Recensione redatta da Valerkis
Quando un mio amico, un po' di mesi fa, mi aveva suggerito la visione di questo film, mi sono subito incuriosito. La pellicola in “bianco e nero” è stata la particolarità a cui mi sono dovuto abituare per novantaquattro minuti e rappresenta un emblema di realismo puro e crudo. Per noi della “generazione Z” è anormale vedere un film con questo aspetto, ma ritornare ad una tipologia del genere, personalmente, non dispiace e ha rappresentato perfettamente l'atmosfera presente nella vicenda.
Tre personaggi: Vinz (interpretato da Vincent Cassel), Hubert (interpretato da Hubert Koundé) e Said (interpretato da Said Taghmaoui) vivono in una periferia (chiamate banlieue) alle porte di Parigi e la vita non è certamente facile. La presenza di una gioventù annoiata e immotivata, è solo uno degli aspetti evidenti. Il quartiere è stato interessato da alcuni scontri contro le forze dell’ordine ed è accaduto che un amico dei protagonisti, è stato violentato. Così un’ipotetica vendetta è nei loro pensieri. La vicenda prende sempre più piede nell’aspetto della degenerazione e dell’ira sociale nei confronti di un sistema che ci vuole “ligi”, come pensano i protagonisti. Potrebbe essere una situazione vista e rivista in altre situazioni cinematografiche, ma è una realtà che concretamente si ripercuote a distanza di tanti anni. Comunque, a livello estetico, il film di Mathieu Kassovitz si rende unico.
L'interpretazione dei personaggi principali è stata vera e autentica, secondo me. I tre protagonisti si rendono unici nei propri comportamenti, ma Vincent Cassel è stato sicuramente il migliore e quando vorrebbe rappresentare il perfetto sinonimo di quelle che chiamiamo “teste calde”, alla fine si riserva come un qualcuno che si copre dietro quella maschera irascibile e incontenibile. A lui conviene esprimersi cosí per manifestare la sua “filosofia di vita”.
Pierre Aim completa una fotografia, grazie alla particolare pellicola, eccezionale e inimitabile. Riesce ad immortalare sguardi, spazi e tempi oscuri. Merito anche della regia, ci mancherebbe.
Due note da fare: qualcuno diceva che “Scarface” di Brian De Palma è il film che detiene il record di parolacce pronunciate, mi sa che questo lo batte. Potrebbe scandalizzare qualcuno, a me no. Perché? Perché così è tutto più diretto e realistico in riferimento al contesto in cui si ritrovano i nostri protagonisti. Poi, quando Cassel si mette davanti lo specchio a dire le sue battute, è un omaggio al personaggio di Robert De Niro in “Taxi Driver” di Martin Scorsese. Palese ma anche apprezzato!
Se ripenso a tutti i film visti di questo genere, il film diretto da Kassovitz è uno dei migliori visti sicuramente. Quando il cinema francese riesce a sfornare qualcosa di singolare, effettuano un buon passo perché riescono a farlo bene. Film acclamato e pluripremiato quello di Kassovitz (che già conoscevo per la regia di “Gothika”) e sicuramente meritato per il racconto di molteplici situazioni complicate come questa e per la popolarità che è riuscito a trasmettere sia nella sua penna sia dietro la macchina da presa. Attori coordinati e perfettamente irascibili, fotografia unica ma solo tanto tanto degrado. D’altronde è stato il forte di questo film.
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