venerdì 24 ottobre 2025

The Boss in Nebraska

 


Recensione redatta da Valerkis

Attualmente nelle sale, è uscito un film con interprete Jeremy Allen White nei panni di Bruce Springsteen, conosciuto meglio come “The Boss” e non parla solo di un personaggio storico della musica rock che ancora oggi porta negli stadi migliaia e migliaia di persone, ma di come ha intrapreso il suo percorso per comporre “Nebraska” l’album che lo ha incoronato rockstar, prima del successo vero e proprio con “Born in the USA”. 

Bruce è il nostro protagonista, insomma, che all’alba degli anni ’80 decide di costruire un percorso tutto suo all’interno di una casa che sta al di fuori della sua cittadina natale e cominciando così a scrivere i suoi testi. Nel frattempo non è solo tra persone, colleghi e amici che lo supportano, lo amano e chi lo segue nonostante le tensioni passate, come i suoi familiari. Bruce si rende conto di essere perseguitato dai suoi demoni e non riesce a superarli, quando poi si renderà conto che in fondo non era necessario restare ancorato agli eventi passati. Proprio questi momenti turbolenti e di piena attività portano alla nascita di “Nebraska”, un album che riscrive un genere come solo il Boss poteva fare.

L’interpretazione di Allen White non è stata screditata per niente, anzi l’ho apprezzata nel suo complesso, cimentandosi anche nel canto e trasmettendo quello che in fondo era il carattere del Boss. Anche Odessa Young, nella parte di Faye, che ha interpretato un personaggio di supporto per vari aspetti nei confronti di Bruce, facendogli provare una sensazione maggiore e diversa dal suo carattere solito e contribuendo ad una composizione generale di un’interpretazione meno serra e più sdolcinata. Il resto dei personaggi hanno aiutato a far compiere i passi giusti verso il raggiungimento dell’obiettivo di Bruce e le interpretazioni semplicemente degne dei ruoli ricoperti. La fotografia accompagna le sensazioni che si percepiscono dal protagonista e Masanobu Takayanagi riesce perfettamente ad eseguire il proprio lavoro in base alle singole scene. La colonna sonora, mischiata ai brani più famosi del Boss curata da Jeremiah Fraites, si unisce in modo tale che collabora con la fotografia e il montaggio per costruire la scena. 

La sceneggiatura, curata dal regista Scott Cooper, non è molto calcata di argomentazioni  varie, risulta alquanto diretta e lineare sul racconto di quel periodo e nonostante riesca a realizzare una durata normale e non troppo eccessiva, permette comunque alla regia di esporsi con un ritmo rallentato e appesantito. Sceneggiatura diretta ma regia articolata, ecco. Non è banale, non è da cestinare, ma nulla di eccezionale perché abbiamo a che fare, tutto sommato, con un biopic esaltante e assolutamente coerente, anche con quel pizzico sentimentale che alleggerisce la vicenda. 

Sicuramente il film merita di essere visto, a me è piaciuto, anche se avrei decisamente tagliato il finale per come ormai era stato scritturato e non andare avanti ancora, tanto per rendere la storia più completa e questo non ha aiutato la sceneggiatura, risultata debole da questo punto di vista e la regia così si è dovuta adattarsi nella chiusura del film. Quello che doveva trasmettere l’ha fatto, però non vi create eccessive aspettative, pensando che questo possa essere il film dell’anno, perché non c’è stata quella caratteristica a mio parere che ha reso il film unico nel suo genere ma sicuramente potrà far discutere e apprezzare il pubblico, anche perché si tratta sempre di un personaggio che nell’immaginario collettivo è conosciuto. Lo consiglio, vedetelo e per conoscere una vicenda per come è stata elaborata, nell’etica di affrontare diverse tematiche personali, introspettive e alla fine per raggiungere il sogno e l’ambizione che ognuno possiede nelle proprie aspirazioni e passioni.


lunedì 13 ottobre 2025

Dalla fantascienza al thriller-action, qui si gioca con i generi Steven

 



Recensione redatta da Valerkis

Parlerò di un titolo diventato cult del cinema contemporaneo e del genere spielberghiano, pienamente variegato nel corso dei 150 minuti di una storia che riguarda la tematica della premonizione, un qualcosa di astratto per certi aspetti ma è anche qualcosa di assolutamente eclatante. 

Il protagonista John Anderton, interpretato da Tom Cruise, si occupa della direzione degli agenti che operano all’interno dell’agenzia del “Precrimine” presso Washington e lui, quotidianamente, ha la responsabilità di mobilitare tutta la squadra per la responsabilità nazionale di far evitare i crimini commessi, arrestando anticipatamente i possibili assassini. Il periodo distopico in cui è ambientato il film (ambientato nel 2054) è a sua volta magnifico da questo punto di vista. Obiettivo raggiunto dei reati zero negli USA e tutto sembra andare verso la corretta direzione, ma allo scoprire di un qualcosa che non piacerà a John si raggiungerà un fine inaspettato e che nessuno potrebbe immaginarsi. Non dare nulla per scontato nei confronti di nessuno, questo vi posso dire per chiudere con la trama. 

Tom Cruise, anche qui, possiede una buona presenza scenica come personaggio centrale della storia, anche nelle varie successioni di eventi. Samantha Morton, nei panni di Agata, una dei “Precog” (ovvero persone che venivano usate come motori della premonizione per agevolare il lavoro della “Precrimine”), è stata l’aiutante principale tramite la sua reazione alle premonizioni ed è stata molto brava, rimanendo attinente all’etica del suo personaggio. Bravura pura! Poi Colin Farrell, nei panni di Danny Witwer, interpreta un personaggio che insegue in continuazione il protagonista e completamente integrato nella storia. In linea generale le interpretazioni sono proporzionate e completamente apprezzate. La regia di Steven Spielberg è una garanzia ed è stato perfetto e capace di non rendere lo scorrimento del film pesante nonostante la durata, riuscendo ad amalgamare vari generi in un unico film, che non è da tutti e poteva risultare confusionario, ma questo non è successo assolutamente. Personalmente sono stato soddisfatto di aver visto un film dove si passa dalla fantascienza all’azione e al thriller. Bravura registica assicurata! La sceneggiatura adattata da Scott Frank e Jon Cohen, tratto dal racconto di Philip Dick, è completa di eventi e di sensazioni che fanno attrarre lo spettatore e costruendo alla fine una storia che in tutte le forme non è considerata banale. Direi nel complesso, una sceneggiatura buona. La colonna sonora diretta dall'immenso John Williams (il compositore di E.T., Indiana Jones, Star Wars…) accompagna come dovrebbe ogni singolo frame e fa quello che deve, anch’essa pienamente apprezzata.

Aggiungerei montaggio, fotografia e così via, personalmente apprezzati tutti, riescono a contribuire alla creazione di un'unicità nello stile registico presentato, ma basta non mi dilungherò più di tanto e passerei alle mie considerazioni finali. 

Il film è assolutamente attraente, mi è piaciuto e fa quello che deve nei confronti dello spettatore, intrattenerlo con la propria vicenda e ogni singolo frame contribuisce alla costruzione di un'enfasi che ti lascia stupito. Sappiate che questo non è un semplice film come si pensa, si occupa anche di lanciare il concetto di “brand invasivo”, mediante l'uso dei loghi delle più importanti aziende mondiali e multinazionali e perlopiù saranno stati sponsor del film, a pensare che la Lexus abbia costruito quell’auto rossa che guida Cruise appositamente per quel film, chiamandola appunto “Lexus 2054”. C'è un po’ di marketing in questo film, a quanto pare. Inoltre per la realizzazione del film, hanno usato prototipi di algoritmi che implementano sistemi di intelligenza artificiale e uso dei cosiddetti “big data” per comprendere come potrebbe essere l’ipotetico mondo nel 2054 è qualcosa di interessante e coinvolgente, a tal punto che il buon Spielberg è andato a confrontarsi con esperti del MIT per realizzare questo film e non c’è niente da fare, l’impegno ripaga sempre! Vuoi fare un film fatto bene, devi sbizzarrirti a cercare quel passo in più che definisce un buon risultato e si è riuscito a proiettarsi nel futuro. Era il 2002 e già si parlava del presente (o meglio già da un bel po’ di anni per la precisione che si tratta dell'intelligenza artificiale), ma sappiate che in questo film, tutto sommato, si ha affrontato ciò che ha incentivato l’innovazione e influenzando tutti i fattori cinematografici e ciò che oggi ci ritroviamo sottomano e Spielberg risulta essere un gran regista per trasmettermi tutto questo. L’action si percepisce perché non ci sono mai momenti morti, thriller perché il terrore, l'ansia addosso e il mistero che fanno da sfondo a questa vicenda si percepiscono e fantascienza pura che viene arricchita con aspetti surreali di persone, cose e ambienti. 

Non riusciamo idealmente a concretizzare come sarà il futuro, ma che non ci siano crimini sarebbe troppo bello ma se questo dovesse portare a metterci in discussione ’uno contro l’altro, non credo che sia una scelta buona. Il protagonista si troverà in una situazione molto scomoda, ma come Tom Cruise sa ben interpretare l’azione, risultando focale in ogni momento, montaggio e come interpreti una parte di riferimento per una storia che solo un regista come Spielberg poteva realizzare. Pienamente attratto e consigliato assolutamente e non considerate la durata, tranquilli, perché sembra abbastanza consistente ma la bellezza di questo film sta anche nel semplificare un qualcosa di complesso come la premonizione, fattore chiave del film. Interpretazioni buone, concetti chiari, tecnica coerente e tutto ciò per farti rimanere completamente attratto.



sabato 11 ottobre 2025

Affrontare la fine con sarcasmo

 



Recensione redatta da Valerkis

Johnny Depp, uno degli attori maggiormente influenti nello scenario del cinema contemporaneo, nel film che recensirò quest’oggi assume le vesti di un personaggio, come quello di Richard Brown, un professore universitario di letteratura che scopre di avere un tumore ai polmoni e come reagirà a tutto ciò? Sicuramente a prendere la vita con sarcasmo, indifferenza e in tutt’altro modo che ognuno di noi potrebbe immaginare. Richard è sempre affiancato dal suo migliore amico, Peter (Danny Huston) e dalla sua famiglia, composta da Veronica (Rosemarie DeWitt) e Olivia (Odessa Young) a cui non dice nulla, ma quanto potrà tenere un peso del genere?

Rimanendo all’analisi del film, è risultato sarcastico come lo è stato sia il personaggio in sé e l’interpretazione di Depp, perfettamente adattata al protagonista. Trasgressore, indifferente e sempre con un bicchiere di whisky in mano, ormai non ha nulla da perdere e in quello che dice e fa. Lui continua a fare il suo lavoro, come ha fatto per una vita e lo dice sempre in maniera sarcastica ma anche con decisione, dicendo che la vita va vissuta fino in fondo e in ogni istante sempre con un bicchiere di vino in mano. Sembra scontato, vero? Parole fatte, così, ma è la modalità con cui Richard affronta la fine del suo percorso, anche se trasgressivamente.

A livello tecnico, non sembra un film talmente rilevante che metta in risalto chissà che e chissà cosa, hanno fatto quello che dovevano, semplicemente restare coerenti col filo logico della pellicola e Wayne Roberts, regista e sceneggiatore, scrive e dirige nella maniera più diretta possibile e non per appesantire una situazione già tristemente difficile da accettare per il protagonista, appunto riuscendo a trasmettere il giusto messaggio con il giusto carisma trasmesso dal personaggio interpretato da Depp. Si comprende un’enfasi diversa dal solito dramma che si poteva realizzare e da una parte l’ho apprezzato, però avrei preferito qualche cosa che mi avrebbe lasciato impressionato sia a livello registico sia a livello di scrittura e questo mi è mancato e non è riuscito il film ad eccellere, cosa che poteva benissimo fare e avrebbe meritato senz’altro.

Nulla contro Johnny Depp, nulla, lui molto bravo e apprezzato tanto, come anche Peter interpretato in maniera impeccabile da Danny Huston. Come la storia in generale, mi è piaciuta il sarcasmo trasmesso, ma poteva essere decisamente qualcosa di meglio e di più impressionante, scatenando qualche emozione e attenzione in più. Regia e sceneggiatura, nel complesso, equilibrata e semplice, nulla di più nulla di meno. Dico è un bel film per una sottospecie di ironia adottata nell'affrontare la tragicità al cuore della trama, anche se per il mio parere è mancata effettivamente quella caratteristica drammatica aggiuntiva che avrebbe reso un film acclamato dal pubblico. 



Post più popolari