sabato 30 aprile 2022

L'ULTIMO 007 (forse)?

 


Recensione redatta da Rickers

Lo scorso settembre abbiamo potuto assistere alla 25° incarnazione dell’agente segreto con licenza di uccidere, probabilmente l’ultima con protagonista Daniel Craig nei panni di James Bond. "No Time To Die" era chiamato ad una difficile impresa, ovvero rispondere alla fredda accoglienza riservata a "Spectre" cinque prima.

Non mi addentrerò troppo nella trama quindi sappiate solo che il film, diretto e co-scritto dal regista Cary Fukunaga, è ambientato cinque anni dopo "Spectre" e vede James Bond, ormai ritirato dall’MI6, alle prese con quella che è la sua ultima grande missione. Una missione ricca di colpi di scena e di pathos, che sa intrattenere e sa trasmettere emozione; forse un po’ più diluita, lunghetta e contorta del necessario ma comunque apprezzabile e abbastanza godibile nel complesso. Da un punto di vista registico, Fukunaga si è dimostrato croce e delizia. La sua regia è accettabile per buona parte del film anche se costellata da grandi lacune; gli effetti speciali sono stati usati con sapienza, senza strafare e hanno permesso di elevare non poco certe scene; le scene d’azione risultano godibili e ben riuscite anche se molte di esse alla lunga sembrano "coreografate" con pesantezza, spezzando così il ritmo già di per sé lento di una pellicola fin troppo annacquata e forse un tantino allungata.

Il cast, estremamente valido sulla carta, ha tradito subdolamente le attese: certo Daniel Craig è come sempre una garanzia, Léa Seydoux dimostra un buon potenziale anche se un po' inespresso in questo film e forse Ana de Armas rappresenta la parte migliore dell’intero film (nonostante compaia per si e no una quindicina di minuti scarsi). Tuttavia hanno completamente fatto fiasco sia con Rami Malek che con Lashana Lynch. Per Malek nutrivo un sincero interesse e sono contento di aver visto l’ennesima grande performance dell’attore statunitense ma sono rimasto deluso dal personaggio vuoto e tremendamente insignificante che è andato ad interpretare. Il classico cattivo che ragiona e agisce con il troppo scontato “perché si”, un personaggio piatto e monotono che di cattivo ha ben poco, insomma il solito e noioso stereotipo del cattivo standard. Per la Lynch la delusione è doppia considerando che con lei hanno sicuramente intenzione di farci qualcosa ma dopo una presentazione simile non vedo proprio come possano farlo. Il personaggio della Lynch l’ho trovato tremendamente anonimo e senza carattere, dimenticabile e per certi versi anche di contorno a Craig.

La colonna sonora è forse uno dei pochi vanti di questo film, non a caso è stata composta dal leggendario Hans Zimmer. Incalzante e mai ripetitiva, con una leggiadra armonia in ogni scena, dall’inizio alla fine. La theme song di questo capitolo è "No Time To Die", interpretata dalla talentuosa Billie Eilish, che si sposa a meraviglia con quelle che sono le tonalità del film. Inoltre la canzone diventa attrice protagonista di una delle più belle opening scene della saga di 007.

In conclusione, "No Time To Die" risulta essere un film sufficiente e nulla più. Una grandissima occasione sprecata dal mio punto di vista perché il potenziale c’era ma non è stato sfruttato a dovere. Ambientazioni suggestive, trama interessante e musiche azzeccate i suoi pregi più evidenti; pesantezza narrativa, personaggi ai limiti del caricaturale e durata eccessiva i suoi più grandi difetti. "No Time To Die" non rappresenta assolutamente uno "scandalo cinematografico", anzi. Intrattiene e anche bene, però lo fa impiegando il minimo sindacale. Da questo punto di vista possiamo paragonare questo film al classico stereotipo dello studente che si accontenta di prendere l'onesto sei ad una verifica o ad una interrogazione: sa che, volendo, potrebbe fare di più ma non si vuole impegnare. "No Time To Die" ha questo stesso brutto vizio che lo fa rimanere inchiodato in quella spirale di mediocrità che proprio non gli appartiene. Il franchise di 007 avrebbe bisogno di una svecchiata, di una scossa che possa in qualche modo liberarlo dalla stretta della mediocrità in cui ormai è invischiato da anni... Troppi anni. Per finire, mi sento di consigliare questo film ai classici e immancabili spettatori occasionali così come agli appassionati di film d’azione, che di sicuro troveranno questa pellicola godibile e appagante.

martedì 26 aprile 2022

Che bisogna fare per vivere e mangiare, se conduco una vita normale e dignitosa?

 Recensione redatta da Valerkis


La Palma d’Oro a Cannes nel 2016, il David di Donatello per il miglior film dell’Unione Europea nel 2017, il miglior film britannico 2017 e il Premio César 2017 sono stati assegnati al film di Ken Loach che racconta la storia di un uomo chiunque, un lavoratore, una persona per bene, che paga le tasse ed è altruista verso gli altri, quando un giorno la sua vita viene segnata da un infarto e a causa di quest’ultimo, il medico lo costringe a rinunciare al lavoro e a fare riabilitazione ma per sopravvivere ha diritto a fare domanda per un sussidio che gli permette di mangiare e di vivere sotto ad un tetto. Daniel Blake (interpretato da Dave Johns) è un bel personaggio in base alla semplice vita che vive e per la sua simpatia mostrata nelle situazioni anche nelle più difficili (ad esempio quando si mette a discutere con le agenzie che aiutano a trovare lavoro o che attivano i sussidi). Ha un vicino di casa, China (interpretato da Kema Sikazwe) che risulta essere un ottimo aiutante per il protagonista, perché comunque riesce ad aiutarlo in alcune situazioni e si propone anche per aiuti più impegnativi, nonostante si trovi pure lui in una situazione per niente florida, al punto di vendere, evadendo il fisco, scarpe acquistate dalla Cina. L’incontro con Katie (interpretata da Hayley Squires) e i suoi due figli è fondamentale perché riesce a svoltare la sua cerchia di conoscenze rendendosi utile per una situazione familiare più fragile della sua e mi ha toccato soprattutto quando Katie, disperata, in una sorta di “centro Caritas” stava facendo la spesa e si apre una latta di passata di pomodoro e se la “mangia” con le mani. Ho percepito la disperazione assoluta dell’essere umano, al punto quasi di commuovermi.

Questo film affronta la tematica dei diritti dei cittadini e dei lavoratori, dove Daniel Blake si ritrova in una burocrazia telematica, nella quale lui prova un completo disagio e non riesce a fare domanda e quando ci riesce con l’aiuto di qualcuno, poi è costretto a fare ricorso perché non gliel'hanno accettata o addirittura lo minacciano di mostrarsi disponibile nel trovare lavoro e qui arriva una parte del film che non saprei dire se è contorta la storia oppure nella realtà fanno questo “giochetto” ridicolo e imbarazzante, in rappresentanza di uno stato sociale che dovrebbe venire incontro alle esigenze dei cittadini.

La lettera del protagonista, alla fine, rappresenta la condizione di tante persone le quali non riescono a far valere i propri diritti e se continueremo di questo passo, i sacrifici di tante persone per farci acquisire i nostri diritti sono stati vani rendendo i vari stati non “democratici” ma “assoluti”. Torniamo al discorso: “La storia non ci ha insegnato nulla!”.

Loach riesce a dirigere un buon film rendendolo straziante e triste al momento giusto ma non dura per tutto il corso della storia.

venerdì 22 aprile 2022

RITORNO AL FUTURO (ma nel presente)

 

Una recensione ideata e redatta da Rickers in collaborazione con Valerkis.

Inutile girarci attorno: Ritorno al Futuro ha segnato la storia del cinema. Reso icona e pezzo forte del cinema anni ottanta e rimasto poi immortale fino ai giorni nostri come imperdibile pellicola cult, Zemeckis con questo film è riuscito a scolpire indelebilmente il suo nome nella storia del cinema americano e mondiale grazie al perfetto mix di comicità, scienza e stravaganza proprie di un film “alla Ritorno al Futuro”.

In cabina di regia troviamo quindi Robert Zemeckis, in forte ascesa dopo il successo de “All'inseguimento della Pietra Verde”, mentre come attori principali troviamo Michael J. Fox che interpreta Marty McFly, un ragazzo come tanti che però ha come amico lo strambo quanto geniale Emmett Brown, interpretato da Christopher Lloyd, uno scienziato che sogna di viaggiare nel tempo. “Doc” Brown trasforma quindi una DeLorean in una macchina del tempo, convinto di poter realizzare il suo sogno. Tuttavia una serie di eventi catastrofici spingeranno Marty ad usare la macchina e a tornare indietro nel tempo, precisamente agli anni cinquanta. Marty quindi deve riuscire a tornare “nel futuro” cercando al tempo stesso di evitare il collasso del continuum tempo-spazio.

Il film (datato 1985), tramite trama, sceneggiatura e personaggi, offre uno scorcio curioso e interessante della società dell’epoca. In quegli anni era in atto un vero e proprio mutamento generazionale; i più giovani avevano attuato un cambiamento di mentalità e di cultura, dettato principalmente dal contesto storico in cui si trovavano (si era ancora in un forte clima di Guerra Fredda), evolvendo da una generazione più “proto-pop” ad una veramente “pop”. Tutto ciò si riflette in Ritorno al Futuro, con lo scontro generazionale parte integrante delle vicende: la ribelle disciplina con cui i padri erano cresciuti contro la sfrontatezza quasi sfacciata dei figli. Bravo Zemeckis (che in questo caso si rivela anche sceneggiatore insieme a Bob Gale) a fondere con dinamismo periodi storici completamente agli antipodi e trovando allo stesso tempo il modo di incorporare aspetti attuali della società dell’epoca. La regia riflette questa linea di pensiero, grazie ai frequentissimi primi piani e alle inquadrature sui personaggi protagonisti delle scene. Non mancano sbavature dal punto di vista della regia, in cui è evidente che ci fosse inesperienza nella cinepresa di Zemeckis, con alcune scene poco fluide e altre rivedibili. Errori che comunque non inficiano assolutamente la fruizione del film, ma che alla lunga possono dare fastidio all’occhio più attento. Una pecca su cui è impossibile chiudere un occhio sono gli effetti speciali; già scricchiolanti all’epoca ma tutto sommato accettabili, oggi proprio non si riesce a non rimanere indifferenti di fronte alla tremenda fatica con cui stanno si trascinando da quasi quarant’anni a questa parte… Ora torniamo alle cose belle però: l’intero cast è stato eccezionale nell’interpretazione dei personaggi. Un Michael J. Fox superlativo e un Christopher Lloyd in forma smagliante consegnano alla pellicola un fascino ancora più nostalgico e intramontabile. Se aggiungiamo il doppiaggio (soprattutto quello italiano) si rende il tutto, se possibile, ancora più immortale. A differenza degli effetti speciali, il comparto audio è rimasto ancora oggi eccezionale e godibile al massimo (basti pensare che il film si è meritato la statuetta dorata dell’Academy come miglior montaggio sonoro ed era in corsa per il miglior sonoro). La colonna sonora, composta dal maestro Alan Silvestri (esatto, lo stesso che ha composto le musiche dei vari Avengers), è ancora oggi ricordata come una delle più iconiche soundtrack mai composte, grazie all’uso di tecniche e tecnologie avanzate per quegli anni. Per finire la theme song, “The Power Of Love” di Huey Lewis e dei suoi News e ancora oggi ricordata come uno degli inni intramontabili degli anni ottanta, è stata candidata come “miglior canzone originale” ai Premi Oscar 1986.

In dirittura di arrivo ritengo personalmente che Ritorno al Futuro possa essere visto come la perfetta incarnazione della classica cultura pop anni ottanta. Un film che attraverso i personaggi, le ambientazioni e la musica riesce nell’intento di trasmettere allo spettatore “una fetta di vita” della società dell’epoca. Non rappresenta certo il miglior film della storia del cinema, ma con il suo stile energico ed esuberante riesce a catturare lo spettatore e a coinvolgerlo al massimo. Tra i suoi punti di forza senz’altro c’è questa sua capacità di far immergere lo spettatore fino in fondo nelle ambientazioni e nelle vicende della pellicola. La regia efficace nel suo intento ma non impeccabile e gli effetti speciali davvero pessimi non hanno assolutamente intaccato le musiche splendide, l’ottimo recitato, la trama e l’atmosfera che hanno contribuito a rendere leggendario questo film. Raccomando la visione di questo film allo spettatore casual ma anche e soprattutto al classico fan del filone fantascientifico, che di sicuro troverà questo film particolare ma soddisfacente nel suo insieme.

martedì 19 aprile 2022

Ma ognuno di noi vorrebbe vivere una vita dove gli eventi hanno un senso nel loro trascorrere oppure che sia tutto programmato e veniamo ripresi anche in quei momenti cui riteniamo “intimi” ?

 Recensione redatta da Valerkis 


The Truman Show è un film del 1998 per la regia di Peter Weir dove abbiamo protagonista Truman Burbank (interpretato da Jim Carrey) che vive la propria vita come ognuno, più o meno, la vivrebbe. Ma c’è un particolare per il quale influenzerà la sua vita, la sua visione della “realtà” che lo circonda come tutta la storia del film: la sua vita in tutti gli aspetti e in ogni momento viene ripresa a livello televisivo da quando è nato fino ai 30 anni di età (attualità della storia) e viene anche seguita da moltissime persone sparse per il mondo, acquisendo senza saperlo una certa notorietà in base alla vita che vive e ai suoi comportamenti assunti.

Questo film analizza la tematica di un periodo storico importante per la cultura di massa e la televisione mondiale: la diffusione dei reality show. Il concetto di reality show ci dovrebbe porre tante domande, ma ne faccio una sola che vale per tutto: “Ma ognuno di noi vorrebbe vivere una vita dove gli eventi hanno un senso nel loro trascorrere oppure che sia tutto programmato e veniamo ripresi anche in quei momenti cui riteniamo “intimi” ?”. Per rispondere a questa domanda mi viene da pensare subito ad eventi “intimi” dove si potrebbero risparmiare le riprese televisive, come la nascita, il matrimonio e il primo giorno di scuola, nel quale proprio nella formazione del protagonista nasce la sua notorietà. Per continuare a rispondere alla domanda e pensando ad un classico programma reality, vorrei rispondere in questo modo: “Pensare di vivere una “realtà” mostrata come in questo film può sembrare bello per evitare di vivere una vita influenzata da fattori negativi e tragedie che nel mondo accadono, come dice alla fine Christof, il “papà” del programma dove Truman è protagonista (interpretato da Ed Harris), ma dico anche è bruttissimo sapere che gli eventi accaduti in questa “falsa realtà” sono programmati e di conseguenza le persone che ci circondano sono false nei loro comportamenti e nei momenti dove ci vogliono mettere a proprio agio, come il miglior amico di Truman che lo conforta e le battute gliele dice Christof dalla regia. Allora sapete che vi dico, se la vita deve essere circondata da una programmazione generale faccio come fa Truman alla fine, esce dallo studio cinematografico e prova ad assaporare la vera vita, anche se circondata da catastrofi e tragedie i quali nessuno di noi vorrebbe sentire e perciò ci rende più fragili.

Jim Carrey è l’attore azzeccato per il ruolo da protagonista e fa una parte diversa dal solito comico-demenziale con cui lo conosciamo molto bene, anche Ed Harris riesce nel suo ruolo freddo e finto, così da rendere un film importante nel suo insieme caratterizzato anche dalla simpatia mostrata dal personaggio e di cui ne fa padrone Jim Carrey, ma con un messaggio di riflessione nei confronti della vita che vive ognuno di noi e sulla visione della realtà (anche piccola) che ci circonda, secondo me ancora sottovalutata.

venerdì 15 aprile 2022

Un po' di Neorealismo

 Recensione redatta da Valerkis 


Sicuramente vedere film in bianco e nero per un ragazzo della mia generazione come me, ha un impatto diverso rispetto a persone più grandi che ci sono cresciute con questi film e quindi noi siamo abituati a vedere e a comprendere maggiormente film più moderni.

Diciamo che sono due le caratteristiche principali di questa pellicola: l’ambientazione e il contesto sociale. Partiamo da quest’ultimo che si affronta già dalle prime scene, dove si festeggia un matrimonio dentro una specie di casale e con la protagonista “Mamma Roma” (interpretata da Anna Magnani) che si considera “l’anima della festa” e poi prende suo figlio piccolo in braccio facendo capire che per lei è la cosa più cara che ha in vita sua, al punto di volerlo con sé in città, fuori da “sta mandria de burini”.

Mamma Roma è una prostituta che poi diventa una mercante di strada e deve pensare a mantenere se stessa e il figlio diciottenne Ettore (interpretato da Ettore Garofalo) che non vuole pensare minimamente al lavoro e trascorre le sue giornate a vagabondare per il quartiere periferico del Quadraro con i suoi amici. Gli amici si considerano dei piccoli criminali che pensano a fare furti e a Ettore non interessa tutto questo. Successivamente conosce la ragazza-madre Bruna (interpretata da Silvana Corsini) che gli fa nascere il desiderio di conquistarla, facendole piccoli regali a livello oggettivo, ma preziosi e anche costosi a livello economico. Mamma Roma, dal punto di vista del figlio, rappresenta quello che chiamerò “il protezionismo familiare” ovvero quei genitori che vogliono proteggere i figli volendo che si limitino a fare il loro mestiere oppure ai lavori che trovano loro. Ettore quando scopre che sua madre faceva la prostituta si allontana definitivamente e poi finisce dentro un manicomio, perché lo trovano a rubare in un ospedale e comincia ad urlare proprio come un pazzo. Il dolore e la febbre che lo tormentano in quel momento, porteranno alla fine prematura della sua vita e alla disperazione della protagonista.

Con questo Pasolini ricorre alle tematiche della società povera del Dopoguerra nei mestieri e nei gusti e la gioventù che si ritrova spaesata nei confronti della realtà che li circonda, tormentati dalla noia e dalla visione incerta verso il futuro. Tutto sommato il film può sembrare incomprensibile a causa della sua pesantezza, ma è giusto così perché riesce comunque a rappresentare in maniera buona quella difficile realtà e un'altra particolarità è anche l’uso del giocondo dialetto romanesco.


mercoledì 13 aprile 2022

Grazie tante...David Giovani

Recensione redatta da Valerkis


Per cominciare, vorrei condividere con voi la recensione del film che ho votato e portato alla candidatura e di conseguenza ha vinto il David Giovani 2021. Il film si intitola "18 regali" per la regia di Francesco Amato.





Il film di Francesco Amato, rappresenta la mia nomination ai David di Donatello 2021 per la categoria “Giovani”. Ogni tanto vedere sul grande schermo (in quest’occasione non proprio per il problema della pandemia) storie realmente accadute, come queste, è interessante e nel caso di questa storia, anche difficile, perché si narra soprattutto di un sogno. Quanto sono importanti i sogni? Me lo ha chiesto una persona molto cara a me e rispondo che sono molto importanti, sono dei segnali che ci arrivano sull’immaginazione, oppure su quella che è la vita di tutti i giorni, oppure sul futuro. Vittoria Puccini, teatralmente, è cresciuta molto interpretando la parte di Elisa Girotto ed è stata maestosa in questo film, dimostrando la sofferenza di una giovane donna che riesce a rimanere incinta e portare a termine la sua seconda gravidanza, non essendo riuscita a portare a termine la prima. Non potrà vedere la figlia, perché sa che morirà per un terribile tumore al seno incurabile e quando Elisa lo viene a sapere, viene inquadrata la vernice bianca colorata da una sfumatura di rosso (per fare il colore delle pareti della stanza della figlia) e successivamente abbiamo una scena caratterizzata dalla percorrenza di un tunnel e dalla pioggia. Cosa significano questi? La situazione appena successa! Una situazione instabile, rappresentata soprattutto da quel rosso che macchia il bianco. Nata Anna, la figlia di Elisa e Alessio (interpretato da Edoardo Leo) si nota un personaggio passivo, che poi appena ottiene in braccio la figlia appena nata scoppia in un’emozione mista, tra il pianto per la perdita della moglie e quello per la nascita della figlia. Passano tanti anni in piccoli frammenti, con i vari regali programmati da Elisa prima di morire e ai suoi diciotto anni, Anna (interpretata da Benedetta Porcaroli) vuole dire basta a questa storia di ricevere i regali di questa donna mai conosciuta (sua madre) e la rabbia la travolge, fino al punto di scappare di casa. Nel fuggire, Anna viene investita ed entra in coma. Qui inizia una serie di “flashback” tra il sogno di Elisa e il coma di Anna, direi strutturato molto bene e lo spettatore riesce a comprendere gli intrecci della storia. Questo diventa un momento unico dove le due donne per una serie di eventi si incontrano. La Porcaroli riesce a trasmettere nelle scene seguenti l’immagine di un’ Anna incredula e che deve in qualche modo comunicare la vera identità alla madre. Nell’altra dimensione, c’è la notizia del tumore e successivamente si vede un Alessio frustrato e che riesce a condividere il dolore provato da Elisa. Nell’aria della vicenda si nota che quella è stata una specie di “estate nera”, dove c’è la luce del sole e il calore della bella stagione con la presenza di una sfumatura negativa della situazione trasmessa dagli sguardi della Puccini. Il rapporto mancato in diciotto anni, viene recuperato in questo momento. L’idea dei regali è stato l’unico modo per dimostrare ad Anna che la mamma c’è stata e ci sarà per sempre. La scena del matrimonio tra Elisa e Alessio? È stato il simbolo della fine, perché poi è iniziato il momento pre-parto (pre-morte) e anche Anna lo “vive”. La pelle pallida della Puccini inquadrata prima di partorire, parla da sola e tutti questi particolari analizzati rispecchiano perfettamente la vicenda, compresi gli sguardi degli attori e i miei complimenti sono rivolti soprattutto a loro, fino ad arrivare agli sceneggiatori che sono riusciti a raccontare una magnifica storia attraverso i sogni e affrontando la tematica della famiglia e quanto è importante per i giovani, averla alle spalle che ti supporta nelle attività svolte nella vita quotidiana. Il regista è riuscito a dirigere un ottimo lavoro, coordinato e spettacolare che riscrive il nuovo cinema italiano, in un periodo dove questo settore attualmente è fortemente in crisi.   


  Care lettrici e cari lettori, come avete potuto notare, purtroppo, nemmeno in questo mese appena concluso sono riuscito a rimanere costant...