Recensione redatta da Rickers
Con questo post si chiude una saga iniziata un mese fa. Il film che
tratterò in questo post è uno dei film più iconici e leggendari che vi possa
venire in mente. Questo post termina la mitica “Trilogia del Dollaro”
dell’altrettanto mitico Sergio Leone, regista geniale e innovativo, che vede
proprio nel suo ultimo capitolo il suo apice.
“Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo” forse
rimane (ancora ad oggi) uno dei più celebri film
western della storia del cinema, tanto da essere considerato come la
perfetta incarnazione del western nostrano, oltre che uno dei migliori film di
sempre. Girata dopo gli insperati (quanto meritati) successi dei due film
precedenti (“Per un pugno di dollari” e di seguito “Per qualche dollaro in
più”), la pellicola getta le basi per il completamento della fortunata
“Trilogia del Dollaro” creata da Sergio Leone. Dopo i successi legati ai
primi due film, Leone non aveva alcuna intenzione di continuare il progetto
legato alla trilogia. Tuttavia, si convinse ben presto a rivedere la sua
decisione dopo aver visto il compenso che gli sarebbe spettato. Leone accettò
immediatamente seppure non avesse alcuna idea in cantiere. Il film, alla sua
uscita, generò opinioni contrastanti alla critica, ma ciò non impedì alla
pellicola di ottenere un enorme successo di pubblico. La sua popolarità perdura
inalterata da quel lontano 1966 e ormai si è instaurato autentico classico del
cinema. La sua importanza storica è innegabile, talmente tanto da essere
d’ispirazione ancora oggi per importantissimi cineasti moderni, primo tra tutti
Quentin Tarantino.
La sceneggiatura, curata dallo stesso
Leone insieme a Luciano Vincenzoni, fu difficilissima da portare a termine.
All’inizio erano presenti il duo Age & Scarpelli (Agenore Incrocci e Furio
Scarpelli) e Sergio Donati, ma i tre lasciarono il progetto praticamente
agli esordi: i primi furono silurati da Leone dopo aver presentato la prima
bozza di una ipotetica trama, il secondo lasciò per incomprensioni con il
regista. La trama narra di una guerra quasi “territoriale” compiuta da tre
pistoleri dall’oscuro passato, bramosi di impossessarsi di un tesoro nascosto
all’interno di un cimitero. In queste poche righe viene rispecchiata l’essenza
del pensiero di Leone. Nei tre protagonisti, ognuno per la propria parte
autobiografico del regista, convivono bellezza e bruttezza, umanità e ferocia.
Il regista prende tutti questi concetti demistificandoli e riuscendo, al
contempo, anche a compiere una dichiarata quanto sottile denuncia alla follia
bellica e all’avarizia insita nell’essere umano. Leone demistifica di
conseguenza la storia degli stessi Stati Uniti d'America, mostrandone il
vero lato violento e brutale, sempre oscurato dalla tradizione naturalmente
mitizzante dell'epica western. Interessante la scelta di riproporre il "cliché"
dell'uomo senza nome, sotto però spoglie ambigue, a metà strada tra quelle di
un cacciatore di taglie e quelle di un giustiziere.
Dal punto di vista registico, questo film
ha fatto scuola. Scene catturate con grande sapienza, con montaggi serrati e stacchi
violenti. Ogni scena incarna alla perfezione una piccola dimensione che trova
magicamente il proprio posto all’interno della pellicola. Unica pecca: la parte
centrale che smorza il ritmo incalzante del film, che finisce irrimediabilmente
per ammazzare lo spettatore per la sua lentezza. Tuttavia, senza quella stessa
parte centrale il film perderebbe di senso, perdendo di conseguenza il proprio
scorrere. Le scenografie sono realizzate con grande cura. Famosa storia
riguarda il cimitero del “triello finale”, set realizzato appositamente per il
film.
Il cast si segnala ancora una volta dalla
presenza dell’immancabile Clint Eastwood, che in questo film interpreta “il
Biondo”, una delle incarnazioni dell’uomo senza nome. Nell’arco di tutta la
trilogia, Clint Eastwood ha probabilmente incarnato quello che è, per caratura
e importanza, il personaggio maggiormente riuscito di Sergio Leone. Molto
importante è la presenza del sigaro, uno dei simboli di questo
film: Clint Eastwood ne ha sempre in bocca uno e l'accende
ripetutamente. Torna anche Lee Van Cleef, che in questo film interpreta
“Sentenza”. Ultimo arrivato è Eli Wallach, che qui interpreta il ruolo di
“Tuco”. Tutti e tre gli attori forniscono forse la loro migliore
interpretazione. Clint Eastwood irraggiungibile per mimica, impostazione della
voce ed iconografia; Lee Van Cleef ottimo antieroe capace di trainare il film
anche per un discreto minutaggio, Eli Wallach perfetto nel suo serio ma comico
quel tanto che basta da strappare un sorriso ogni tanto.
Nota a margine spetta per il maestro Ennio
Morricone, che confeziona senza alcun dubbio il suo lavoro più iconico. Musiche
incalzanti, composte e sempre azzeccate, caratterizzate da un incedere deciso e
scandito dal metronomo delle scene. In alcuni frangenti le musiche trasmettono
una teatralità e un’epicità trasudanti imprese a stelle e strisce. Iconica
rimarrà la scena del “triello”. Leggendario, basta solo questa parola.
Arrivati alla fine di questa trilogia, posso affermare quasi come un coro unanime che questi film costituiscono parte integrante della storia del cinema. In particolare questo film mi ha entusiasmato e continua a farlo ogni volta che lo vedo. Il viaggio dell’uomo senza nome leoniano raggiunge il suo apice qui, dopo aver attraversato un climax ascendente che lo ha portato a scontrarsi con bande messicane fin troppo avare, colonelli in cerca di vendetta e pistoleri bramosi di ricchezza. Questo film è (e resterà sempre) una vera e propria pietra miliare della storia del cinema. Tutto di questo è realizzato nei minimi dettagli: la trama, le riprese, il recitato e le scenografie, i costumi, i dialoghi, insomma tutto quanto. Uniche note di stono sono la parte centrale abbastanza lenta e la durata del film, ma questo significa davvero trovare il pelo nell’uovo. “Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo” rappresenta la fine di un viaggio che conclude magnificamente un ciclo narrativo che mai verrà superato a livello di emozioni, climax e splendore epico. Poco ma sicuro.
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