lunedì 31 luglio 2023

I'm a Barbie girl!





Recensione redatta da Valerkis

L’inizio corrisponde esattamente al primo “teaser trailer” dove la figura di Margot Robbie (la protagonista) assume la sua imponenza nei panni della bambola firmata Mattel. Successivamente mentre vedevo maltrattare delle bambole di vecchio stampo, mi sono riemerse le scene di ciò che fecero i bambini dell’asilo nel film “Toy Story 3”. Le Barbie hanno segnato generazioni sia giocando sia conoscendole culturalmente e la domanda che uno si porrebbe è la seguente: “Come mai è diventata così iconica?". La figura della bambola esiste dai tempi degli antichi Egizi e già da quell'epoca si pensava al suo vero scopo, ovvero essere oggetto di esempio nei confronti della bambina che diventerà donna. Evidentemente la Mattel ha usato il proprio potere, come ogni multinazionale che si rispetti, per attuare campagne di marketing efficienti, così da rendere “Barbie” un’icona assoluta (ha così potere da indurre una causa agli Aqua per la loro “Barbie Girl”. Se non lo sapevate, vi lascio alla fine l'articolo inerente alla causa).

Al volo la trama: entrando nel mondo di Barbie, “Barbieland”, procede tutto alla meraviglia, praticamente si vive in un mondo dove la vita è uno spasso. Ma quando il personaggio interpretato da Margot Robbie si accorge di avere un “difetto” deve riuscire a trovare il modo per risolverlo e così entra in un posto da lei sottovalutato e anche sconosciuto ai suoi occhi per certi aspetti, il mondo reale. Un mondo difficile e pieno di pregiudizi. Con questo si raggiunge il punto di maggior discussione del film: il ruolo della donna nel mondo reale. Così speciale ma duro da accettare. 

Ovviamente facendo un film sulla figura di “Barbie” si riesce facilmente a coinvolgere un’ampia fetta di pubblico minore, sperando di vedere un film divertente dove Barbie è protagonista di una vicenda dove riesce a fare qualsiasi cosa, senza alcun tipo di problema e magari facendosi due risate. Invece bisognerebbe porre un attimo di attenzione perché il film tratta delle tematiche molto importanti per un pubblico di quell’età che non le comprenderà in nessuna maniera e sottovalutando così il prodotto firmato Greta Gerwig. 

È un film che fa capire come un prodotto, una figura e un marchio siano riusciti a lasciare impresse nelle ultime generazioni un personaggio interprete di ogni cosa. La parola “Barbie” assume molteplici significati: bambola, idolo, ragazza bella, magra e stupida (in senso dispregiativo) però capace di fare tutto. La decisione di personificare la Barbie è stata efficace per renderla più che reale e facendo percepire delle emozioni che le hanno permesso di comprendere meglio la dura realtà ma cercando di rimediare ai vari problemi. Tutto ciò ha costituito il susseguirsi dei fatti, movimenti da bambola inclusi. 

Parliamo un po’ degli attori, accantonando Margot Robbie perché credo non ci sia nulla da dire se non una parola sola: imponenza (a livello figurativo e di giusto splendore per la parte da interpretare). Parliamo di Ryan Gosling, perfettamente fesso (in senso buono) e con la testa fuori posto, se non per la sua Barbie, anche se devo dire qualche risata me l’ha fatta strappare. Però non vorrei elogiare troppo la sua interpretazione perché, personalmente, l’ho apprezzato maggiormente in altre pellicole, nonostante abbia posto la sua riflessione nel ruolo di uomo. Poi vorrei parlare delle figure di “Barbie stramba” (interpretata da Kate McKinnon) e di Rhea Perlman, interpretante Ruth Handler, colei che ha inventato tutto quanto. Allora la prima è stata d’aiutante nel lato anche spiritoso, rimanendo nell’ottica della classica “commedia all’americana” e per quanto riguarda la Perlman è riuscita a costituire la parte più bella di tutto il film, a mio parere. Per quanto riguarda i restanti attori, abbiamo Gloria (interpretata da America Ferrera) come altra aiutante di Barbie dal primo momento e Sasha, la figlia di Gloria (interpretata da Ariana Greenblatt), alla quale avrei dato maggiore risalto ponendola al centro dell’attenzione semplicemente per renderla più partecipe di tutto l’avvenire. Will Ferrell lo amo perché riesce ad interpretare un personaggio più "stupido" di Ken, anche se interpretava l’amministratore delegato della Mattel e spacciandosi per il cattivo della storia. Ma quale cattivo, mi ha fatto solo che morire dal ridere (ma parliamo dell’elfo Buddy, ve lo ricordate?).

In questo film non ci sono buoni o cattivi ma questioni di principio su una realtà difficile da accettare e sulla quale spesso va posta una riflessione, scoprendo come tutte le “Barbie” possano contare qualcosa in un mondo dove il concetto di "maschilismo" non è scomparso del tutto. Il film riesce a trasmetterlo e posso dire che in tutto ciò ci sia stata un’ottica di marketing, cioè riuscire a raccontare una vicenda sul difficile ruolo della donna nel mondo attraverso la figura di Barbie? Barbie è il marketing per eccellenza. Barbie è la donna che dovrebbe essere. “Barbie” di Greta Gerwig vuole porre una riflessione nonostante la banale ed esilarante vicenda e per i bambini che vorrebbero vederlo, vi dico di aspettare un attimo, di crescere e capire come gira il mondo e poi ne possiamo parlare. I protagonisti, soprattutto la Robbie e i suoi aiutanti, sono riusciti ad interpretare dei personaggi esilaranti ma capaci di lasciarti quello che andava tramandato. Ho apprezzato la colonna sonora, diretta da Mark Ronson e Andrew Wyatt con le canzoni di Dua Lipa, Lizzo, Billie Eilish e tanti altri. La sceneggiatura, curata dalla regista e da Noah Baumbach, si presenta in maniera sufficiente nel suo complesso perché se doveva essere un film completamente serio e significativo, questa non sarebbe stata la trama adatta e penso proprio che non era l’obiettivo principale fare un film completamente serio, ma sicuramente significativo. Nulla di eccezionale, insomma, ma capace di tramandare quello che doveva.

Ora non so da questa recensione cosa siete riusciti a trarre e parlo a tutte le ragazze e donne che hanno visto il film e letto la mia recensione: vi chiedo scusa per quello che ho scritto. Forse non vi ho convinto o non siete d'accordo con me e lo accetto questo. Magari dovrò ancora comprendere bene la realtà che mi circonda e probabilmente non avrò ben compreso il messaggio che questo film voleva tramandare. 





Sitografia: 

storia della bambola: http://www.artericerca.com/Articoli%20Online/La%20Bambola%20nel%20corso%20dei%20secoli.htm


https://www.harpersbazaar.com/it/moda/storie/a43399021/barbie-storia-moda/


Caso "Barbie Girl": https://www.velvetmusic.it/2023/07/22/barbie-girl-lite-tribunale-mattel-cose-mai-dette-grande-successo/


martedì 25 luglio 2023

Ethan, ma l’Italia e le Alpi ti rendono così sentimentale?


Recensione redatta da Valerkis

In quest’estate sempre più calda, tra uno studio e uno svago, finalmente sono riuscito a trovare del tempo per andare a vedere il settimo capitolo della saga di spionaggio con protagonista Tom Cruise nei panni di Ethan Hunt.

Quando ho saputo della produzione di questo film, parliamo del periodo tra ottobre e novembre del 2020 (in piena pandemia da Covid-19) e un giorno navigando sul sito del quotidiano “La Repubblica” mi sono ritrovato un video dove Tom Cruise stava guidando una BMW sfrecciando tra le strade del centro di Roma nel pieno “action” del film e sapendo cosí che stava girando il nuovo capitolo della saga dell’agente Hunt. Non vedevo l'ora che uscisse. Immagino quanto sia stata dura avviare, fermarsi di continuo e terminare pochi mesi prima della distribuzione nei cinema, ma tutto sommato sono riusciti a tirar fuori una nuova storia dove vedremo non solo il buon Ethan protagonista ma molti personaggi interagire nella vicenda.

Ethan Hunt è alle prese con una nuova missione ed è stata mostrata come la più complessa, a mio parere. Un’entità misteriosa potrebbe prendere il controllo e c’è un solo modo per fermarla: fare il possibile per bloccarla.

Partiamo dalla regia, diretta da Christopher McQuarrie che ha curato anche la sceneggiatura (insieme ad Erik Jendresen) e ha prodotto il film. Nonostante tutte le difficoltà capitate, non per colpa loro, il regista è riuscito a dirigere il tutto con una dinamicità evoluta e merito anche degli effetti speciali. Sicuramente grazie alla figura di Tom Cruise, in qualità di produttore anche lui, é riuscito a creare una coppia che nel proprio lavoro riescono a mostrarsi solidi e innovativi nel trasmettere il giusto grado di “action”. Le scene girate in Italia le ho apprezzate, in particolare quelle girate a Venezia, dove regia e fotografia (diretta da Fraser Taggart) sono stati capaci di renderla sentimentale, misteriosa e psichedelica, tutto in un’unica scena, decretando come la portante di questo capitolo. 

Per quanto riguarda la sceneggiatura, è stata articolata e ricca di elementi da mostrare per rendere la vicenda alquanto coinvolgente, riuscendo a compensare la pesantezza causata dall’enorme durata. Peró avrei da dire qualcosa! Ad esempio non ho ben compreso lo scopo delle due “spie” americane che cercavano di prendere Ethan. Avrei approfondito questo piccolissimo aspetto. Inoltre alla scena della riunione dei capi dell'intelligence perché all'entrata di un personaggio, non gli rivolgono minimamente la parola? Non se ne sono accorti? Oppure si ed erano sicuri di conoscerlo? Molti dettagli potrebbero causare un po' di confusione. Poi, non mancano alcune battute piacevoli e divertenti come alcune riflessioni sui vari “giochi di potere”, d’altronde è il bello dello spionaggio. Ad un certo punto, questo film diventa alquanto sentimentale e ciò non me lo aspettavo minimamente. Quest’aspetto può essere considerato negativo perché c’è il rischio di rendere meno credibile la storia, ma non è questo il caso perché l’azione non tarderá mai ad arrivare. Quindi potrebbe essere un aspetto positivo, in quanto rende la storia più frivola per contrastare un po' la durezza contenuta nell’azione e con uno spunto riflessivo sulla logica da seguire e sulla dura e cruda realtà a cui tendiamo ad esporci. Apprezzato, ma rispetto a “Fallout” (capitolo precedente) l’aspetto sentimentale è stato più rilevante e presente in questo capitolo perché si tratta di un sentimentalismo generalizzato e non specifico sui singoli soggetti. Ho apprezzato molto anche la colonna sonora diretta da Lorne Balfe.

È un film comunque da vedere e piacevole, nonostante la durata, grazie alla vicenda coinvolgente, ricca di azione e con continui ostacoli da superare. Ovviamente tutto avviene nella piena dinamicità, sfidando l’impossibile e mettendoci un pizzico di sentimentalismo che non guasta mai, assumendo un notevole rischio, come lo è stato assunto nella generalità della produzione. Peccato per un paio di pecche che hanno generato in me un po' di confusione. 

Tom Cruise è un’icona, ormai, di una saga che spero fará botteghino, rilanciando la voglia di andare al cinema che si sta perdendo sempre di più, purtroppo. La sua presenza è stata fondamentale, se non indispensabile, nell'affrontare l’ “impossibile” e ottenendo così una maggior ammirazione. Hayley Atwell, nei panni di Grace, è una donna tenace che non si arrende facilmente ma rimasta folgorata dal fascino del protagonista, ricordandomi un po’ alcuni aspetti di quella coppia creata con Cameron Diaz in “Innocenti Bugie” (spero di scriverci qualcosa che ne vale la pena). Ving Rhames e Simon Pegg, i soliti collaboratori di Ethan, sempre a disposizione per battere l’impossibile e poi ruolo imponente anche per Rebecca Ferguson, nei panni di Ilsa Faust. Ed ora passiamo a Vanessa Kirby, nei panni della “Vedova Bianca” (che ritorna da “Fallout”), Esai Morales nei panni di Gabriel e Pom Klementieff nei panni di Paris. Allora la "Vedova" è stata veramente elegante e ha fatto emergere quella sfumatura di cattiveria che la riveste; Gabriel perfettamente insensibile e deciso nel manifestare la sua atroce condotta. Buona interpretazione per Morales; Paris si scoprirà nel corso della storia di ritenersi importante per lo scopo a cui sta incorrendo Ethan.

Ne vale la pena, anche se dura quasi tre ore, ma in fondo ne sembrano passate appena un paio. Azione, sentimentalismo e battere l’impossibile, questi sono stati gli obiettivi di McQuarrie e dell’inimitabile Tom Cruise. Dopo questo, arrivederci al prossimo anno con la seconda parte.


venerdì 14 luglio 2023

RITORNO AL FUTURO (PER LA TERZA VOLTA, MA NON SI SA MAI)


Dopo il tempo biblico di CINQUE mesi sono finalmente tornato sul blog con un post che morivo letteralmente dalla voglia di portare e condividere.

Scegliere la recensione per questo post è stato difficile, ma l'idea mi è venuta subito chiara. Mi sono rivisto TUTTI i post del blog e mi sono accorto di come io non abbia mai finito una saga cinematografica. Ne ho iniziate parecchie, ma non le ho mai finite per intero. Tuttavia ce ne sono un paio che posso terminare e credo proprio che lo farò nei prossimi post.

Con questo post concludo (FINALMENTE) la saga di Ritorno al Futuro. Questa è una delle saghe che ho più a cuore perché con le tre opere di Zemeckis ci sono cresciuto (tra tanti alti e altrettanti CLAMOROSI bassi). Il post di oggi è dedicato quindi a Ritorno al Futuro - Parte III.

Analizzare questo film con occhio critico ed imparziale è quasi praticamente impossibile. QUASI impossibile. Di questo film si può dire di tutto come niente al tempo stesso.

Iniziando dalla trama, quella di questo film è forse la più inutilmente complessa della trilogia. Dopo il finale del secondo film, Marty si ritrova di NUOVO intrappolato nel 1955, dal momento che il Doc è stato catapultato nel 1885 dalla scarica di un fulmine, insieme alla macchina del tempo. Per informarlo dell'accaduto e rassicurarlo, il Doc finito per sbaglio nel 1885 ha lasciato una lettera indirizzata a Marty al Doc del 1955, chiedendo che venisse consegnata a Marty 70 anni dopo esattamente nel punto e nell'ora in cui la DeLorean è sparita colpita da un fulmine. Nella lettera, Doc ha inoltre dato a Marty tutte le indicazioni per trovare la macchina del tempo nel luogo dov'è nascosta. Marty, costretto a chiedere nuovamente aiuto al Doc del '55, nel recuperare la DeLorean che il Doc dell'85 aveva nascosto nell'Ottocento in una vecchia miniera accanto a un cimitero abbandonato. Marty, casualmente, scopre leggendo una lapide, che il Doc originale verrà ucciso con un colpo di pistola alla schiena, pochi giorni dopo aver spedito la lettera nel 1885, dal feroce pistolero Buford "Cane Pazzo" Tannen, bisnonno di Biff, per un debito non saldato. Marty quindi è motivato a salvare il Doc originale e si farà quindi aiutare dal Doc del '55 per andare anche lui nel 1885 e tutto il film procedere nel vecchio West di fine Ottocento. 

Capito qualcosa? Tranquilli, la confusione è perfettamente normale.

Il mio problema con questo film è proprio il fatto che sia concepito appositamente per concludere alla svelta una sceneggiatura che poteva essere perfettamente conclusa già dal primo film. Aver allungato il brodo al secondo film è stato forse un problema. Anzi, togliamo il forse. Concepire il terzo film, a livello puramente concettuale, aveva senso proporlo perché così vi va a chiudere il "cerchio": il presente e il passato nel primo film (1985 - 1955), il presente e il futuro (1985 - 2015) e infine il passato remotissimo e il presente (1885 - 1985). Vengono rappresentate adeguatamente il passato, il presente e il futuro. 

Il film in se non è per forza da buttare, ma inizia bene e poi scade nel mediocre con il passare del minutaggio. Il finale riflette in pieno questa cosa. 

Ripeto, a livello concettuale il film ha un senso, ma parlando da spettatore non riesco a trovare il senso nel voler prolungare un film "stand-alone" addirittura per TRE film. 

Parere personale, il primo film resta ancora e resterà sempre il miglior film della saga, il secondo viene subito dopo. Il terzo invece è in una categoria a se. Non è orribile ma neanche al pari degli altri due capitoli. 

Se il secondo film è sotto di un gradino al primo, il terzo film allora è almeno un paio di gradoni piramidali sotto. 

Recensione redatta da Rickers

mercoledì 12 luglio 2023

Fino a dove puoi spingerti per cambiare la verità?




Recensione redatta da Valerkis

L’ora di educazione fisica, scienze motorie, ginnastica, chiamatela come volete, viene solitamente ricordata come un’ora di ricreazione, quindi al contrario della solita lezione scolastica. Ma se prendesse un’aria diversa dalla routine scolastica, o meglio dalla classica “ricreazione”? Questa è la sfumatura generata all’interno della vicenda tratta dall’opera teatrale di Giorgio Scianna, “La Palestra”. I fratelli D’Innocenzo si sono occupati della sceneggiatura riadattata risultata pienamente solida e travolgente, creando una certa tensione che solo loro riescono a trasmetterti.

I protagonisti: Franco (interpretato da Claudio Santamaria), Carmen (interpretata da Raffaella Rea), Aldo (interpretato da Sergio Rubini) e Rossella (interpretata da Angela Finocchiaro) sono stati convocati all’interno della palestra della scuola dei loro figli per un colloquio con la preside (interpretata da Giovanna Mezzogiorno). Fino a qui sembra tutto normale, ma sarà un colloquio come solitamente accade nella quotidianità? E perché sono stati convocati in una palestra? Perché qui è accaduto il fatto in cui tutti verranno coinvolti e dove l’ora di educazione fisica ha preso una piega diversa dal normale.

Essendo un testo teatrale, la coralità trasmessa dai personaggi è stata presente e di sicuro ha reso questo film apprezzabile dall’inizio alla fine. Ammetto di averlo visto con una certa ansia addosso, ma perché volevo arrivare immediatamente al motivo per cui sono stati coinvolti in questa situazione irreale ma perfettamente capace di far indagare lo spettatore all’interno della storia. Gli attori sono stati abili nel farci trasmettere l’aspetto corale della storia, coordinandosi da subito e trovando la giusta corrispondenza nell’immediato tempo all’interno dei dialoghi e nelle espressioni facciali. È un film costituito da un’unica scena, diretto da Stefano Cipani (regista di “Mio fratello rincorre i dinosauri”), ma ricca di continue presunzioni e contraddizioni. Ognuno viene colpito nel proprio interiore, facendo emergere la propria responsabilità, non riuscendo a trovare una valida giustificazione. La colonna sonora di Mario Fanizzi è stata perfettamente idonea alla situazione creata anche grazie ad una fotografia (firmata da Fabio Cianchetti) cupa, misteriosa e decisamente lurida a partire dall'aspetto estetico come quella scuola e soprattutto quella palestra (denuncia sulle scuole ridotte male? Probabile e non solo dal punto di vista infrastrutturale, anche dal punto di vista di responsabilità e di rigore sociale e istituzionale). Tornando alle musiche citerei come il sonoro di questo film sia caratterizzato dal sottofondo di una continuità assurda e decisamente inquietante.

Tornando agli attori, sono stati tutti profondamente maestosi in questa storia e si trovano tutti allo stesso livello, essendo capaci di rimanere in sintonia con i dialoghi, le espressioni e la vicenda completamente inaspettata e coinvolgente. Quindi non c’è nessuno che sia stato superiore o inferiore a qualcuno di specifico.

Poteva durare più del previsto? No, la durata è giusta e anche come finisce mi è piaciuto e forse per qualcuno può risultare inaspettato in merito allo svolgimento. Ti incuriosisce ogni aspetto e non importa se sia stata un’unica scena girata in una location che rimane la stessa per tutta la durata del lungometraggio. 

Si poteva fare qualcosa in più? No, altrimenti il film sarebbe durato troppo e come dice il proverbio: “Chi troppo vuole nulla stringe!” e quindi si sarebbe degenerato il finale, se non tutta la vicenda e così abbassando la piena stima espressa nei confronti di questa pellicola.

  Care lettrici e cari lettori, come avete potuto notare, purtroppo, nemmeno in questo mese appena concluso sono riuscito a rimanere costant...