giovedì 29 febbraio 2024

Una donna che colmi le sue fragilità in...dieci minuti



Recensione redatta da Valerkis

Anche Maria Sole Tognazzi, con il nome che porta, si prende una piccola parte degna di chiamarsi “cinema italiano”, tornando a dirigere un film dopo quasi dieci anni. La storia di questo film racconta di una donna che vive diverse situazioni, come dice il titolo, per “dieci minuti”, cercando di riprendere così la giusta strada da percorrere.

Bianca (Barbara Ronchi) è la nostra protagonista, alle prese con un crollo totale della sua vita. Non sa che strada percorrere, non sa cosa fare. Nella vicenda c'è Giovanna Brabanti (Margherita Buy) che sarà la sua aiutante dal punto di vista clinico, anche se si comporta in modo tale da non sembrare la classica dottoressa che ti segna le cure da prendere. Diventa più una consigliera. Poi c’è Jasmine (Fotinì Peluso), sua sorella, considerata un’altra aiutante rilevante per Bianca e con la sua visione aperta e giovanile, vuole cercare di aiutarla a risolvere il suo problema. Bianca si circonda così di molte persone che nel suo percorso di ripresa daranno un contributo, quando infine un semplice chiarimento porterà Bianca ad un punto che può ritenersi finalmente libera dai suoi maledetti malanni.

Vorrei, prima di tutto, parlare degli attori e delle loro interpretazioni e passare poi agli aspetti estetici e tenendo per ultimo il lato registico e la sceneggiatura.

Barbara Ronchi ha interpretato un personaggio affranto e distrutto a causa di vari fattori che hanno cambiato le sue giornate e mi è piaciuta veramente tanto, perché tra intonazione cupa ed espressioni visive di smarrimento determina un bel personaggio con i suoi numerosi turbamenti e dubbi. Margherita Buy, più va avanti e più si definisce come attrice, con un personaggio diverso da molti interpretati da lei e questo l’ho apprezzato notevolmente anche sul piano registico, ovvero di come la Tognazzi abbia sempre trovato alla Buy l’ottimo personaggio da interpretare per estrapolare appieno tutte le sue capacità recitative. Anche il personaggio di Jasmine mi è piaciuto e l’interpretazione della Peluso mi è sembrata conforme anche all’età mostrata, così libera ma così premurosa. Gli altri personaggi sono stati da sfondo alla vicenda di Bianca, nel bene e nel male e comunque sono state interpretazioni più che proporzionali. 

La fotografia di Luigi Martinucci è stata semplice ma in alcuni momenti ha impresso attimi, sguardi e sfumature di belle vedute di città come Roma e Palermo. La colonna sonora di Andrea Farri accompagna il tutto con dei tristi violini, anche inquietanti per certi versi e non sono presenti solo violini. Comunque apprezzata pienamente. Per un momento ho trovato notevole anche il montaggio, curato da Chiara Griziotti, soprattutto quando ha dovuto creare in una scena un effetto di confusione, sovrapponendo gli sguardi della protagonista.

Adesso si può parlare di regia e sceneggiatura. Per quanto riguarda la sceneggiatura, scritta dalla regista e da Francesca Archibugi, ha definito una storia alquanto “agrodolce”. Ecco come la definirei. Ti lascia dell’amaro, ma tanto, perché immergendoti nella disperazione di Bianca comprendi di vivere in una realtà distorta, malata e che non ti solleva, se non possiedi degli input per risolvere il problema e il dolce, sta nel fatto che grazie alla cerchia di persone in cui si ritrova e a quei “dieci minuti” di follia, felicità, sfogo o quello che volete voi, la protagonista si ritrova in una condizione nella quale si sente soddisfatta, dove il cambio d’umore ribalta in meglio la visione della realtà. Ho apprezzato anche alcuni riferimenti fatti dalla protagonista e dalla dottoressa Brabanti, passando tra Calvino e Tolstoj, che possono essere coerenti nel definire meglio la vicenda sul come andare avanti per superare le proprie fragilità e sul percorso che la protagonista deve intraprendere. La Archibugi si è fatta riconoscere grazie ai flashback, rappresentati nel suo pieno stile. Comprendo pienamente l’utilità per capire la causa dei problemi di Bianca, ma non so se sono stati inseriti al momento giusto. A mio parere, sarebbero stati più opportuni farli vedere entro la prima mezz’ora, ma con un’alta probabilità di cambiare l’andamento dei fatti, in base a come li abbiamo visti realmente. In generale, su degli aspetti si poteva migliorare parecchio, partendo dai flashback stessi che non sono stati esaustivi con i dettagli nel far capire immediatamente il perché Bianca è arrivata al punto di come l’abbiamo conosciuta al primo minuto. Insomma tendono a non darti un’idea chiara della pre-vicenda nell’immediato. Magari avrei approfondito di più il personaggio di Jasmine, forse più presente e più vicina a Bianca di quanto si è visto. Per quanto riguarda la regia di Maria Sole Tognazzi, io mi ricordavo nei film passati come riusciva a risaltare la figura della donna protagonista in ogni forma e in ogni personalità, cosa che è riuscita anche qui con la Ronchi e l'attrice è riuscita a trasmetterlo, quindi bravissima. La regista vuole lasciare il messaggio di come un personaggio, alla fine, semplice rappresenti tante donne che riescono a risultare vincenti nei propri passi e nelle proprie scelte, superando le proprie fragilità. Discorso che vale in generale, per tutti, ma non è una coincidenza che la protagonista sia proprio una donna, secondo me. 

Bel film che va visto, apprezzato, capito e infine risolto come Bianca, tutto sommato, riesce. Non dura dieci minuti il film, lo so, ma dedicatevi cento minuti della vostra vita a questa storia interessante che se strutturata meglio, poteva regalarci qualcosa di veramente entusiasmante che arricchisce il cinema italiano contemporaneo.

domenica 25 febbraio 2024

Abbi paura…abbi molta paura!


Recensione redatta da Valerkis

Con questo film vorrei cominciare a trattare sul blog un regista riconosciuto nel suo genere: David Cronenberg. Ho deciso di recuperare un po’ del suo repertorio e spero di riuscirci. Partirò con questo film, visto in tv qualche sera fa e non mi sarei aspettato un coinvolgimento così notevole data la sua strana e forse anche surreale (per quell’epoca) idea da portare in sceneggiatura.

Seth Brundle (Jeff Goldblum) è uno scienziato che incontra la giornalista Veronica “Ronnie” Quaife (Geena Davis) e tra i due nasce subito un “feeling” che si tramuterà in qualcosa di puramente sentimentale. Nel corso della conoscenza, Ronnie si addentra nella ricerca e nell’invenzione di Seth, che potrebbe cambiare definitivamente la realtà: il teletrasporto. Ma potrebbe diventare qualcosa che da un semplice decifrare di codici e immagini tra uno spazio e l’altro, un’interferenza può generare un cambiamento stratosferico della genetica, rivoluzionaria alquanto spaventosa.

Cronenberg ha curato regia e sceneggiatura come meglio poteva fare in questo film. La sua regia mi ha lasciato impresso qualcosa di spaventoso, di surreale e di ingegnoso che ha ridefinito lo stile fantascientifico, che si stava sviluppando bene in quegli anni e il genere horror, messi insieme. Insomma, il suo lavoro è quello di far trasformare umani in mostri e personalmente ho ritrovato un aspetto, secondo me, notato da pochissimi: quello che gli succede al protagonista si potrebbe associare, a livello intrinseco, ad un messaggio che va a colpire metaforicamente persone, come gli scienziati, spesso criticate continuamente come i creatori di conseguenze disastrose per la comunità. Ma non voglio dire che gli scienziati e i ricercatori creino solo danni. I due protagonisti, con le proprie interpretazioni, coinvolgono lo spettatore e quindi complimenti sia a Goldblum sia alla Davis, anche se lui è riuscito a giocare meglio con l’espressione facciale, assumendo così un’interpretazione più teatrale del previsto. Non togliendo nulla alla Davis, anche lei bravissima per il personaggio interpretato. A pensare che c’era stata una diatriba per il cast da scegliere, quanto per la regia e secondo me la scelta finale è stata decisamente buona per un film che consiglio di vedere assolutamente.

Anche io ho apprezzato la pellicola come molti di coloro che l’hanno vista, ovvero per gli effetti speciali dell’epoca, per la storia sentimentale e per l’interpretazione di Goldblum. Gli effetti speciali, curati da Chris Walas e Hoyt Yeatman, hanno dimostrato la propria predominanza anche perché in quegli anni erano unici nel loro essere. La colonna sonora, curata da Howard Shore, ha accompagnato notevolmente la vicenda e personalmente mi è piaciuta molto. Questo film vinse l’Oscar nel 1987 come miglior trucco e senza dubbio, Chris Walas e Stephan Dupuis, hanno fatto un lavoro lodevole soprattutto nel rappresentare il processo della metamorfosi. Si aggiudicò anche tre Saturn Award (miglior film horror, miglior attore e miglior trucco). Meritati, sicuramente!

La scena finale è toccante per la storia sentimentale che si è creata tra i due protagonisti e sarebbe anche impensabile, per un attimo, ma finisce nel modo più amoroso possibile con un enorme dubbio. È un finale aperto, ve lo dico subito! Altro aspetto nel film coinvolgente riguarda il fatto di come le nuove tecnologie presenti in questa storia hanno previsto quelle attuali, in primis il riconoscimento vocale. Parliamo del 1986.

Cronenberg, insieme a Charles Edward Pogue, firma una sceneggiatura che costituisce qualcosa di simbolico nel genere del “body horror”, nel bene e nel male e alla regia si presenta come un’autentica icona di questo genere, essendo puramente appassionato nel trasmetterci emozioni, situazioni e tecnologie avanzate in un’unica vicenda. La mia critica, infine, sta omaggiando un regista che vorrei approfondire nelle successive recensioni e un genere strano, surreale e spaventoso in ogni aspetto. Complimenti a tutti, storia che merita di essere vista!


sabato 17 febbraio 2024

I BEATLES AL CINEMA

Articolo redatto da Rickers


Marzo 1963. In Gran Bretagna esce “Please Please Me”, album d’esordio dei Beatles. Il primo lavoro del quartetto nativo di Liverpool ha un impatto talmente enorme da riuscire istantaneamente a catalizzare l’attenzione di migliaia di giovani inglesi. È un successo clamoroso, che viene rafforzato a novembre con l’uscita di “With the Beatles”, secondo capitolo dell’epopea musicale del quartetto. La popolarità del gruppo è in forte ascesa, in tutto il mondo. Dovunque vadano, i Beatles sono osannati a grido unico. È l’inizio della “Beatlemania”.


Contestualmente all’esplosione della “Beatlemania”, i quattro di Liverpool approdano anche al cinema. Risale al luglio 1964 “A Hard Day's Night” (noto in Italia come “Tutti per uno”), il primo film con protagonisti i quattro membri dei Beatles. 


Distribuito pochi giorni prima il lancio dell’omonimo terzo album del gruppo, “A Hard Day's Night”, prodotto United Artists per la regia di Richard Lester, è una pura celebrazione del fenomeno epocale della “Beatlemania”. Nel film, i quattro vengono seguiti in tutta una serie di avventure che fanno da contorno ad una loro attesissima esibizione televisiva. Tralasciando la natura meramente iconografica, il film si rivela un buon successo di pubblico e critica, contribuendo in modo rilevante ad accrescere la popolarità del quartetto.


Di tutt’altro calibro è il successivo “Help!” (noto in Italia come “Aiuto!”). Distribuito nelle sale ad agosto 1965, il film vede ancora la regia di Lester ma non riuscì ad ottenere lo stesso seguito del film precedente. Il film anticipa l’uscita dell’omonimo album, il quinto del gruppo.


“Magical Mystery Tour”, data la scarsa durata di 55 minuti, non viene distribuito in sala ma viene direttamente destinato alla televisione. Trasmesso per la prima volta nel dicembre del 1967, il film viene immediatamente bocciato dalla critica e dal pubblico. “Magical Mystery Tour”, film privo di una linearità vera e propria, mostra una serie di episodi, tra l'assurdo e il grottesco, vissuti da un gruppo di personaggi nel corso di un viaggio in autobus. 


Per i Beatles si tratta di un esperimento unico. “Magical Mystery Tour” è il primo (e unico) tentativo fatto dal gruppo di girare un film in completa autonomia. Il lavoro si rivela più complicato del previsto. Il raffazzonato misto tra musica, comico, onirico e psichedelico è fin troppo esile per un film.


“Yellow Submarine” (1968) è l’ultimo film con protagonisti i quattro dei Beatles, se si esclude il film documentario realizzato in occasione dell’ultimo concerto pubblico del gruppo.


“Yellow Submarine” è un film totalmente figlio del suo tempo, contemporaneo alla strabordante ondata del fenomeno della psichedelia di fine anni sessanta.

Il meraviglioso paese subacqueo di Pepperland, regno di musica e allegria, viene attaccato dai Blue Meanies, mostri umanoidi blu, che conquistano Pepperland con la forza delle armi, rendendo il paese silenzioso e triste. Il capitano Fred, sfuggito ai Blue Meanies, prende il suo sottomarino giallo e va a Liverpool, dove incontra i Beatles. Toccherà ai quattro liberare Pepperland dalla tristezza.


Distribuito dalla United Artists per la regia di George Dunning, “Yellow Submarine” è un film d’animazione che, nel panorama dell’epoca, riesce a distinguersi per la sua freschezza e novità grafica caratterizzata dalla creatività psichedelica tipica del gruppo. Le canzoni si fondono in un dualismo indissolubile con i disegni e l’animazione, volutamente anti-realistica ed a metà strada tra il surrealismo e lo psichedelico. 


“Yellow Submarine” è un successo massiccio di pubblico e critica, diventando fin da subito una perla del cinema d’animazione anni sessanta. In Italia arriverà l’anno successivo, nel luglio 1969.

mercoledì 14 febbraio 2024

Così surreale e strano ma così artistico


Recensione redatta da Valerkis

Nei giorni scorsi abbiamo avuto in testa al Box Office questo film, diretto da Yorgos Lanthimos, che ci offre una vicenda caratterizzata da varie sfumature e ha un susseguirsi di eventi che vanno dal surreale, all’artistico, all’erotico determinati da aspetti ricercati e studiati molto bene.

Bella (Emma Stone) vive insieme al dott. Godwin Baxter (Willem Dafoe) e comincia ad intraprendere i giusti comportamenti che le insegna per vivere nella “bella società” ma rimane sempre limitata alle quattro mura in cui risiede e a rare uscite campagnole sempre in compagnia sua e di Max McCandles (Ramy Youssef). Ad un punto arriva il personaggio di Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo) che prenderà Bella e la porterà in giro, a scoprire così il mondo e quella che sarà la vita vera. Sarà un viaggio in lungo e in largo che andrà a determinare chissà quale personalità finale di Bella.

Parte già con un incipit bizzarro e surreale, mostrando degli incisi come per mostrare dei simboli o delle opere che potrebbero rispecchiarsi nella vicenda, ma poi si arriva a come tutto inizia e a come tutto si evolve. Partiamo col dire che la durata di 140 minuti è più che giusta, a mio parere. Lanthimos gioca tutte le inquadrature in questo film tra “quadrangolari”, “primi piani” e obiettivi “zoom”, nel pieno senso dell’eleganza e della precisione registica. Le ho apprezzate tutte, dalle scene più innocue e tranquille alle più spinte, sia dal punto di vista erotico sia dal punto di vista chirurgico (avete visto “Il sacrificio del cervo sacro”? Stesse inquadrature e stessa etica. D’altronde, il regista è lo stesso). 

È un film che non annoia, nonostante reputo Lanthimos un regista complesso. Ti fa navigare in una dimensione che inizialmente non si definisce, ma poi ti fa scattare quella scintilla che ti addentra nella filosofia dei personaggi e nella comprensione di tutto l’ambiente che li circonda. Emma Stone, secondo me, ha piano piano avuto interpretazioni più incisive e rilevanti dopo “La La Land”, ma non mi sarei aspettato che fosse riuscita ad interpretare, in ogni modo, un personaggio difficile come quello di Bella, rischiando di non essere pienamente del suo calibro. Invece è riuscita a farmelo piacere sensualmente e come persona, colpita da ogni tonalità che la vita assume. Willem Dafoe rispecchia quello che è, un attore che concede delle garanzie nella propria bravura e nella completezza e compostezza del personaggio interpretato. Mark Ruffalo, per quanto lo possa apprezzare, è affascinato da Bella ma come deluso da lei stessa, però in una maniera troppo esagerata. Infine anche Ramy Youssef interpreta molto bene il suo ruolo di perfetto curioso di Bella e per fine innamorarsi, anche se la lascia scappare per la sua strada.

Questo film è continuamente accompagnato da colonna sonora e fotografia. La colonna sonora, diretta da Jerskin Fendrix, è caratterizzata soprattutto da incantevoli e inquieti violini che accompagnano le situazioni raccontate da ogni punto di vista. La fotografia, diretta da Robbie Ryan, associa molti colori nel vivo della vicenda che segue l’ottima regia di Lanthimos, anche nelle scene in “bianco e nero” iniziali. Il consiglio che vi posso dare, per analizzare quest’aspetto, è di osservare attentamente come vengono scelti i colori e in base alle situazioni in cui la protagonista e gli altri personaggi si ritrovano. Ho notato come ci siano stati sia colori caldi sia colori freddi nelle giuste situazioni. Dalla fotografia vorrei passare alla scenografia, diretta da James Price, Shona Heath, Zsuzsa Mihalekz, perché qui forse c’è stata l’unica e piccola pecca, se così vogliamo chiamarla, di tutto il film. Va bene renderla un po’ fantasiosa nel senso di diversa e anche strana, ma neanche troppo “plasticosa” che rende evidente il fatto di essere stato montato e ricreato, appositamente. Il fatto che sia “finto” è troppo rilevante, ecco e questo aspetto non l’ho proprio apprezzato, sinceramente.

Ma lasciando stare questa piccola cosa, recitazione molto buona, regia ottima, colonna sonora e fotografie ben coordinate con la regia. Che posso altro dire? Ho detto tutto, mi sembra, ma al tempo stesso credo di non aver detto molto, perché per quanto è “articolata” la messa in scena di tutto, ci sono sicuramente degli aspetti che possono sfuggire anche al sottoscritto, nel senso che alla prima visione non cogli la completezza di un’opera del genere oppure siamo noi spettatori di turno che non riusciamo ad arrivare all’altezza della visione di Lanthimos, così surreale e strana ma così artistica. Ma in fondo cosa mi ha lasciato questo film? Mi ha lasciato una storia che racconta la vita, o meglio l’approccio alla vita in tutte le sfaccettature, inserendo un personaggio come quello interpretato da Emma Stone curiosa e incredula di quello che fa e che gli accade, ricevendo d’altronde quello che la vita riserva ad ognuno di noi: delusioni, illusioni, verità, ambizioni e sacrifici. Da quella che può sembrare la trasposizione di "Frankenstein Junior”, è diventata una storia che si concentra su aspetti decisamente rilevanti che non richiede una certa logica, ma neanche da sottovalutare ogni singola sfaccettatura assunta. Si assiste, nel complesso, a qualcosa di puramente estetico ma che ti coinvolge e che ti attira, con una chimica che non ancora si spiega nella mia testa. Grazie Lanthimos per tutto questo!

domenica 4 febbraio 2024

Peggiorati in meglio!


Recensione redatta da Valerkis

Qualche tempo fa sentivo dei “rumors”, delle voci di corridoio o leggevo articoli che “I soliti idioti” si erano riuniti dopo dieci anni per ritornare a fare un film insieme con i loro personaggi scorretti e che hanno comunque lasciato un segno nella comicità italiana, nel bene e nel male (giudicate voi). Insomma quando si è realizzato che avevano fatto nuovamente un film insieme, sono andato a vederlo perché comunque volevo capire se dopo tutto questo tempo, era cambiato qualcosa.

Il film non ha una trama lineare, perché sono varie trame in base ai personaggi. C’è Ruggero De Ceglie, Gianluca De Ceglie, il Mafioso, Patrick e Alexio, e tutti gli altri.

È inutile dire che se vogliamo parlare dei loro personaggi, i più iconici sono sicuramente Ruggero e Gianluca e nella loro vicenda c’è stato il risorgimento di Ruggero che tornerà a tormentare il figlio con la sua vita green e rivoluzionaria. Cosa che Ruggero non fa. Insomma, il lupo perde il pelo ma non il vizio. I tamarri Patrick e Alexio trascorrono le loro giornate al bar con gli amici quando per loro gli riserverà una sorpresa. Gli Omosessuali continuano nella divulgazione del loro essere, gli (Im)moralisti sono alle prese con il cercare di avere un figlio per mettersi al pari degli altri e poi i litigiosi e via scorrendo, alquanto divertenti anche se scorretti.

Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio firmano sceneggiatura (anche il soggetto, scritto insieme a Martino Ferro), dirigono il tutto (insieme a Ferruccio Martini) e interpretano come se questo fosse un ritorno simbolico. Attualmente è nelle classifiche alte del “Box office”, arrivato negli scorsi giorni persino a pari merito con il film “Povere creature” (recensione prossima) e qui sorge una domanda, o meglio una riflessione: “Ma siamo tutti peggiorati?”. Evidentemente si e rispetto a dieci anni fa, non credo che la società italiana sia cambiata, anzi forse è peggiorata influenzata da una realtà sempre più difficile e indefinibile e pretendendo troppo su certi atteggiamenti e ritrovandosi, poi, al cinema per farsi delle grasse risate con un sottogenere della commedia più che scorretto. Con questa recensione non voglio assolutamente criticare la mia patria, che amo con i suoi numerosissimi difetti, ma porre una riflessione. Se il pubblico è andato a vedere il film dei “I soliti idioti”, è perché evidentemente ha un’enorme voglia di ridere (fino a prova contraria tu sai che se vai a vedere un film del genere, cosa puoi pretendere?). Ma è volgare, qualcuno potrebbe dirmi e tu rideresti a delle volgarità? Per fare “Box Office”, sì. Significa che l’italiano medio vuole andare al cinema e ridere come non mai e piace qualsiasi cosa che faccia scatenare “l’avvertimento del contrario” come diceva Pirandello. Anche la più banale, anche la più “trash”. In tutto ciò, comunque si è potuto notare come ci siano delle critiche, in fondo, a degli aspetti della società che ci potrebbero riguardare (critica sulla guida automatica delle autovetture, sull’accudire un figlio senza avere un'indipendenza economica e così via). Loro diventano politicamente scorretti parlando di politicamente corretto, questo riescono a fare.

Comunque se volete che parlassi di aspetti tecnici, sarebbero quasi inesistenti oppure per un film del genere non ci si fa caso. Oppure entrambi. 

Andiamo dritti al dunque: perché sono andato a vedere questo film? Perché comunque la curiosità di vedere un loro ritorno c’era e per capire quanto siano cambiati da dieci anni a questa parte. Come ho detto nel titolo, sono migliorati in peggio! È un ossimoro puro, ma è realtà. L’italiano medio (io compreso) tende sempre a rimanere superficiale e a ridere su qualcosa che di fondamento non ha, ma forse ci piace cosí ed ecco perché si prende il podio nel “Box office”. Non so se sarà stato merito anche della presenza di personaggi come Anna Pepe, Sabrina Ferilli (solo per dare voce ad un'assistente vocale) e Gué Pequeno, ma personalmente mi ha fatto fare sicuramente tante risate e poi se vado a cercare la precisione nella struttura della storia e il tutto, devo dire di non averla trovata perché come ho detto non è lineare, ma sono riusciti a riportare quello che sanno fare: la loro comicità azzardata, inadeguata e scorretta, che evidentemente ci piace.


  Care lettrici e cari lettori, come avete potuto notare, purtroppo, nemmeno in questo mese appena concluso sono riuscito a rimanere costant...