sabato 24 dicembre 2022

BUON NATALE A TUTTI!

 


Recensione redatta da Valerkis

Fermi tutti! So cosa state pensando: “Perché mi sei caduto così in basso?”, “Fai sul serio o stai scherzando?”, “Stai recensendo un cinepanettone?”. Iniziamo col dire che il “cinepanettone” nel nostro paese è un tipo di commedia discusso da sempre, soprattutto in questo periodo: una fetta degli italiani lo odia, una fetta dicono che il primo sia intoccabile (quello del 1983 firmato Carlo Vanzina) rispetto a tutti gli altri e c’è una fetta che proprio non ne può fare a meno di vederlo

Io invece approfitterò del giorno di Natale per recensire il mio cinepanettone preferito ed esprimere il mio parere su questa categoria di commedia all’italiana. 

Per me il cinepanettone è un genere puramente commerciale mettendo come ambientazione principale la festività natalizia, per poi buttarci una storia che alla fine si ripresenta sempre la stessa: corna, battute che le direbbero quotidianamente quattro amici al bar e voglia di fare sesso occasionale. Giusto? O mi sbaglio? Comunque ne ho visti molti, non tutti e per me il migliore rimarrà questo che sto per recensire. Molti categorizzano cinepanettoni persino i film di Pieraccioni, i film della saga del Ragioniere Ugo Fantozzi e film come, ad esempio, “I Pompieri” e “S.P.Q.R. 2000 e ½ anni fa”. Se si chiamano “cinepanettoni”, come ho detto prima, devono avere come ambientazione principale la festività natalizia e poi buttarci la storiella. Non vale solamente perché è uscito in concorrenza con i classici “Boldi-De Sica”. Allora anche i film di Verdone sarebbero dei “cinepanettoni”? E Checco Zalone? Dato che uscivano sotto Natale! Ma non mischiamo ciò che ha un valore con qualcosa di “puramente commerciale”, per non dire qualcos’altro!

Vorrei iniziare la recensione di questo film con un aneddoto scritto da Neri Parenti, il regista e sceneggiatore del film, nel suo libro: “Due Palle…di Natale”:

“La partenza dell’aereo era nel tardo pomeriggio e la produzione decise di ottimizzare la giornata con una scena da girare nella sala vip Alitalia dell’aeroporto di Fiumicino, che avremmo spacciato per una sala dell’aeroporto John Fitzgerald Kennedy. Il reparto di scenografia si prodigò per fare apparire quella sala d’attesa romana la più newyorkese possibile. […] Le riprese in aeroporto erano quasi finite, non vedevamo l’ora di salire sull’aereo per New York, quando su uno schermo fuori dalla sala vanno in onda immagini terribili di aerei che si schiantano contro le Torri Gemelle. Era l’11 settembre del 2001”.

Ebbene sì, quell’anno doveva essere “Natale a New York” ma dopo ciò che era successo, la produzione cambiò località, direzione nord Europa, precisamente ad Amsterdam, dato che gli Stati Uniti in quel periodo stava per dichiarare guerra ai terroristi islamici. 

Ora passiamo alla trama: Fabio Trivellone (interpretato da Christian De Sica) è un pilota di aerei (e credo parlare di aerei in quel periodo, era meglio evitare) e vive una vita stupenda tra lavoro e vita coniugale. Sua moglie, o meglio, le sue mogli Selvaggia (interpretata da Paula Vàzquez) e Serena (interpretata da Emanuela Folliero) sono due persone differenti: la prima più sensuale, energica, simpatica e abbastanza “laissez faire”, come direbbero gli economisti liberisti francesi e con una figlia, Martina (interpretata da Sarah Calogero). L’altra, più calma, tradizionale e con un figlio, Matteo (interpretato da Marco Iannone). Il buon Trivellone sta per partire direzione Amsterdam dove insieme a Serena e Matteo trascorreranno le vacanze e come mai potrebbe andare? Questa è solo una parte della trama, perché poi arriva Enrico Carli (interpretato da Massimo Boldi). Lui è un imprenditore, o meglio un “succube” della moglie Marisa (interpretata da Marta De Pablo) e la loro figlia Michela (interpretata da Lucia Jordan) si deve sposare e per varie complicazioni, Enrico insieme al futuro genero Cesare Mandrione (interpretato da Enzo Salvi o meglio “Er Cipolla”) sono costretti a fare il viaggio di nozze ad Amsterdam. Appunto, nella capitale olandese avvengono vari equivoci, dai momenti esilaranti a quei momenti rivisti e ripetuti, considerati “trash”.  Ma aspettate, mi sto dimenticando di loro e come posso non citarli dopo aver rivisto i loro sketch divertenti. Sto parlando dei “Fichi d’India” e come non porre nuovamente la mia gratitudine verso il loro stile comico e ricordando soprattutto Bruno Arena, scomparso dopo quasi dieci anni di malattia lo scorso 27 settembre (quando ho letto la notizia in metropolitana sono rimasto abbastanza sconvolto e mi si è chiusa definitivamente un’altra pagina della mia infanzia: il duo in sé e i loro sketch). Insomma, i “Fichi d’India” lavorano come necrofori e stanno andando ad Amsterdam per chiudere un affare, ma immaginate voi come andrà a finire anche questo. Non può mancare la ciliegina sulla torta, con Biagio Izzo che interpreta il receptionist dell’albergo in preda ai suoi doppi sensi e immaginazioni folli. In fondo, gli sceneggiatori (Neri Parenti, Fausto Brizzi, Lorenzo De Luca, Marco Martani) volevano lanciare dei piccoli messaggi in merito alla tematica dell’omosessualità con questo personaggio e i suoi comportamenti, nella maniera più goliardica possibile.  

Neri Parenti ha segnato sicuramente (nel bene e/o nel male) una fetta nella storia della commedia italiana, iniziando un’enorme collaborazione con Paolo Villaggio per i film di Fantozzi e di Fracchia (e non solo) per arrivare ai cinepanettoni più o meno esilaranti. Dato che parliamo di commedia all’italiana la regia si è decisamente limitata alla semplicità nel proprio lavoro. Stessa cosa vale per la stesura della sceneggiatura e la recitazione, divertente per le situazioni capitate ai vari personaggi quanto meno per le solite battute. Comunque sia, in quel periodo trasmettere un po’ di allegria al pubblico italiano (e occidentale), anche con un pizzico di “trash”, era l’unico modo per estraniarsi dalla drammatica realtà di quel periodo e dare un senso positivo al Natale di quell’anno maledetto. La coppia “Boldi-De Sica” ammetto che me l’aspettavo più presente in questa vicenda ma per quel poco di scene dove entrambi si trovano insieme sono state nel complesso esilaranti e sempre con un pizzico di rivalità tra la comicità milanese e la comicità romana. Per quanto riguarda la Vàzquez ha puntato veramente poco sulla sensualità, ovvero ha assunto pochissimo quegli atteggiamenti dalla classica ragazza che può considerarsi la “bella di turno” e rimanendo in linea con l’interpretare una moglie onnipresente per suo marito. Particolare apprezzato, sinceramente! La Folliero, in quel periodo, è stata un’icona della televisione italiana sia come conduttrice televisiva sia come “signorina buonasera” e per me il fatto di affidarle una parte è stato principalmente per rendere “immortale” un’icona. I “Fichi d’India” mitici e per quanto riguarda i ragazzi (Iannone e la Calogero) sono stati nel complesso moderati alla loro prima apparizione sul grande schermo.

Vorrei fare un paio di considerazioni (forse anche inutili): primo la collaborazione di questo film con una società pubblica italiana, ormai storica, come l’Alitalia (citata a caratteri cubitali nei titoli di coda) adesso è solo che un ricordo se non prezioso, dato che negli ultimi anni la crisi finanziaria dell'impresa è stata spesso oggetto di discussione  tra istituzioni e opinione pubblica. Secondo, la scena di Salvi che esulta per il goal di Totti è il segno di come quell'anno sia stato caratterizzato dalla vittoria dello scudetto da parte della squadra giallo-rossa.

Questo è il mio cinepanettone preferito di quelli che sono riuscito a vedere e con questo vi faccio i più sentiti auguri per un sereno Natale.


Sitografia aneddoto Neri Parenti: https://www.noidegli8090.com/merry-christmas-doveva-essere-natale-a-new-york-come-lattentato-dell11-settembre-2001-cambio-tutto/



venerdì 23 dicembre 2022

E SE VI DICESSI CHE UN FILM RACCHIUDE DELLE VECCHIE GLORIE, VOI NON LO ANDRESTE A GUARDARE IMMEDIATAMENTE?

Recensione redatta da Rickers



Per una persona appassionata di videogiochi, come me, è sempre bello parlare di tutto ciò che riguarda quel mondo. Il film di cui parlerò a breve riflette in pieno questa mia affermazione.

Io sono un videogiocatore da quando avevo più o meno 6 o 7 anni e, da allora fino ad oggi, i videogiochi hanno contribuito ad arricchire il mio tempo libero e a formarmi come bambino e come adolescente. Da piccolo non badavo troppo al passato, ma più che altro mi soffermavo su quello che era il presente, tuttavia nel corso degli anni ho approfondito molto le mie conoscenze in ambito videoludico venendo a conoscenza delle vecchie glorie del passato: “Pac-Man”, “Space Invaders”, “Super Mario”, “Donkey Kong”, “Duck Hunt”, “Tetris”, “Arkanoid” solo per citare alcuni nomi.

E se vi dicessi che esiste un film che racchiude tutte queste glorie, voi non lo andreste a guardare immediatamente?

“Pixels” nasce con questa premessa. Un film che nasce senza troppe pretese con il mero obiettivo di accaparrarsi quanto più nostalgici della generazione videoludica degli anni 80’, quella stessa generazione che ha conosciuto e giocato le vecchie glorie sopra citate.

La trama di “Pixels” è quanto di più fuori di testa possiate mai pensare. Il film inizia nel 1982. Il giovane Sam Brenner (interpretato da Adam Sandler) e il suo migliore amico William Cooper (interpretato da Kevin James) partecipano ad un concorso in cui la NASA invierà immagini e filmati della cultura videoludica nello spazio tramite una capsula del tempo. Chiunque vincerà il concorso potrà scolpire il suo nome nella storia dei videogiochi. A contendersi la vittoria sono Sam e Eddie Plant (interpretato da Peter Dinklage) ma a spuntarla è Eddie. Anni più tardi, nel 2015, la Terra subisce un massiccio attacco alieno. Si viene a scoprire che gli alieni hanno intercettato la capsula e convinti che l’umanità abbia dichiarato loro guerra hanno iniziato l’attacco, usando come armi gli stessi videogiochi creati dagli umani. Viene subito allestita una squadra speciale di ex videogiocatori e esperti informatici, di cui Sam fa parte, la quale dovrà far fronte all’emergenza.

Il film è abbastanza incasinato, ma in senso buono. Già la trama è totalmente malata, ma dal punto di vista più positivo del termine. È una “pazzia” che funziona perché mirata a creare goliardia a causa della sua assurdità. Il film, e tutte le sue premesse, non parte con serie intenzioni, anzi. Il film funziona, dal punto di vista della scrittura, proprio perché non vuole farsi prendere sul serio. Il girato (regia di Chris Columbus) è stato curato abbastanza bene (con molte lacune, come è ovvio in queste genere di film) ma contribuisce a rendere questo film divertente al punto giusto. Il recitato anche funziona, ma poteva offrire molto di più. A partire da Dinklage, sottotono e molto al di sotto delle sue altissime capacità, anche Sandler non mi ha troppo entusiasmato nonostante mi ritenga un suo grandissimo estimatore. Il resto del cast, che comprendeva anche Michelle Monaghan, Josh Gad, Jane Krakowski, Sean Bean, Ashley Benson, Denis Akiyama (che interpreta Tohru Iwatani, il creatore di Pac-Man) e in un cameo anche Serena Williams, famosissima tennista, non ha di certo impressionato, offrendo però una prova mediocre ma funzionale al tipo di pellicola proposta.

Le musiche sono curate da Henry Jackman. Jackman è senza dubbio un elemento di grande spessore dato che ha lavorato con nomi come Mike Oldfield, Elton John e Hans Zimmer; inoltre ha curato le musiche di molti altri film tra cui “Monsters vs. Aliens” (2009), i due “Kick-Ass” (2010 e 2013), “Ralph Spaccatutto” (2012), “Turbo” (2013), “Big Hero 6” (2014) e che dopo “Pixels” avrebbe realizzato anche quelle di “Uncharted 4: Fine di un Ladro” (2016) e di “Ralph Spacca Internet” (2018). Dalle sue musiche mi sarei aspettato molto di più. Spezzo una lancia in favore del doppiaggio localizzato, ben confezionato e convincente in ogni scena.

In definitiva, “Pixels” non nasce con nessuna premessa in particolare e questo è il suo punto a favore. Il film funziona molto bene come pellicola demenziale e grottesca, meno come un film “normale”. Non montatevi troppe aspettative perché rimarrete delusi non poco. Recitato non ottimale, musiche convincenti ma anonime e una storia abbastanza malata rendono questo film non adatto a tutti. Concludendo, film sufficiente ma niente di più.

mercoledì 14 dicembre 2022

Siamo tutti nostalgici, ma fa male…molto male




Recensione redatta da Valerkis

Con questa recensione cominceremo a trattare i film di un'altra firma del cinema italiano, proviene da Napoli e ha raffigurato spesso, se non sempre, la sua città. La firma in questione si chiama Mario Martone. Ho ammirato due suoi film prima di questo che sto per recensire:  “Il giovane favoloso” e “Il sindaco del Rione Sanità”. Ho visto anche “Capri Revolution” ma è stato secondo me sopravvalutato per certi versi.

Ma parliamo di “Nostalgia”: tratto dal romanzo di Ermanno Rea, la vicenda racconta di Felice (interpretato da Pierfrancesco Favino) che ritorna a Napoli dopo praticamente un’eternità all'estero dove ha vissuto, ha cambiato vita e lavora dignitosamente. Ritornato nella sua città natale, ritrova come tutto sommato Napoli è sempre stata: bella come caotica e con le sue tradizioni e i suoi lati oscuri. Il ritorno sarà turbolento per tanti motivi, partendo da sua madre Teresa (interpretata da Aurora Quattrocchi) che la trova in pieno disagio con l’unico obiettivo quello di sopravvivere. Poi incontrerà un altro personaggio, diciamo l’aiutante per eccellenza di questa storia, Don Luigi (interpretato da Francesco Di Leva), che lo accompagnerà in questo suo improvviso rientro e così Felice non sarà solo in quella bellissima città per la storia, il mare e le tradizioni ma ingarbugliata e pericolosa per le sue trappole. Ma non solo Don Luigi gli terrà compagnia, anche Raffaele (interpretato da Nello Mescia) un conoscente della madre dove grazie a lui trascorrerà delle esilaranti chiacchierate e riuscirà a trovare un suo amico di vecchia data, Oreste Spasiano (interpretato da Tommaso Ragno), motivo per il quale principalmente Felice era tornato, oltre a ritrovare la madre. Forse questa visita all’ “amico” non sarà una semplice trovata come potremmo immaginare…

La nostalgia la proviamo tutti, chi più chi meno: i momenti florei della nostra vita, l’infanzia, l’adolescenza, il divertimento e in fondo troviamo anche i momenti più bui che ci hanno lasciato delle cicatrici e magari ci hanno cambiato e fatto crescere. Ma la nostalgia sta in particolare in quel periodo della vita dove sembrava tutto così facile e divertente, essendo quasi intoccabili, soprattutto in qualche “ragazzata”. 

Il cast è stato veramente buono, a partire dal buon Favino oramai con un’esperienza esauriente nella sua carriera e capace di interpretare in qualsiasi genere cinematografico (polizieschi, sportivi, gialli, comici, drammatici…). Arrivando successivamente ad un inaspettato Francesco Di Leva, cresciuto di tanto rispetto al “Sindaco del Rione Sanità” diventando così più deciso e determinato nel suo stile recitativo. Tommaso Ragno con il suo aspetto rozzo, ha rappresentato perfettamente il personaggio misterioso e crudele della vicenda e per arrivare infine ad Aurora Quattrocchi e Nello Mescia, considerati dei buoni contorni alla storia. Tornando a Favino, devo i miei complimenti per essere riuscito a rendere credibile l’accento islamico, pensando per un attimo che avesse combinato qualcosa alle sue corde vocali e per poi esplodere nella parlata napoletana (va be dai parliamo con colui che è riuscito a far risorgere Bettino Craxi per filo e per segno. Futura recensione di quel film, promesso!). Sembra banale quest’ultimo concetto, ma se quel cambio di voce veniva effettuato malamente era considerata solo una brutta imitazione. Per favore non scrivete lingua originale solo “italiano”, aggiungete “dialetto napoletano” perché l’80% dei discorsi sono tutti in dialetto, anche abbastanza stretto, rendendo così i dialoghi più popolari possibili, come ha voluto in fondo Martone, secondo me. Ribadisco, veramente immenso Favino, nelle sue decisioni, convinzioni e nostalgie. 

Mario Martone è stato un regista capace nel raffigurare perfettamente Napoli tra le varie strade, il paesaggio, il caos ma ciò è merito anche della fotografia firmata Paolo Carnera, che ha reso tutta questa atmosfera unica e immensa. Veramente un lavoro affascinante quello tra regista e fotografo. La sceneggiatura (scritta da Martone e Ippolita Di Majo) andrebbe rivista su certi aspetti: in primis avrei aggiunto un incipit per far arrivare in una maniera più cauta (a livello di tempistica) lo spettatore a quello che avrebbe visto e invece inizia subito con Favino in arrivo dall’estero e riprese di lui che gira da solo, buttate lì. Le riprese di lui mi sono piaciute, lo ammetto, ma non con quella velocità eccessiva. Secondo, avrei evitato le scene dove lui prega “Allah” perché non ho compreso bene se era islamico oppure influenzato da quella cultura, faceva delle preghiere relative. Secondo me, se il personaggio veniva considerato islamico, andava rivisto anche il primo contatto diretto tra il personaggio di Favino e di Di Leva. Perdonate la mia schizzinosità, ma sono dell’idea che sulla religione bisogna andarci cauti e dire cose precise e autentiche, altrimenti è meglio non raccontare eresie. Terzo, e ultimo promesso, la morale è decisamente scontata e questo pesa molto, perché purtroppo alla fine il film non mi ha trasmesso nulla, o meglio poco. Perché, in fondo, ho ammirato la bravura degli attori, l’ottimo rapporto tra regia e fotografia ma non è stato quel film dove il mio cuore ha percepito tante emozioni. Però, giocando con il concetto di “nostalgia”, questo film riesce a trasmettere un minimo di quelle sensazioni di paura, mistero e di dramma psicologico puro. 

Infine vogliamo nominare Ursula Patzak, ai costumi? Sì, perché è un’autentica firma del cinema italiano, vincendo quattro statuette ai David di Donatello, confermando con questo film la buona collaborazione tra Martone e la costumista tedesca e direi anche no, perché sono stati utilizzati costumi semplici, della quotidianità, nulla di particolarmente eccezionale. Allora se ho nominato l’ottimo lavoro di Carnera, va nominato anche Carmine Guarino alla scenografia, per la sua collaborazione nel rendere il paesaggio come quello di Napoli unico e nostalgico, come d’altronde quel luogo è stato per il nostro Felice.


sabato 10 dicembre 2022

IMMAGINARE IL MONDO DI 7 ANNI FA (MA NEL 1989)

Recensione redatta da Rickers


Dopo la bellezza di quasi OTTO mesi esatti da quel 22 aprile (andatevi a rivedere il post) sono tornato a parlarvi di una saga a me molto cara, quella di “Ritorno al Futuro”. Parlare di questa saga è sempre una grandissima emozione, per me, per via dell’importanza storica e culturale di questa saga, il che costituisce anche un grande onore. Con questo post cercherò di rimediare ad una attesa così lunga. Ovviamente vi invito a riprendere il precedente post sul primo “Ritorno al Futuro”.

Riprendendo tranquillamente tutta la premessa fatta nel post precedente, aggiungo solamente che in seguito al successo inaspettato, quanto strabordante del primo film, la critica e il pubblico gridava disperatamente ad un seguito. Regista sempre Robert Zemeckis, il secondo “Ritorno al Futuro” riprende le vicende esattamente da dove si erano concluse le vicende del primo film.

Marty e Doc tornano dal 1955, ma scoprono che con le loro azioni hanno stravolto il mondo che hanno lasciato nel 1985. I due dovranno viaggiare avanti nel futuro, precisamente nel 2015, per scoprire la causa del cambiamento e porre rimedio a tutta la faccenda. La trama proposta ha rappresentato un bell’esperimento per l’epoca, ancora di più del primo film, oltre che un perfetto esempio di come integrare una storia originale ad una ambientazione interessante. Regia curata molto bene, con dettagli e grande risalto scenico.

Cast in gran parte “riciclato” dal primo film, ma che grazie a esperienza maturata sul set, alchimia pregressa e bravura riesce a reinventarsi e a differenziarsi dal primo film.

Musiche ancora una volta curate da Alan Silvestri; esse non differiscono troppo da quelle del primo film, ma riescono comunque ad integrarsi bene con la pellicola, mescolandosi con l’ambiente e i personaggi.

Parlare di “Ritorno al Futuro – Parte II” senza incappare in paragoni col suo predecessore è praticamente impossibile e penso che lo abbiate notato. Preso da solo questo film risulta essere nel complesso assolutamente positivo e anche integrandolo con il resto della saga risulta avere una propria armonia definita. Tuttavia, mettendolo in relazione solamente con il primo “Ritorno al Futuro”, il film stona parecchio. Non tanto perché sia un brutto film, più che altro perché non risulta essere una vera e propria continuazione alla storia, cosa che in realtà avrebbe dovuto essere. Nel complesso risulta però essere un film ben al di sopra della sufficienza, anche se nettamente inferiore al primo capitolo della saga.

venerdì 2 dicembre 2022

Tre amici in un percorso modico, fragile e sfigurato




Recensione redatta da Valerkis

Il titolo del film può essere interpretato in varie maniere, dipende dalle situazioni che ci capitano nella vita di ognuno di noi, ma nel caso di ciò tratterò una vicenda veramente inimmaginabile, quasi esagerata e a pensarci bene non credo questo sia l’unico soggetto trattante un argomento del genere. Mark Romanek, il regista del film, ha diretto la storia tratta dal romanzo omonimo di Kazuo Ishiguro e ha diretto i tre personaggi principali secondo il riadattamento cinematografico curato da Alex Garland e perciò, anche qui, mi esprimerò solamente per quello che ho visto.

Primo concetto da dire è inerente al periodo storico, importante per l’ambientazione della vicenda ma poteva essere esplicitato meglio. Comunque la vicenda narra la vita di varie persone seguite da autorità diligenti dell’istituto in cui si trovano. Queste autorità insegnavano varie discipline, utili per la vita, conducendo queste persone al futuro che spetterà a loro. Vengono seguite da quando sono bambini finché non diventano dei giovani adulti. Il futuro sarà sempre un mistero e quando comprenderanno la vera essenza del loro destino sarà come se la vita abbia preso all’improvviso un percorso modico, fragile e sfigurato. La paura è dietro l’angolo e non si vorrebbe mai arrivare al momento chiave di tutta la storia ma questo è il riflesso della vita, pensando troppo a quello che spetterà non si dà senso all’attimo e quindi al presente. I tre protagonisti sono Kathy (interpretata da Carey Mulligan), Ruth (interpretata da Keira Knightley) e Tommy (interpretato da Andrew Garfield). Ognuno è stato fondamentale per l’altro dato che sono cresciuti insieme e diventati adulti, arrivando insieme al loro scopo per cui nel mondo erano presenti. Altri personaggi importanti sono stati Miss Lucy, la tutrice del loro periodo infantile/preadolescenziale (interpretata da Sally Hawkins) che considererei uno dei personaggi più importanti della vicenda, se non il personaggio chiave della storia. Anche Madame (interpretata da Nathalie Richard) ha avuto la sua importanza mostrandosi come un personaggio freddo che se non fosse stato per il proprio compito “burocratico” (chiamiamolo così) forse sarebbe stata una buona aiutante per i protagonisti.

È tutto così freddo, agghiacciante, triste e pesante. Però la pesantezza non è stata eccessiva, soprattutto nella prima metà del film e per me Alex Garland, in questa parte, non è riuscito a gestire i tempi morti, inutili e anche noiosi. Ma ad un certo punto, verso la seconda metà della storia e quindi avvicinandosi alla fine, è diventato più brutto ma interessante nel vedere i protagonisti definirsi “umani”, mostrando le loro fragilità ed emozioni percepite nei momenti di disperazione e di delusione sul senso della vita. 

Sono stati tre attori capaci nella propria interpretazione ma solo uno mi ha colpito notevolmente, Andrew Garfield. Di lui ho presente solo la sua interpretazione nella saga di “The Amazing Spider-Man”, ma in questo film si è mostrato come un attore, anche nel minimo dettaglio, può definirsi tale ed è stato il personaggio più interessante della vicenda perché comunque nella sua vita insignificante ha voluto dare concretamente un senso e ha voluto essere importante per qualcuno, ovvero per le sue amiche Kathy e Ruth.

Non mi sarei aspettato un film del genere ambientato in un passato neanche lontano e non saprei dire se il contesto storico era azzeccato oppure sbagliato. Di solito si ipotizza l’ambientazione in un tempo futuro, per quello che è stato fatto ai protagonisti come il risultato di un’evoluzione nella ricerca scientifica e tecnologica. In poche parole starei dicendo che mi sarei aspettato una storia più fantascientifica oppure una storia dove poteva esserci qualche scena più misteriosa e magari il film avrebbe assunto una sfumatura vera e propria del genere “giallo”.

Mark Romanek è stato direttore di una storia per metà abbastanza statica per poi esplodere di emozioni andando verso la fine. Nel complesso, per me, la sceneggiatura è stata più che discreta nella sua elaborazione di contenuti, ambientazioni e contorni sensitivi. Tre ragazzi, gli attori, stupendi nella loro disperazione ma Andrew Garfield ha avuto una marcia in più, rispetto a tutti, volendo quasi gridare insieme a lui. Adam Kimmel ha firmato una fotografia avanzata e completa rappresentando la tetraggine e la speranza, le due sensazioni principali di questa vicenda e Rachel Portman è riuscita a portare una colonna sonora quasi classica, accompagnante le sensazioni descritte. 

Mi sarei aspettato qualche colpo di scena in più nella storia, ma è stato affascinante così, anche perché se il romanzo è raccontato più o meno come il film allora non posso dire nient’altro. Guardatelo per soffrire e per capire infine cosa? Tutto o niente, d’altronde “Non lasciarmi” può indicare tutto quanto un accaduto o niente di ciò che ho appena detto.





  Care lettrici e cari lettori, come avete potuto notare, purtroppo, nemmeno in questo mese appena concluso sono riuscito a rimanere costant...