sabato 25 novembre 2023

Giornata contro la violenza sulle donne





Recensione redatta da Valerkis

Il 25 novembre di ogni anno si celebra la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne e quest’anno, in Italia, viene celebrata tra il ricordo dell’omicidio di Giulia Cecchettin e l’approvazione definitiva del “Ddl Roccella” contro la violenza di genere proposta dall’attuale ministra per le pari opportunità. 

Io, per l’etica del blog, posso proporre qualche spunto cinematografico da prendere in considerazione per far sì che l’argomento venga affrontato. Tratteró questo film italiano (anche se dura un’ora scarsa, lo reputerei comunque un lungometraggio, data la sua intensità) diretto da Irish Braschi che porta in chiaro la sceneggiatura curata da Giancarlo De Cataldo (scrittore di “Romanzo Criminale”, “Suburra” e altre sceneggiature) e Giorgia Cecere, tratta dal romanzo omonimo di Dacia Maraini. 

Cinque donne vivono una realtà amara che peggiora giorno dopo giorno: Marina (Stefania Rocca), Angela (Elena Sofia Ricci), Anna (Gabriella Pession), Alessandra (Chiara Mastalli) e Francesca (Elisabetta Mirra) sono le nostre protagoniste. Chi fa la mamma, chi la professoressa, chi è una semplice adolescente, chi fa l’attrice e chi lavora per arrivare a fine mese, sono persone e donne che nella loro quotidianità danno il proprio contributo, ma vengono tormentate da uomini che approfittano della loro fragilità e della loro essenza di donna (interpretati da Alessandro Preziosi, Antonello Fassari, Massimo Poggio e Francesco Montanari). Ci sarebbero anche Emilio Solfrizzi e Antonio Catania, nel cast, ma non rientrano tra chi esercita le violenze.

Non sono qui per impartire concetti e discorsi soliti per evitare di essere scontato, ma ci sono questi film così diretti, anche se con durata ridotta, che ti immergono in una realtà devastante psicologicamente e ignari a molti. Assume, di sicuro, una precisa ottica ideologica e politica nell'affrontare un argomento tosto come la violenza sulle donne in ogni forma, giocando le carte giuste attraverso interpretazioni maschili piuttosto grottesche e interpretazioni femminili fragili ma decisamente immense. Bravi tutti, sia i violenti sia le vittime. La colonna sonora di Teho Teardo accompagna tutta la vicenda perfettamente e ti fa percepire tutta la violenza subita. Mi é piaciuta molto. La regia è dinamica, diretta e “underground” (a me piace questo genere, ovvero una “regia di strada e non troppo elaborata”) e mostra ciò che bisogna sapere e raccontare, attraverso queste storie ben delineate tratte dal libro della Maraini. A mio parere, sono state raccontate notevolmente, giungendo cosí allo scopo finale. Può sembrare il tutto sbrigativo e non elaborato al massimo, sembrando uno spot lungo quasi un’ora, ma qui non c’era bisogno di dilungarsi. L'importante era arrivare dritto alla questione!

Riflettiamo ogni tanto su ciò che ci circonda e cerchiamo di trarre le nostre razionali conclusioni, sperando di avervi invogliato a vedere questo film che merita, nonostante la sua ridotta esposizione. Il fatto di essere immenso nell'immediato è notevole, come la musica che ti accompagna nella violenza e le interpretazioni degne di un cast decisamente maturo e capace di interpretare personaggi nel complesso fragili (quelli femminili) e tutto sommato inconsci (quelli maschili) di quello che fanno. 

giovedì 16 novembre 2023

L'esordio che fa scoppiare i cinema italiani


Recensione redatta da Valerkis

Il cinema italiano, durante questo 2023 è stato influenzato dall'esordio alla regia di Paola Cortellesi e il suo film sta facendo in questo momento record di incassi. Quando un personaggio come Paola Cortellesi decide di esordire dietro la macchina da presa significa che ha raggiunto un punto della carriera dove può manifestare una certa maturità acquisita che si determina in una certezza nel suo campo.

Arriviamo al dunque. Siamo a Roma, nel Dopoguerra e in un anno ben preciso, il 1946. Delia (Paola Cortellesi) è una donna che pratica molteplici lavori per dare i propri compensi ad Ivano, suo marito (Valerio Mastandrea) che già lavora di suo. Il carattere di Ivano è decisamente duro e violento nei confronti della moglie e Delia si sente così ostacolata dal marito e di come le sue vere espressioni non riescono ad emergere. Insieme a lei ci sono anche la figlia Marcella (Romana Maggiora Vergano), il suocero Sor Ottorino (Giorgio Colangeli) e i figli più piccoli. Nelle sue giornate non sarà sola, ci sarà l'amica Marisa (Emanuela Fanelli) a sostenerla e a coprirla in alcuni momenti e Nino (Vinicio Marchioni) che le promette di scappare insieme.

Parliamo degli attori: Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea insieme riescono a creare una bella coppia nel proprio mestiere e se in “Figli” di Giuseppe Bonito avevano giocato bene, qui riescono a coinvolgere pienamente il pubblico grazie al difficile rapporto instaurato dall’inizio alla fine. La violenza trasmessa viene dimostrata nella maniera più artistica immaginabile, a mio parere, tramite il ballo e se il pubblico reagiva quando compariva Mastandrea che cercava a tutti costi la Cortellesi, significa che il film ha funzionato e coinvolto pienamente tutti. Sala pienissima, d’altronde con tanto di standing ovation. Buona interpretazione anche per la Fanelli che ha definito così le sue capacità recitative e cercando di dare un aspetto più avanzato al suo ruolo di attrice. Per arrivare alla Vergano e a tutti quanti gli altri, insomma chi più chi meno si trovano tutti allo stesso livello, ovvero alto e di garanzia.

Mi sono ritrovato davanti ad un film che ha degli importanti messaggi da tramandare, sicuramente, riportandoci in un’epoca non lontanissima dove infine le donne italiane hanno cominciato a mostrarsi rilevanti attraverso un’importante passo. È un film che da subito si considera diretto, secondo me, facendoti immergere nel contesto di quegli anni socialmente difficili. Infine è quello che ha voluto fare Paola Cortellesi con questo film. Regia determinata per essere il suo esordio dietro la macchina da presa, rimanendo proporzionata e questo è stato importante. Insomma non ha esagerato nella lavorazione totale della vicenda ed é stata anche una regia avanzata e ben coordinata, dal punto di vista estetico. La sceneggiatura scritta da Paola Cortellesi, Furio Andreotti e Giulia Calenda è solida e dettagliata, nel complesso. Sono riusciti a trasmettere una vicenda importante e riflessiva, con qualche risata che sfugge grazie al dialetto romano. Ho notato come questo film sia un chiaro omaggio ad un periodo storico molto particolare: il “Neorealismo” e la pellicola in B/N (bianco e nero) é stata l'emblema di quest'omaggio (non solo, ovvio). Personalmente ho apprezzato la scelta della pellicola, come l’ambientazione nella classica “borgata” romana e quale poteva scegliere, se non la borgata di “Testaccio”! La fotografia di Davide Leone é stata ben combaciata alla regia e al montaggio curato da Valentina Mariani, mi é piaciuta molto. Le musiche, curate da Lele Marchitelli, sono state bilanciate, includendo brani dell’epoca e brani un po' piú moderni.

Questo film ha incollato me e tanti italiani davanti lo schermo perché la regista è riuscita a creare una storia, tutto sommato, coinvolgente dove un mix tra risate, paura e coraggio ha determinato la storia della donna italiana, una donna che ha bisogno di evolversi e dare un contributo alla società in maniera decisamente più ampia, evitando di limitarsi a lavoretti per i mariti e/o a fare le casalinghe, prendendo tante di quelle botte. C’è tutto: la trama forte, la bravura di tutti gli attori, la risata, la regia ben definita, il pubblico e…che altro vogliamo metterci? Probabile qualche premio in più, in arrivo!



lunedì 13 novembre 2023

JAWS (1975)


Nell’estate del 1975 uscì, nelle sale cinematografiche statunitensi, un film destinato a cambiare radicalmente e irreversibilmente le vite dello spettatore ordinario.

Un film che cambiò enormemente il concetto di film intenso come mero prodotto commerciale; scrivendo una definizione di film orientata più verso una forma di lucro che ad una semplice forma di espressione artistica. È uno dei film più importanti della storia del cinema, senza alcun ragionevole dubbio. Non tanto perché sia un film bello o brutto, ma letteralmente per tutti gli altri motivi. Il 1975 è per questo una delle tante date spartiacque per la storia del cinema, che visse in quegli anni un nuovo ribaltone. Un ribaltone che l’Italia conobbe con il nome de “Lo Squalo”.

“Jaws” ("Lo Squalo" appunto) è un film famosissimo e per questo sorvolerò su tutto quello che potrei raccontare in modo da arrivare al punto. La trama la conosciamo tutti, la riassumo in breve solamente per chi non se la ricorda: uno squalo mangiauomini terrorizza le coste di una gettonata meta balneare mietendo vittime a destra e a manca; per garantire l’incolumità dei bagnanti viene istituita una vera e propria “caccia allo squalo”.


Ora, il successo che il film ha avuto e continua ad avere dopo decenni dalla sua uscita è innegabile e ben tangibile da tutti. Le storie dal set sono diventate ormai di dominio pubblico. Le riprese del film sono state costellate da continui problemi tecnici che ne allungarono di parecchio i tempi. Il budget iniziale stanziato per le riprese fu abbastanza  esiguo e per questo superò di tantissimo le previsioni iniziali. Il film rischiò seriamente di non essere portato in porto. Steven Spielberg, lo sconosciuto scelto per muovere la macchina da presa, fu sotto pressione fin da subito


La domanda fatidica: “Come mai “Jaws” è stato un successo clamoroso e come mai, ad oggi, questo film è considerato un “turning point” per la storia del cinema?”.


Punto primo: i continui problemi tecnici. Per l’epoca, “Jaws” fu un lavoro molto ambizioso. Le volontà di Spielberg di riprendere il protagonista di “Jaws”, ovvero l’incubo dello Squalo, non sorrise alle casse messe a disposizione dai due produttori, Richard Zanuck e David Brown. I produttori Universal, nel 1973, comprarono i diritti di un romanzo che poteva seriamente rivelarsi un crack: “Jaws” di Peter Benchley. Il romanzo di Benchley all’epoca era solo un mucchio di bozze, ma al duo quell’idea piacque talmente tanto da voler realizzarci sopra un film fatto su misura. Nelle idee iniziali di Zanuck e Brown, “Jaws” doveva essere un film a basso budget, con poche pretese. Tra i tanti registi candidati, per questioni di tempo (il libro di Benchley sarebbe uscito di lì a breve), vinse Spielberg. Il regista aveva però una visione molto ambiziosa del film, ben lontana dalle idee a basso budget dei produttori. Si arriva quindi sul set con dei modelli meccanizzati di squalo, come da indicazioni del regista. I modelli furono un fiasco totale e si colarono inesorabilmente in acqua, costringendo Spielberg a cercare nuove idee geniali. 


L’illuminazione alla fine si rivela giusta, quella di non mostrare lo squalo preferendo solo suggerire la presenza dello squalo. Questo azzardo farà il successo di “Jaws”. Il film, per gli spettatori dell’epoca, fu una doccia gelata. “Jaws” alzerà lo standard e l’immaginario collettivo della paura, optando per la scelta obbligata di occultare la minaccia. Dopotutto, niente ci fa più paura di una minaccia che non possiamo vedere. 


Punto secondo: il montaggio e le musiche. La prima sequenza è evocativa: la soggettiva ripresa dagli occhi dello squalo mentre si avvicina al pelo dell’acqua. Il montaggio di Verna Fields, una delle più grandi montatrici di Hollywood, è chirurgicamente accompagnato dalle musiche di John Williams (che poi sarà autore delle colonne sonore della saga di "Star Wars", tra le tante) e riescono ottimamente a farci percepire una minaccia che non vediamo ma che possiamo solo avvertire; lo squalo che si avvicina lento e inesorabilmente minaccioso verso le proprie vittime. Verna Fields e John Williams otterranno entrambi l’Oscar nel 1976, rispettivamente la prima al miglior montaggio e il secondo alla miglior colonna sonora. Ultimo inciso, la sequenza iniziale è stata ripresa prima che i modelli meccanici dello squalo si guastassero.


Punto terzo: il successo del romanzo. Tutto il film è basato sul romanzo “Jaws” di Peter Benchley, 1974, bestseller dalle vendite mostruose dell’epoca. Lo spettatore comune era attratto più dal fatto che si trattasse del film basato sul romanzo “Jaws” e non tanto dal fatto che si trattasse del primo film di un certo Steven Spielberg, che all’epoca era poco più di un dilettante allo sbaraglio. Oggi siamo abituati ad abbinare “Jaws” con il connubio film-regista (“Jaws” di Steven Spielberg), ma nel 1975 “Jaws” non era altro che il nuovo film Universal di cui tutti avevano paura. Lo spettatore in sala era più attratto dal fatto che si trattasse del nuovo film horror Universal, e quindi dalla garanzia di assistere ad un horror ben fatto, e non tanto dal fatto che fosse un film di Spielberg. 


Punto quarto: la sceneggiatura. Prima di montare, riprendere, comporre e vendere, un film deve essere anche sceneggiato. La sceneggiatura comprende tutto quel che bisogna sapere su di un film, sia per quanto riguarda la sua organizzazione sia per quanto riguarda il suo script. Peter Benchley compose una bozza di sceneggiatura su richiesta dei due produttori del film, ma il risultato finale fu un po’ insoddisfacente. Uno sceneggiatore lavora per immagini semplici e non per didascalie elaborate, come invece fa lo scrittore. Peter Benchley aveva elaborato uno script didascalico, denso di parole, lungo ma comunque ben scritto. Il problema era proprio il fatto che fosse privo di immagini evocative. Carl Gottlieb, lo sceneggiatore vero e proprio che fu chiamato dai produttori, dovette rifare completamente lo script. Fu lui a suggerire una maggior presenza dello squalo nel film rispetto al romanzo e a Spielberg piacque l’idea, che la adottò e poi trasformò a forza nel girato finale. Se “Jaws” ebbe successo il merito va anche a Carl Gottlieb per il modo in cui ha orchestrato la sceneggiatura. Alla fine però il lavoro fu attribuito ad entrambi.


Punto quinto: il marketing. Il vero aspetto per cui “Jaws” è ricordato. Innanzitutto, per l’epoca, ricevette una copertura estremamente elevata e questo aumentò l’incasso nel breve periodo. Quando il film iniziò a diventare un fenomeno e smise di essere un’attrazione, Zanuch e Brown elaborarono una ingegnosa campagna di marketing, con tanto di pubblicità televisive, merchandising brandizzato a tema, suppellettili varie e molto altro ancora. Oggi sembra quasi scontato essere circondati dal merchandise di qualcosa ma, per l’epoca, fu innovativo. Il marketing permise a “Jaws” di diventare un mostro d’incassi ed è per questo motivo che oggi è considerato il primo blockbuster dell’era moderna nonché il prototipo perfetto del blockbuster Hollywoodiano.


Articolo redatto da Rickers

sabato 11 novembre 2023

Il mese dell'economia: la crisi finanziaria del 2008


Recensione redatta da Valerkis

Riaprendo il mio libro di “Economia politica” dell'università notavo un tratto che diceva come l’interesse per l’economia sia sorto, nell’ultimo decennio soprattutto, da un evento in particolare che tratterò quest’oggi: la crisi finanziaria del 2008. Prima dobbiamo segnare una data: 15 settembre 2008, fallisce la “Lehman Brothers” famosa banca d’investimento statunitense che dichiarò fallimento a causa di mancati aiuti di stato e dai privati. Questa, come molte banche, concesse i famosi “mutui subprime”, ovvero dei mutui “ad alto rischio” che venivano concessi a soggetti che non avevano garanzie e quindi avevano una riscossione del credito pari a zero. Inoltre ci furono situazioni dove passarono dal tasso fisso al tasso variabile, oltre ad altre caratteristiche che non sto qui ad elencarvi (se volete approfondire la questione, consultate la sitografia alla fine).

Passiamo alla trama (tratta dal libro di Michael Lewis, “Il Grande Scoperto”): il film racconta vicende realmente accadute e abbiamo vari personaggi interpretati da un cast decisamente buono composto da: Christian Bale, Steve Carell, Ryan Gosling e Brad Pitt. Almeno questi sono i nostri protagonisti! Il primo che incontriamo è Michael Burry (Christian Bale) che nel 2005 ha deciso di scommettere su una prospettiva del mercato immobiliare (sarebbe crollato nel giro di due anni) attraverso dei CDS (sono degli swap, ovvero dei contratti, che fungono da assicurazione finanziaria sul rischio); poi abbiamo Mark Baum (Steve Carell), un trader che viene contattato da Jared Vennett (Ryan Gosling) che vorrebbe investire sui CDO (obbligazioni di debito collateralizzate, che illudono in un ipotetico investimento per la “falsa” valutazione alta e invece sono molto rischiose, con un rimborso che va contro le aspettative); per arrivare infine a Ben Rickert (Brad Pitt) che è entrato in contatto con due giovani investitori Charlie e Jamie (interpretati rispettivamente da John Magaro e da Finn Wittrock) permettendo loro di creare un “affare sporco” a tutti gli effetti, scommettendo sul fallimento delle persone comuni e delle famiglie che hanno alle spalle un mutuo per la casa o i risparmi di una vita.

So che vi sto confondendo, infatti mi fermo e vado con la mia opinione sul film. È un film fatto benissimo, regia eccezionale quella di Adam McKay, molto dinamica e diretta. Si può reputare un film difficile per comprendere tutto il giro manipolato da queste “menti”, ma in fin dei conti la conclusione è unica: loro ci hanno guadagnato, analizzando i dati e con i propri metodi, scommettendo sul fallimento delle famiglie e appunto chi ha subito si è ritrovato senza nulla. Interpretazioni ottime e immediate da parte di tutti, anche da attori che hanno interpretato personaggi secondari, che non cito perché poco rilevanti, a mio parere. Questo film ha vinto il Premio Oscar alla miglior sceneggiatura non originale (scritta dal regista e da Charles Randolph) tutto sommato meritato perché comunque ha fatto risaltare tutte le conseguenze generate sia da un lato sia dall’altro e alla fine diventa anche emotivamente tosto da digerire di come tutto ha avuto un balzo e un crollo allo stesso momento, soprattutto quest’ultimo. Inoltre è stata anche abbastanza esilarante e con ciò ha alleggerito notevolmente la vicenda. Ammetto che far parlare personaggi come Margot Robbie e Selena Gomez di economia, non credo sia stato molto credibile (sfiderei chiunque abbia visto questo film che mi dica sia stato attento a seguirle). La battutina di turno la dovevo fare, ma il discorso vale anche per lo chef Anthony Bourdain. Ma allora Richard Thaler? È un economista, più credibile di lui? Eh ma non so, la scena in cui ha parlato non era propriamente azzeccata. Comunque quello che dice un economista, può essere una legge ma è relativa date le numerose analisi, opinioni che fanno e le scuole di pensiero economiche! Come questa recensione, non è assoluta perché é un’opinione fra tante. Sono solito a commentare aspetti come fotografia e musiche, ma qui non spenderò parole perché sono state semplici (fotografia curata da Barry Ackroyd e musiche da Nicholas Britell), ma proprio due parole sul montaggio le spenderei volentieri, per il fatto che sia riuscito a bilanciarsi con la regia dinamica di McKay e creando qualcosa per nulla sproporzionato. Buono il lavoro svolto da Hank Corwin.

Il film va visto per cercare di capire cosa è accaduto dietro ad una crisi internazionale come quella del 2008 e di come due, tre, se non quattro generazioni di persone abbiano vissuto questo brutto periodo ricaduto sulla credibilità delle banche e sul mercato immobiliare, azionario e tutto ciò ad essi collegati (situazione dei risparmiatori inclusa). Bisogna stare attenti a chi affidiamo i nostri risparmi e a come gira l’economia e la realtà. Con questa storia triste, in fondo, McKay è riuscito a trasmettere il concetto. Anche di come sia tutto ingiusto agli occhi dei piccoli risparmiatori e di chi ha sacrificato tanto.


  Care lettrici e cari lettori, come avete potuto notare, purtroppo, nemmeno in questo mese appena concluso sono riuscito a rimanere costant...