lunedì 8 gennaio 2024

Il ritorno (atteso) di Hayao Miyazaki




Recensione redatta da Valerkis

Il nuovo anno è iniziato da pochissimo e le novità si fanno interessanti da subito. Dopo dieci anni torna nelle sale cinematografiche un nome conosciuto e atteso, ovvero Hayao Miyazaki, che ha fatto crescere tre, se non quattro, generazioni con le sue produzioni. Quando ho saputo che sarebbe uscito il suo nuovo film mi sono incuriosito come non mai e mi sono creato, ovviamente, delle aspettative molto alte.

Al volo la trama: il protagonista, Mahito, cambia residenza e va a vivere da quella che sarebbe sua zia, la sorella della madre deceduta a causa di un incendio. Il padre si mise insieme alla cognata e lavorava per un’industria operaia. Per Mahito è tutto così difficile, il nuovo ambiente, la nuova famiglia, la scuola e la sofferenza per la perdita della madre. Lui durante le sue giornate viene influenzato da un airone che gli girerà intorno e quando lo convince a ritrovare quello che ha perso, inizia così il suo viaggio che accompagnerà lo spettatore per tutto il film.

Che la storia fosse articolata me l’aspettavo e direi anche troppo articolata. Fattore più positivo che negativo. Vorrei analizzare un aspetto tecnico che non ho fatto a meno di notare: la profondità. Quanto le inquadrature sono profonde? Abbastanza e ci gioca spesso su ciò e anche molto bene direi, dal punto di vista estetico e registico, dimostrando la sua tecnica e la sua esperienza nel campo. Quest’aspetto, potrebbe dare sicuramente importanza anche al contesto in cui si trovano i personaggi e a come vengono collocati nel rapporto spazio-tempo. La sceneggiatura scritta dal regista è strutturata in una modalità nella quale permette di immergere ognuno nella pura fantasia con il rischio, però, di creare una confusione che può essere trasmissibile oppure marginale ad ogni effetto. Ormai le storie che attraversano mondi paralleli, si diffondono sempre di più e stanno cominciando ad essere di “habitué” all’occhio dello spettatore, ma ci sono modi e modi. Quello di Miyazaki si basa sulla pura astrattezza e fantasia che può esistere. La colonna sonora di Joe Hisaishi è una garanzia e stringe nuovamente una collaborazione con il regista giapponese, portando una colonna sonora che ti attrae e che ti immerge in questa storia immensa in ogni forma. Veramente molto bella! La fotografia e l’animazione (curate rispettivamente da Atsushi Okui e Takeshi Honda) si uniscono in modo tale da creare una sensazione di dinamicità, evoluzione nella lavorazione dell’animazione in sé e di piena passionalità. 

Dietro alla realizzazione di questo film ci sono state numerose vicende, dall’idea alle interruzioni a causa del COVID e per motivi del regista, alla ripresa e infine alla distribuzione nel 2024. Sicuramente c’è stato un duro lavoro nel realizzare ogni minimo particolare e secondo la mia personale opinione, ciò si è notato. Le voci di corridoio che girano dicono che questo sarebbe stato “l’ultimo” di Miyazaki. Comunque è stato qualcosa di non ribadito nel corso del tempo e quindi direi di non toccare l’argomento e passiamo a cosa ne penso dell’opera. 

Sono uscito dalla sala che non riuscivo a dare forma al mio pensiero su questo film e tra una riflessione e una raccolta di informazioni, è emerso che questo può essere indicato come “Il film su Miyazaki”. Può essere lui, è lui. Lui giovane e poi lui vecchio che cerca un erede e tutta la situazione passata, dalla perdita della madre al il padre che ha deciso di mettersi con la zia. Questo mette decisamente in difficoltà lo spettatore non ben informato e che ha perso la strada artistica di Miyazaki o non l’ha seguita proprio. Ammetto di non ricordarmi la sua biografia e di aver perso un po’ di opere (sempre in tempo per recuperarle), ma comunque una cosa è certa: il film merita di essere visto e di immergersi così in tutto il viaggio che il protagonista esegue. Dal punto di vista tecnico c’è una notevolissima evoluzione nella lavorazione, nei punti di vista, nelle inquadrature e negli aspetti puramente estetici, dalla colonna sonora all’animazione. Tutto molto bello e coordinato!

Decisamente Miyazaki ha lasciato al pubblico un film misterioso nel suo complesso, ma che non lascia nascondere il fascino che riesce ad estrapolare dalle sue lavorazioni. Personalmente sono rimasto soddisfatto, anche se il finale lo reputo discutibile in base al punto di vista che ognuno possa cogliere. C’è chi dice che poteva continuare, c’è chi dice poteva finire così. Secondo me è tutto alquanto contestabile, accettando entrambe le ideologie. Mi farebbe piacere se questo film facesse discutere tutti, dai fan stretti agli spettatori occasionali, esprimendo liberamente le proprie opinioni, perché secondo me questo è uno di quei film che farà dialogare, non dico parecchio, ma abbastanza. Almeno lo spero, perché in fondo merita.

Infine che dire, grazie maestro Miyazaki per un altro film misterioso, fantasioso e che è entrato negli apprezzamenti di molti, se non di tutti. 


sabato 6 gennaio 2024

IL GIGANTE DI FERRO (1999)


Articolo redatto da Rickers


Nell’agosto 1999 uscì nelle sale “Il Gigante di Ferro”, prodotto Warner Bros. Animation per la regia di Brad Bird. Il film, oggi universalmente considerato un cult imperdibile dell’animazione anni ‘90, all’epoca della sua uscita venne brutalmente ignorato; costato 80 milioni di dollari, ne incassò a malapena 30. Un film più che particolare, “Il Gigante di Ferro”, ricco, profondo e dalla sfaccettata filosofia ma al tempo stesso struggente, malinconico e spensierato. Una maestosa parabola sulla vita e sulla natura dell’essere umano costruita su di un personaggio, il Gigante di Ferro, che di umano non ha nulla (esteriormente parlando). Un viaggio, più che un semplice film, il cui scopo è fungere da tramite per un messaggio più ampio e decisamente inedito, per i tempi in cui il film fu realizzato.


Nel 1968 lo scrittore Ted Hughes partorisce “L'Uomo di Ferro”, un racconto di fantascienza che ha per protagonista un misterioso Uomo di Ferro caduto dal cielo nei pressi di una località sperduta nel nulla. Si tratta di un racconto per ragazzi, in cui si intrecciano le vicende dell’Uomo di Ferro e le vicende degli umani (rappresentati nel loro insieme da un ragazzino di nome Hogarth). Un racconto in cui si mescolano umanità struggente e speranza, dolore e resilienza, guerra e pace. Hughes, che scrisse il romanzo poco dopo la morte improvvisa della moglie, decise di dedicare il racconto ai suoi figli per aiutarli a superare il lutto; Hughes stesso trovò conforto nello scrivere. 


La sorella di Brad Bird, regista del film, venne uccisa da un colpo d’arma da fuoco. Questo evento segnò profondamente la vita di Bird. Anni dopo la morte della sorella, Bird lesse “L'Uomo di Ferro” e tra le pagine di quel racconto rimase affascinato dal modo in cui affrontava le cose. 


"E se un'arma avesse un'anima?" 


Questa è la domanda su cui è strutturato tutto
“Il Gigante di Ferro”. Una tematica importante affrontata nel film riguarda l’esistenzialismo e l’importanza delle scelte; le nostre scelte influenzano chi decidiamo di essere. Il concetto è profondo e riassunto divinamente nella frase che Dean rivolge ad Hogarth: “Tu sei chi scegli e cerchi di essere”. Tra l’altro, non è un caso che Hogarth si chiami come il protagonista del libro di Hughes, come non è un caso che Hogarth abbia lo stesso cognome di Hughes. Hogarth è un ragazzino, che per quanto piccolo, è comunque schiacciato dal giudizio e le aspettative del prossimo e ciò lo porta ad essere condizionato. 


Ma anche il Gigante di Ferro è un bambino, solo più alto di una quindicina di metri. Lui non è umano, è solo un ammasso di ferraglia, eppure si comporta come un bambino; impara, osserva e assimila ciò che percepisce dall’ambiente intorno a lui. Impara a parlare durante il corso del film, passando dal pronunciare poche parole sconnesse al formulare intere frasi (in totale, il Gigante dirà 53 parole). Il Gigante non è umano ma è un bambino che cresce nel corso del film, attuando un percorso di autodeterminazione notevole. Il parallelismo con Superman è azzeccatissimo, i due hanno molti tratti in comune: entrambi sono arrivati sulla Terra da un luogo imprecisato, entrambi sono dotato di enormi poteri, entrambi non sanno bene come collocarsi nel mondo ed entrambi hanno libero arbitrio di scegliere se utilizzare i mezzi di cui dispongono per fare del bene oppure del male. Tuttavia, il Gigante è un’arma e se minacciato diventa un pericolo. 


Il Gigante è fatto di ferro e bulloni, è di metallo, non è umano, ma prova sentimenti e compie ragionamenti come un’essere umano, dunque possiede un’anima. Il Gigante, dotato di anima, riesce a scindere e a scegliere tra bene e male, tra il salvare delle vite e il distruggerle. Il Gigante è l’unico personaggio non umano del film, ma si dimostra comunque molto più umano degli esseri umani.


"E se un'arma avesse un'anima?"


Non sarebbe più un’arma.


Inoltre il film, ambientato alla fine degli anni ‘50 e dunque in piena Guerra Fredda, costituisce anche una velata critica alla guerra, tema centrale del libro di Hughes. Il Gigante è a tutti gli effetti un’arma ma paradossalmente non è lui l’arma, ma l’uomo. 


“Il Gigante di Ferro” è un film di forte concezione disneyana ma ricordo che non è un film Disney. Brad Bird, prima di approdare in Warner Bros, era nella Disney e grazie a questa esperienza ha assimilato i metodi di narrazione della Disney. “Il Gigante di Ferro” era già nei progetti Warner prima che Bird venisse incaricato della sua realizzazione. Inizialmente il film sarebbe dovuto essere un musical live action, trasposizione fedele del racconto di Hughes, con le musiche di Pete Townshend (chitarrista dei Who). Bird però fu inamovibile: o si fa un film d’animazione o niente. Venne adottato uno stile animato in doppia animazione, tradizionale e CGI. Erano gli anni della Pixar (nel ‘95 uscì il primo “Toy Story”, nel ‘98 uscì “A Bug’s Life”, mentre nel novembre ‘99 sarebbe uscito “Toy Story 2”), ma ciò non scoraggiò la produzione. La CGI fu inserita come elemento di risalto, il Gigante di ferro doveva essere il protagonista, l’unica presenza fuori posto, l’unico davvero “diverso” del film. 


Essendo ormai un cult sdoganato, Il Gigante di Ferro è diventato (di diritto) parte integrante della cultura pop. “Futurama”, “Ready Player One”, il nuovo “Space Jam” ed anche “MultiVersus”; nel corso del tempo le citazioni al Gigante sono state tante e di rilievo. 


  Care lettrici e cari lettori, come avete potuto notare, purtroppo, nemmeno in questo mese appena concluso sono riuscito a rimanere costant...