniera più frivola e diretta del previsto.

Hirayama (Koji Yakusho) è un addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo e si considera da subito una persona precisa in quello che fa quotidianamente. Il tutto è ripetitivo ogni giorno. Lui lavora e si occupa principalmente di quello. Inoltre riesce anche a catturare qualche attimo, scattando fotografie per poi svilupparle. Ogni tanto si concede anche di prendersi qualcosa da bere in un bar, ascolta musica, legge libri e poi ripete il suo giro. Per dei momenti non sarà solo, ci saranno a fare compagnia il collega Takashi (Tokio Emoto) e sua nipote Niko (Arisa Nakano) che lo verrà a trovare e trascorrere così delle giornate insieme.

Alla fine della visione di questo film, mi sono ritrovato di fronte al chiarimento di alcuni dubbi posti su tutto quanto. Sinceramente devo dire di essere d’accordo sul fatto che non abbia vinto l’Oscar perché, a mio parere, risulta essere una storia indecifrabile su determinati aspetti, anzi su uno in particolare: i sogni. In questa vicenda sono frammentati e indicano il passaggio tra il reale e l’irreale, tra un giorno e l’altro. Quando Hirayama esce fuori dal sogno, ritorna alla sua vita ed è contento di godersi…il momento. Godersi l’attimo. Quello che a volte dimentichiamo. Spesso non apprezziamo molte cose importanti e semplici che veramente la vita potrebbe risultare meno complicata di quanto lo sia effettivamente. Ci dimentichiamo, per l'appunto, della semplicità e includerla, a volte, non è semplice. Hirayama è un bellissimo personaggio, vorrei conoscerlo per davvero per quanto mi è piaciuto: preciso, eligio al lavoro, analogico (non ha i social, lo smartphone, ascolta le audiocassette e ha ancora la macchinetta con i rullini. Lo adoro!) e soprattutto di poche parole. Il silenzio, a volte ci dimentichiamo anche di quello, criticandolo troppo e apprezzandolo sempre di meno. La sua vita piace e a me è piaciuta la bellissima interpretazione di Koji Yakusho (congratulazioni per aver vinto a Cannes nel 2023, la Palma d’Oro come miglior attore). Wim Wenders e Takuma Takasaki scrivono insieme una sceneggiatura che ha sicuramente degli aspetti da rivedere per decifrare meglio dei momenti incomprensibili all’occhio dello spettatore e non comprendendo molti dettagli del protagonista, ma apprezzando sicuramente la sua quotidianità diversa dalla massa. Avrei arricchito la costruzione del protagonista e di come è arrivato a vivere in solitudine e in quel determinato stile di vita. Devo dire che, in fondo, mi è piaciuto assistere a questo tipo di mistero perché non risulta troppo predominante ma da perfetto sfondo alla riflessione posta sulla vicenda. Vuole essere sia una sceneggiatura semplice e sia complessa, che non si definisce e purtroppo non ha funzionato al 100%. Sono stato contento dell’idea presa dai due sceneggiatori di autoprodursi questo film e quindi significa che entrambi hanno creduto notevolmente al loro progetto, portandolo a termine e realizzando tutte le riprese necessarie. Apprezzato! 

La fotografia curata da Franz Lustig assume un duplice aspetto: la regia viene accompagnata da essa e diventa anche parte integrante della vicenda, perché il nostro protagonista la esercita immortalando l’attimo e la sua esistenza sul pianeta. La fotografia è un’arte! 

Le interpretazioni sono notevoli, soprattutto quelle di Yakusho e Nakano. Della Nakano ho apprezzato la sua curiosità per lo zio misterioso e di poche parole che quotidianamente vuole creare del bene alla collettività, rimanendo proporzionata. Infine, ho visto un film del quale consiglierei, comunque, la visione perché non posso dire che sia stato brutto. Dovremo concederci determinati momenti che creano del personale e irripetibile benessere e apprezzare quelle piccole cose che ci sfuggono e dimentichiamo, rischiando di far morire così la loro essenza. Wim Wenders è riuscito in questo ed era principalmente quello che voleva fare e il consiglio che vi posso dare, è quello di cercare di analizzare i dettagli sulla semplice quotidianità che ci sfugge facilmente. 

Mi verrebbe da ripensare alla formula del successo secondo Einstein per un attimo e credo proprio che Hirayama, in questa formula, rientra perfettamente e allora posso dire che sicuramente avrà ottenuto il successo meritato (cosa che effettivamente è stato per l’attore). Lavoro, nel complesso, buono in ogni forma che la semplicità riesce ad assumere.

giovedì 29 febbraio 2024

Una donna che colmi le sue fragilità in...dieci minuti



Recensione redatta da Valerkis

Anche Maria Sole Tognazzi, con il nome che porta, si prende una piccola parte degna di chiamarsi “cinema italiano”, tornando a dirigere un film dopo quasi dieci anni. La storia di questo film racconta di una donna che vive diverse situazioni, come dice il titolo, per “dieci minuti”, cercando di riprendere così la giusta strada da percorrere.

Bianca (Barbara Ronchi) è la nostra protagonista, alle prese con un crollo totale della sua vita. Non sa che strada percorrere, non sa cosa fare. Nella vicenda c'è Giovanna Brabanti (Margherita Buy) che sarà la sua aiutante dal punto di vista clinico, anche se si comporta in modo tale da non sembrare la classica dottoressa che ti segna le cure da prendere. Diventa più una consigliera. Poi c’è Jasmine (Fotinì Peluso), sua sorella, considerata un’altra aiutante rilevante per Bianca e con la sua visione aperta e giovanile, vuole cercare di aiutarla a risolvere il suo problema. Bianca si circonda così di molte persone che nel suo percorso di ripresa daranno un contributo, quando infine un semplice chiarimento porterà Bianca ad un punto che può ritenersi finalmente libera dai suoi maledetti malanni.

Vorrei, prima di tutto, parlare degli attori e delle loro interpretazioni e passare poi agli aspetti estetici e tenendo per ultimo il lato registico e la sceneggiatura.

Barbara Ronchi ha interpretato un personaggio affranto e distrutto a causa di vari fattori che hanno cambiato le sue giornate e mi è piaciuta veramente tanto, perché tra intonazione cupa ed espressioni visive di smarrimento determina un bel personaggio con i suoi numerosi turbamenti e dubbi. Margherita Buy, più va avanti e più si definisce come attrice, con un personaggio diverso da molti interpretati da lei e questo l’ho apprezzato notevolmente anche sul piano registico, ovvero di come la Tognazzi abbia sempre trovato alla Buy l’ottimo personaggio da interpretare per estrapolare appieno tutte le sue capacità recitative. Anche il personaggio di Jasmine mi è piaciuto e l’interpretazione della Peluso mi è sembrata conforme anche all’età mostrata, così libera ma così premurosa. Gli altri personaggi sono stati da sfondo alla vicenda di Bianca, nel bene e nel male e comunque sono state interpretazioni più che proporzionali. 

La fotografia di Luigi Martinucci è stata semplice ma in alcuni momenti ha impresso attimi, sguardi e sfumature di belle vedute di città come Roma e Palermo. La colonna sonora di Andrea Farri accompagna il tutto con dei tristi violini, anche inquietanti per certi versi e non sono presenti solo violini. Comunque apprezzata pienamente. Per un momento ho trovato notevole anche il montaggio, curato da Chiara Griziotti, soprattutto quando ha dovuto creare in una scena un effetto di confusione, sovrapponendo gli sguardi della protagonista.

Adesso si può parlare di regia e sceneggiatura. Per quanto riguarda la sceneggiatura, scritta dalla regista e da Francesca Archibugi, ha definito una storia alquanto “agrodolce”. Ecco come la definirei. Ti lascia dell’amaro, ma tanto, perché immergendoti nella disperazione di Bianca comprendi di vivere in una realtà distorta, malata e che non ti solleva, se non possiedi degli input per risolvere il problema e il dolce, sta nel fatto che grazie alla cerchia di persone in cui si ritrova e a quei “dieci minuti” di follia, felicità, sfogo o quello che volete voi, la protagonista si ritrova in una condizione nella quale si sente soddisfatta, dove il cambio d’umore ribalta in meglio la visione della realtà. Ho apprezzato anche alcuni riferimenti fatti dalla protagonista e dalla dottoressa Brabanti, passando tra Calvino e Tolstoj, che possono essere coerenti nel definire meglio la vicenda sul come andare avanti per superare le proprie fragilità e sul percorso che la protagonista deve intraprendere. La Archibugi si è fatta riconoscere grazie ai flashback, rappresentati nel suo pieno stile. Comprendo pienamente l’utilità per capire la causa dei problemi di Bianca, ma non so se sono stati inseriti al momento giusto. A mio parere, sarebbero stati più opportuni farli vedere entro la prima mezz’ora, ma con un’alta probabilità di cambiare l’andamento dei fatti, in base a come li abbiamo visti realmente. In generale, su degli aspetti si poteva migliorare parecchio, partendo dai flashback stessi che non sono stati esaustivi con i dettagli nel far capire immediatamente il perché Bianca è arrivata al punto di come l’abbiamo conosciuta al primo minuto. Insomma tendono a non darti un’idea chiara della pre-vicenda nell’immediato. Magari avrei approfondito di più il personaggio di Jasmine, forse più presente e più vicina a Bianca di quanto si è visto. Per quanto riguarda la regia di Maria Sole Tognazzi, io mi ricordavo nei film passati come riusciva a risaltare la figura della donna protagonista in ogni forma e in ogni personalità, cosa che è riuscita anche qui con la Ronchi e l'attrice è riuscita a trasmetterlo, quindi bravissima. La regista vuole lasciare il messaggio di come un personaggio, alla fine, semplice rappresenti tante donne che riescono a risultare vincenti nei propri passi e nelle proprie scelte, superando le proprie fragilità. Discorso che vale in generale, per tutti, ma non è una coincidenza che la protagonista sia proprio una donna, secondo me. 

Bel film che va visto, apprezzato, capito e infine risolto come Bianca, tutto sommato, riesce. Non dura dieci minuti il film, lo so, ma dedicatevi cento minuti della vostra vita a questa storia interessante che se strutturata meglio, poteva regalarci qualcosa di veramente entusiasmante che arricchisce il cinema italiano contemporaneo.

domenica 25 febbraio 2024

Abbi paura…abbi molta paura!


Recensione redatta da Valerkis

Con questo film vorrei cominciare a trattare sul blog un regista riconosciuto nel suo genere: David Cronenberg. Ho deciso di recuperare un po’ del suo repertorio e spero di riuscirci. Partirò con questo film, visto in tv qualche sera fa e non mi sarei aspettato un coinvolgimento così notevole data la sua strana e forse anche surreale (per quell’epoca) idea da portare in sceneggiatura.

Seth Brundle (Jeff Goldblum) è uno scienziato che incontra la giornalista Veronica “Ronnie” Quaife (Geena Davis) e tra i due nasce subito un “feeling” che si tramuterà in qualcosa di puramente sentimentale. Nel corso della conoscenza, Ronnie si addentra nella ricerca e nell’invenzione di Seth, che potrebbe cambiare definitivamente la realtà: il teletrasporto. Ma potrebbe diventare qualcosa che da un semplice decifrare di codici e immagini tra uno spazio e l’altro, un’interferenza può generare un cambiamento stratosferico della genetica, rivoluzionaria alquanto spaventosa.

Cronenberg ha curato regia e sceneggiatura come meglio poteva fare in questo film. La sua regia mi ha lasciato impresso qualcosa di spaventoso, di surreale e di ingegnoso che ha ridefinito lo stile fantascientifico, che si stava sviluppando bene in quegli anni e il genere horror, messi insieme. Insomma, il suo lavoro è quello di far trasformare umani in mostri e personalmente ho ritrovato un aspetto, secondo me, notato da pochissimi: quello che gli succede al protagonista si potrebbe associare, a livello intrinseco, ad un messaggio che va a colpire metaforicamente persone, come gli scienziati, spesso criticate continuamente come i creatori di conseguenze disastrose per la comunità. Ma non voglio dire che gli scienziati e i ricercatori creino solo danni. I due protagonisti, con le proprie interpretazioni, coinvolgono lo spettatore e quindi complimenti sia a Goldblum sia alla Davis, anche se lui è riuscito a giocare meglio con l’espressione facciale, assumendo così un’interpretazione più teatrale del previsto. Non togliendo nulla alla Davis, anche lei bravissima per il personaggio interpretato. A pensare che c’era stata una diatriba per il cast da scegliere, quanto per la regia e secondo me la scelta finale è stata decisamente buona per un film che consiglio di vedere assolutamente.

Anche io ho apprezzato la pellicola come molti di coloro che l’hanno vista, ovvero per gli effetti speciali dell’epoca, per la storia sentimentale e per l’interpretazione di Goldblum. Gli effetti speciali, curati da Chris Walas e Hoyt Yeatman, hanno dimostrato la propria predominanza anche perché in quegli anni erano unici nel loro essere. La colonna sonora, curata da Howard Shore, ha accompagnato notevolmente la vicenda e personalmente mi è piaciuta molto. Questo film vinse l’Oscar nel 1987 come miglior trucco e senza dubbio, Chris Walas e Stephan Dupuis, hanno fatto un lavoro lodevole soprattutto nel rappresentare il processo della metamorfosi. Si aggiudicò anche tre Saturn Award (miglior film horror, miglior attore e miglior trucco). Meritati, sicuramente!

La scena finale è toccante per la storia sentimentale che si è creata tra i due protagonisti e sarebbe anche impensabile, per un attimo, ma finisce nel modo più amoroso possibile con un enorme dubbio. È un finale aperto, ve lo dico subito! Altro aspetto nel film coinvolgente riguarda il fatto di come le nuove tecnologie presenti in questa storia hanno previsto quelle attuali, in primis il riconoscimento vocale. Parliamo del 1986.

Cronenberg, insieme a Charles Edward Pogue, firma una sceneggiatura che costituisce qualcosa di simbolico nel genere del “body horror”, nel bene e nel male e alla regia si presenta come un’autentica icona di questo genere, essendo puramente appassionato nel trasmetterci emozioni, situazioni e tecnologie avanzate in un’unica vicenda. La mia critica, infine, sta omaggiando un regista che vorrei approfondire nelle successive recensioni e un genere strano, surreale e spaventoso in ogni aspetto. Complimenti a tutti, storia che merita di essere vista!


sabato 17 febbraio 2024

I BEATLES AL CINEMA

Articolo redatto da Rickers


Marzo 1963. In Gran Bretagna esce “Please Please Me”, album d’esordio dei Beatles. Il primo lavoro del quartetto nativo di Liverpool ha un impatto talmente enorme da riuscire istantaneamente a catalizzare l’attenzione di migliaia di giovani inglesi. È un successo clamoroso, che viene rafforzato a novembre con l’uscita di “With the Beatles”, secondo capitolo dell’epopea musicale del quartetto. La popolarità del gruppo è in forte ascesa, in tutto il mondo. Dovunque vadano, i Beatles sono osannati a grido unico. È l’inizio della “Beatlemania”.


Contestualmente all’esplosione della “Beatlemania”, i quattro di Liverpool approdano anche al cinema. Risale al luglio 1964 “A Hard Day's Night” (noto in Italia come “Tutti per uno”), il primo film con protagonisti i quattro membri dei Beatles. 


Distribuito pochi giorni prima il lancio dell’omonimo terzo album del gruppo, “A Hard Day's Night”, prodotto United Artists per la regia di Richard Lester, è una pura celebrazione del fenomeno epocale della “Beatlemania”. Nel film, i quattro vengono seguiti in tutta una serie di avventure che fanno da contorno ad una loro attesissima esibizione televisiva. Tralasciando la natura meramente iconografica, il film si rivela un buon successo di pubblico e critica, contribuendo in modo rilevante ad accrescere la popolarità del quartetto.


Di tutt’altro calibro è il successivo “Help!” (noto in Italia come “Aiuto!”). Distribuito nelle sale ad agosto 1965, il film vede ancora la regia di Lester ma non riuscì ad ottenere lo stesso seguito del film precedente. Il film anticipa l’uscita dell’omonimo album, il quinto del gruppo.


“Magical Mystery Tour”, data la scarsa durata di 55 minuti, non viene distribuito in sala ma viene direttamente destinato alla televisione. Trasmesso per la prima volta nel dicembre del 1967, il film viene immediatamente bocciato dalla critica e dal pubblico. “Magical Mystery Tour”, film privo di una linearità vera e propria, mostra una serie di episodi, tra l'assurdo e il grottesco, vissuti da un gruppo di personaggi nel corso di un viaggio in autobus. 


Per i Beatles si tratta di un esperimento unico. “Magical Mystery Tour” è il primo (e unico) tentativo fatto dal gruppo di girare un film in completa autonomia. Il lavoro si rivela più complicato del previsto. Il raffazzonato misto tra musica, comico, onirico e psichedelico è fin troppo esile per un film.


“Yellow Submarine” (1968) è l’ultimo film con protagonisti i quattro dei Beatles, se si esclude il film documentario realizzato in occasione dell’ultimo concerto pubblico del gruppo.


“Yellow Submarine” è un film totalmente figlio del suo tempo, contemporaneo alla strabordante ondata del fenomeno della psichedelia di fine anni sessanta.

Il meraviglioso paese subacqueo di Pepperland, regno di musica e allegria, viene attaccato dai Blue Meanies, mostri umanoidi blu, che conquistano Pepperland con la forza delle armi, rendendo il paese silenzioso e triste. Il capitano Fred, sfuggito ai Blue Meanies, prende il suo sottomarino giallo e va a Liverpool, dove incontra i Beatles. Toccherà ai quattro liberare Pepperland dalla tristezza.


Distribuito dalla United Artists per la regia di George Dunning, “Yellow Submarine” è un film d’animazione che, nel panorama dell’epoca, riesce a distinguersi per la sua freschezza e novità grafica caratterizzata dalla creatività psichedelica tipica del gruppo. Le canzoni si fondono in un dualismo indissolubile con i disegni e l’animazione, volutamente anti-realistica ed a metà strada tra il surrealismo e lo psichedelico. 


“Yellow Submarine” è un successo massiccio di pubblico e critica, diventando fin da subito una perla del cinema d’animazione anni sessanta. In Italia arriverà l’anno successivo, nel luglio 1969.

mercoledì 14 febbraio 2024

Così surreale e strano ma così artistico


Recensione redatta da Valerkis

Nei giorni scorsi abbiamo avuto in testa al Box Office questo film, diretto da Yorgos Lanthimos, che ci offre una vicenda caratterizzata da varie sfumature e ha un susseguirsi di eventi che vanno dal surreale, all’artistico, all’erotico determinati da aspetti ricercati e studiati molto bene.

Bella (Emma Stone) vive insieme al dott. Godwin Baxter (Willem Dafoe) e comincia ad intraprendere i giusti comportamenti che le insegna per vivere nella “bella società” ma rimane sempre limitata alle quattro mura in cui risiede e a rare uscite campagnole sempre in compagnia sua e di Max McCandles (Ramy Youssef). Ad un punto arriva il personaggio di Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo) che prenderà Bella e la porterà in giro, a scoprire così il mondo e quella che sarà la vita vera. Sarà un viaggio in lungo e in largo che andrà a determinare chissà quale personalità finale di Bella.

Parte già con un incipit bizzarro e surreale, mostrando degli incisi come per mostrare dei simboli o delle opere che potrebbero rispecchiarsi nella vicenda, ma poi si arriva a come tutto inizia e a come tutto si evolve. Partiamo col dire che la durata di 140 minuti è più che giusta, a mio parere. Lanthimos gioca tutte le inquadrature in questo film tra “quadrangolari”, “primi piani” e obiettivi “zoom”, nel pieno senso dell’eleganza e della precisione registica. Le ho apprezzate tutte, dalle scene più innocue e tranquille alle più spinte, sia dal punto di vista erotico sia dal punto di vista chirurgico (avete visto “Il sacrificio del cervo sacro”? Stesse inquadrature e stessa etica. D’altronde, il regista è lo stesso). 

È un film che non annoia, nonostante reputo Lanthimos un regista complesso. Ti fa navigare in una dimensione che inizialmente non si definisce, ma poi ti fa scattare quella scintilla che ti addentra nella filosofia dei personaggi e nella comprensione di tutto l’ambiente che li circonda. Emma Stone, secondo me, ha piano piano avuto interpretazioni più incisive e rilevanti dopo “La La Land”, ma non mi sarei aspettato che fosse riuscita ad interpretare, in ogni modo, un personaggio difficile come quello di Bella, rischiando di non essere pienamente del suo calibro. Invece è riuscita a farmelo piacere sensualmente e come persona, colpita da ogni tonalità che la vita assume. Willem Dafoe rispecchia quello che è, un attore che concede delle garanzie nella propria bravura e nella completezza e compostezza del personaggio interpretato. Mark Ruffalo, per quanto lo possa apprezzare, è affascinato da Bella ma come deluso da lei stessa, però in una maniera troppo esagerata. Infine anche Ramy Youssef interpreta molto bene il suo ruolo di perfetto curioso di Bella e per fine innamorarsi, anche se la lascia scappare per la sua strada.

Questo film è continuamente accompagnato da colonna sonora e fotografia. La colonna sonora, diretta da Jerskin Fendrix, è caratterizzata soprattutto da incantevoli e inquieti violini che accompagnano le situazioni raccontate da ogni punto di vista. La fotografia, diretta da Robbie Ryan, associa molti colori nel vivo della vicenda che segue l’ottima regia di Lanthimos, anche nelle scene in “bianco e nero” iniziali. Il consiglio che vi posso dare, per analizzare quest’aspetto, è di osservare attentamente come vengono scelti i colori e in base alle situazioni in cui la protagonista e gli altri personaggi si ritrovano. Ho notato come ci siano stati sia colori caldi sia colori freddi nelle giuste situazioni. Dalla fotografia vorrei passare alla scenografia, diretta da James Price, Shona Heath, Zsuzsa Mihalekz, perché qui forse c’è stata l’unica e piccola pecca, se così vogliamo chiamarla, di tutto il film. Va bene renderla un po’ fantasiosa nel senso di diversa e anche strana, ma neanche troppo “plasticosa” che rende evidente il fatto di essere stato montato e ricreato, appositamente. Il fatto che sia “finto” è troppo rilevante, ecco e questo aspetto non l’ho proprio apprezzato, sinceramente.

Ma lasciando stare questa piccola cosa, recitazione molto buona, regia ottima, colonna sonora e fotografie ben coordinate con la regia. Che posso altro dire? Ho detto tutto, mi sembra, ma al tempo stesso credo di non aver detto molto, perché per quanto è “articolata” la messa in scena di tutto, ci sono sicuramente degli aspetti che possono sfuggire anche al sottoscritto, nel senso che alla prima visione non cogli la completezza di un’opera del genere oppure siamo noi spettatori di turno che non riusciamo ad arrivare all’altezza della visione di Lanthimos, così surreale e strana ma così artistica. Ma in fondo cosa mi ha lasciato questo film? Mi ha lasciato una storia che racconta la vita, o meglio l’approccio alla vita in tutte le sfaccettature, inserendo un personaggio come quello interpretato da Emma Stone curiosa e incredula di quello che fa e che gli accade, ricevendo d’altronde quello che la vita riserva ad ognuno di noi: delusioni, illusioni, verità, ambizioni e sacrifici. Da quella che può sembrare la trasposizione di "Frankenstein Junior”, è diventata una storia che si concentra su aspetti decisamente rilevanti che non richiede una certa logica, ma neanche da sottovalutare ogni singola sfaccettatura assunta. Si assiste, nel complesso, a qualcosa di puramente estetico ma che ti coinvolge e che ti attira, con una chimica che non ancora si spiega nella mia testa. Grazie Lanthimos per tutto questo!

domenica 4 febbraio 2024

Peggiorati in meglio!


Recensione redatta da Valerkis

Qualche tempo fa sentivo dei “rumors”, delle voci di corridoio o leggevo articoli che “I soliti idioti” si erano riuniti dopo dieci anni per ritornare a fare un film insieme con i loro personaggi scorretti e che hanno comunque lasciato un segno nella comicità italiana, nel bene e nel male (giudicate voi). Insomma quando si è realizzato che avevano fatto nuovamente un film insieme, sono andato a vederlo perché comunque volevo capire se dopo tutto questo tempo, era cambiato qualcosa.

Il film non ha una trama lineare, perché sono varie trame in base ai personaggi. C’è Ruggero De Ceglie, Gianluca De Ceglie, il Mafioso, Patrick e Alexio, e tutti gli altri.

È inutile dire che se vogliamo parlare dei loro personaggi, i più iconici sono sicuramente Ruggero e Gianluca e nella loro vicenda c’è stato il risorgimento di Ruggero che tornerà a tormentare il figlio con la sua vita green e rivoluzionaria. Cosa che Ruggero non fa. Insomma, il lupo perde il pelo ma non il vizio. I tamarri Patrick e Alexio trascorrono le loro giornate al bar con gli amici quando per loro gli riserverà una sorpresa. Gli Omosessuali continuano nella divulgazione del loro essere, gli (Im)moralisti sono alle prese con il cercare di avere un figlio per mettersi al pari degli altri e poi i litigiosi e via scorrendo, alquanto divertenti anche se scorretti.

Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio firmano sceneggiatura (anche il soggetto, scritto insieme a Martino Ferro), dirigono il tutto (insieme a Ferruccio Martini) e interpretano come se questo fosse un ritorno simbolico. Attualmente è nelle classifiche alte del “Box office”, arrivato negli scorsi giorni persino a pari merito con il film “Povere creature” (recensione prossima) e qui sorge una domanda, o meglio una riflessione: “Ma siamo tutti peggiorati?”. Evidentemente si e rispetto a dieci anni fa, non credo che la società italiana sia cambiata, anzi forse è peggiorata influenzata da una realtà sempre più difficile e indefinibile e pretendendo troppo su certi atteggiamenti e ritrovandosi, poi, al cinema per farsi delle grasse risate con un sottogenere della commedia più che scorretto. Con questa recensione non voglio assolutamente criticare la mia patria, che amo con i suoi numerosissimi difetti, ma porre una riflessione. Se il pubblico è andato a vedere il film dei “I soliti idioti”, è perché evidentemente ha un’enorme voglia di ridere (fino a prova contraria tu sai che se vai a vedere un film del genere, cosa puoi pretendere?). Ma è volgare, qualcuno potrebbe dirmi e tu rideresti a delle volgarità? Per fare “Box Office”, sì. Significa che l’italiano medio vuole andare al cinema e ridere come non mai e piace qualsiasi cosa che faccia scatenare “l’avvertimento del contrario” come diceva Pirandello. Anche la più banale, anche la più “trash”. In tutto ciò, comunque si è potuto notare come ci siano delle critiche, in fondo, a degli aspetti della società che ci potrebbero riguardare (critica sulla guida automatica delle autovetture, sull’accudire un figlio senza avere un'indipendenza economica e così via). Loro diventano politicamente scorretti parlando di politicamente corretto, questo riescono a fare.

Comunque se volete che parlassi di aspetti tecnici, sarebbero quasi inesistenti oppure per un film del genere non ci si fa caso. Oppure entrambi. 

Andiamo dritti al dunque: perché sono andato a vedere questo film? Perché comunque la curiosità di vedere un loro ritorno c’era e per capire quanto siano cambiati da dieci anni a questa parte. Come ho detto nel titolo, sono migliorati in peggio! È un ossimoro puro, ma è realtà. L’italiano medio (io compreso) tende sempre a rimanere superficiale e a ridere su qualcosa che di fondamento non ha, ma forse ci piace cosí ed ecco perché si prende il podio nel “Box office”. Non so se sarà stato merito anche della presenza di personaggi come Anna Pepe, Sabrina Ferilli (solo per dare voce ad un'assistente vocale) e Gué Pequeno, ma personalmente mi ha fatto fare sicuramente tante risate e poi se vado a cercare la precisione nella struttura della storia e il tutto, devo dire di non averla trovata perché come ho detto non è lineare, ma sono riusciti a riportare quello che sanno fare: la loro comicità azzardata, inadeguata e scorretta, che evidentemente ci piace.


Signori siamo a Broadway e sicuramente sarà un successo!

Recensione redatta da Valerkis Siamo nel 1994. Invece no, a livello di trama siamo negli anni ’30 del Novecento. Nel cuore degli Stati Uniti...