mercoledì 26 marzo 2025

L’ “Inside Out” umano

 


Recensione redatta da Valerkis

Quando ho visto il primo trailer, ho pensato erroneamente che fosse una sorta di nuovo 'Perfetti Sconosciuti' e devo dire che un’idea non mi avrebbe entusiasmato. Anche se il film ha una sua dignità, non sentivo il bisogno di un altro simile. Invece, Paolo Genovese ha scelto una strada completamente diversa, assumendosi un'enorme responsabilità: prendere l'idea di base del film 'Inside Out' e renderla…umana. Con la presenza di persone fisiche che impersonificano tutta l’irrazionalità che c’è dentro di noi.

Piero (Edoardo Leo) e Lara (Pilar Fogliati) si ritrovano a casa di lei per trascorrere una serata insieme, dopo un primo incontro e approfondire la propria conoscenza. Quindi un primo appuntamento vero e proprio, a casa di lei e in preda a tutte le emozioni da gestire in una situazione del genere e ciò vale sia per lui sia per lei. Non è facile gestire una situazione in cui l’imbarazzo potrebbe prendere il sopravvento, ma chi non ci è passato? E soprattutto, come reagiranno i nostri protagonisti? E quale sarà l’esito della serata?

Paolo Genovese dirige un cast d’eccezione, in cui gli attori che impersonificano le emozioni di Piero e Lara sono i veri motori della storia. Nel cast troviamo alcuni volti relativamente nuovi, come Maria Chiara Giannetta e Maurizio Lastrico, accanto a nomi già affermati come Claudio Santamaria, Rocco Papaleo, Marco Giallini, Vittoria Puccini, Claudia Pandolfi ed Emanuela Fanelli (la migliore nel suo ruolo). Non togliendo nulla ai due protagonisti, due interpretazioni azzeccate sia quella di Leo sia quella della Fogliati. Perfettamente imbarazzati e comandati dalle emozioni percepite. A livello di cast non ho nulla da dire contro, eccezionali tutti e molto divertenti nell'unione creata. La regia di Paolo Genovese è risultata dinamica nel coordinare un cast corale ed esaltante al tempo stesso, come giustamente doveva essere ed esaltando la capacità recitativa di ognuno. La regia di Genovese, a mio parere, è migliorata e l'ho apprezzata, ma avrei preferito che i due protagonisti avessero avuto maggior spessore. Non dico che forse era necessario approfondire le loro vicende personali, ma qualche dettaglio in più avrebbe dato loro una maggiore definizione. La sceneggiatura scritta dal regista insieme a Isabella Aguilar, Lucia Calamaro, Paolo Costella e Flaminia Gressi è piena di aspetti caratteriali che rispecchiano la situazione in cui si trovano Piero e Lara e la coralità del cast, completa la comicità che i personaggi sono riusciti a creare, grazie alle ottime capacità attoriali del cast con attori diversi tra loro e persino di generazioni diverse. È tutto alquanto divertente e merita veramente di vederlo. Finalmente questa è una volta buona che trovo una sceneggiatura dove tante idee messe insieme hanno funzionato pienamente.

"Follemente" dovrebbe avere un significato e forse è una visione filosofica di quello che ci frulla in testa nei momenti di puro imbarazzo, come in ogni occasione. Il cast è azzeccato e l'ho detto, la regia è dinamica e l'ho detto, la sceneggiatura è ricca di aspetti e l'ho detto. Bene, allora volete ridere? Vedetelo e questa è una delle poche volte in cui la commedia italiana contemporanea ha funzionato nei tre aspetti principali di analisi di un film. Ogni battuta ha un suo peso, il ritmo è serrato e il finale, inaspettato, è stato ideato e montato con grande cura. Divertentissimo, punto!


venerdì 21 marzo 2025

Cosa si prova a morire?

 


Recensione redatta da Valerkis

La domanda nel titolo potrebbe trarre in inganno, ma se siete curiosi di conoscere la mia opinione sul nuovo film di Bong Joon-ho (regista di Parasite) vi invito a leggere questa recensione. Quindi, benvenuti! Dopo sei anni da Parasite (prometto che prima o poi scriverò anche la recensione di Parasite), Bong Joon-ho torna con un film bellissimo e ricco di spunti interessanti. Dopo un capolavoro da Oscar come quello, le aspettative per questo film erano alte e così, preso dalla curiosità, me lo sono visto.

Mickey Barnes (Robert Pattinson) è un ragazzo che per sfuggire dai problemi della vita sul pianeta Terra, si propone volontario per una missione interspaziale sul pianeta Niflheim insieme al suo amico Timo (Steven Yeun) come equipaggio di questa nave che li avrebbe portati sul nuovo pianeta. Timo si è proposto come inserviente e Mickey come “sacrificabile”, uno che viene usato per dei test scientifici e poi ucciso e ricreato con la stampante 3D. Insomma una cavia. Così andare fino all’avvicinamento ad altri personaggi che interagiscono con lui, da Nasha (Naomi Ackie) a Kenneth Marshall (Mark Ruffalo), l’ex politico che aveva organizzato tutto quanto e per raggiungere la destinazione dove è in circolazione nell’aria un virus sconosciuto all’uomo e vissuto da strane creature chiamate “strisciante”.

Senza troppi giri di parole, è un bel film, nel suo genere. Ve lo dico subito, senza mezzi termini. Bong Joon-ho incarna perfettamente l’essenza del cinema orientale, lontano dall’occidentalismo spesso scontato e commerciale. La sua regia così surreale e autentica scava nella psiche dei personaggi, lasciando una riflessione profonda. È una storia con un parallelismo chiaro alla realtà che viviamo quotidianamente e con una riflessione filosofica posta nei confronti dei comportamenti dei singoli personaggi e anche del gioco del potere così schifoso da far illudere le masse e trattare gli esseri umani, alla fine, come oggetti. L’interpretazione di Mark Ruffalo così esilarante ma così squallida è nel complesso equilibrata e anche la regia ci ha messo il suo in questo. Robert Pattinson offre un’interpretazione solida, portando in primo piano il suo personaggio e accompagnandoci nella narrazione. Mickey è un protagonista complesso, capace di mostrarsi composto anche mentre rivela due facce della stessa medaglia. La sua evoluzione esplora diverse sfaccettature filosofiche legate alle sue azioni e al suo modo di pensare. La regia di Bong Joon-ho risulta filosoficamente azzeccata, inoltre. L’ho adorata perché così strana, diversa, inaspettata e mette in risalto vari generi in due ore e venti minuti di azione, fantascienza, dramma e riflessione pura su quell’aspetto che colpisce una società posta sotto un certo controllo ed illusa su cosa ti fanno credere che sia giusto e che sia sbagliato. Riesce a risaltare il grottesco con un po’ di ironia e quindi nel complesso è una regia evoluta, dinamica e che non si risparmia nulla. Bel lavoro anche a livello di sceneggiatura, essendo ricca di dettagli, elementi, sfaccettature e movimenti dei personaggi che sono simbolo di un messaggio da lasciare allo spettatore.

È una storia avvincente, per nulla noiosa e anche se può non giocare a favore per qualcuno, almeno spero possiate cogliere il messaggio principale che si vuole estrapolare da questa storia e credo che sia le interpretazioni e sia la regia, sono riusciti a metterlo in risalto. Se devo trovare un difetto, direi che il finale ha rischiato di risultare confusionario e frammentato. Tuttavia, è pienamente in linea con il genere fantascientifico e gioca un ruolo chiave nella chiusura della storia, anche se in alcuni aspetti risulta prevedibile.

Grazie, Bong Joon-ho, per questo ritorno. Il film mi ha coinvolto e lo consiglio a tutti. Alla fine, tocca aspetti di riflessione sociale che ci riguardano direttamente. Forse dovremmo rifletterci di più.



mercoledì 12 marzo 2025

Un musical da Golden Globe, ma anche no!

 


Recensione redatta da Valerkis

Vincitore dei Golden Globe e va bene; uno tra i film non statunitensi con più candidature agli Oscar e va bene; premiato ai BAFTA, al Festival di Cannes...ma alla fine “Emilia Pérez” è davvero un film che merita tutto questo riconoscimento? Cos'ha di speciale per aver attirato così tanto il pubblico e la critica? O meglio cos'è mancato davvero in questo film, a mio parere?

La trama è la seguente: Rita Moro Castro (Zoe Saldana, vincitrice dell'Oscar 2025 come miglior attrice non protagonista per questo ruolo) è un avvocato che si trova coinvolta in un caso di grande risonanza mediatica. Entra in contatto con Juan Del Monte, un narcotrafficante messicano che le chiede aiuto per cambiare identità e rifarsi una vita. Sì, avete capito bene: lui diventa una lei, abbandonando il passato criminale e intraprendendo una nuova vita a tutti gli effetti, costruendo inoltre un rapporto più aperto e collaborativo con Rita.

Siate pronti che assisterete ad un musical, quindi pronti a cantare e a ballare e questo potrebbe sorprendere (o spiazzare) chi si aspettava un thriller ricco di azione e tensione, io compreso. Siamo ancora con l’ennesimo caso dei film che si presenta con un genere e poi ti ritrovi a vedere ciò che non ti aspettavi minimamente. Le canzoni in spagnolo possono essere un buon esercizio divertente per impararlo, ma non per chi vuol vedere un film per giudicarlo, come io in questo caso, o per semplicemente capire di cosa tratta il film in questione e che messaggio vuole tramandare. Per giudicare al meglio questo film partirei dagli aspetti positivi, anzi l’unico aspetto positivo di tutto il film: le interpretazioni di Zoe Saldana e Karla Sofía Gascón risultate impeccabili e sono riuscite ad interpretare molto bene il proprio personaggio e di questo sono molto contento, ma non del resto. Anche dal punto di vista tecnico, la fotografia di Paul Guilhaume e la colonna sonora curata da Clément Ducol e Camille regalano momenti visivamente e musicalmente suggestivi e surreali. Ma in questo film c’è un problema generale che risiede sia nella sceneggiatura (scritta dal regista Jacques Audiard insieme a Thomas Bidegain) sia nella regia, d’altronde la prima risulta ricca di elementi e di aspetti che alla base costituiscono un film interessante, ma non sono stati capaci di svilupparli come si doveva nel lato registico. Ci sono anche tematiche importanti da affrontare, come il gender e la situazione della società messicana, ma vengono solo accennate e non approfondite come meriterebbero, lasciando un senso di incompletezza. Poi la regia di Jacques Audiard è caratterizzata dal fatto che si uniscono vari generi in una storia che aveva come base la piena enfasi dell’azione, della malavita, del thriller e magari con un colpo di scena o un particolare avrebbe caratterizzato in maniera unica questa pellicola, ma tutto questo è mancatoSecondo me, inoltre, l'idea di inserire delle parti cantate rispecchia l'ideologia di come l'ausilio di quest'ultime all’interno di un film, sia l’ingrediente da usare per rendere la pellicola leggera e allegra e far colpire così lo spettatore per altri aspetti.

La parte finale è forse l'unico momento davvero riuscito: intrigante, grottesca e più vicina a quello che il film avrebbe potuto essere dall'inizio. Ma nel complesso, “Emilia Pérez” lascia la sensazione di un'occasione mancata e il mio dispiacere nel scrivere una recensione più negativa che positiva sta nel fatto che si è ribaltato tutto e inoltre è apparso pienamente screditato. Le interpretazioni sono eccellenti, la fotografia e la colonna sonora sono di buon livello, ma se sceneggiatura e regia non funzionano e hanno screditato il tutto, non credo che ci si possa alzare dalla poltroncina soddisfatti appieno. Per me, purtroppo, è andata proprio così.



martedì 4 marzo 2025

Un cane che ama le corse, non solo questo!



Recensione redatta da Valerkis

Oggi vorrei condividere con voi la recensione di questo film che ho recuperato un po’ di sere fa ed è una storia che presenta una trama avvincente per le sensazioni trasmesse e le tematiche che si affrontano.

Sono le vicende di Denny Swift (Milo Ventimiglia) raccontate da Enzo, il suo cane. Esattamente, si chiama Enzo, in onore del fondatore della Ferrari e Denny è per l’appunto un pilota automobilistico che partecipa a varie competizioni per farsi notare, perché risulta un atleta con delle doti e delle qualità che nessun altro possiede. Enzo è il primo fan del suo padrone e di tutto quello che fa nelle corse. Quando arriva Eve (Amanda Seyfried) ci sono dei cambiamenti in vista, ma Enzo è sempre stato lo spettatore principale della loro relazione e di tutto ciò che è accaduto nel seguito della vicenda. Denny si troverà ad affrontare ostacoli di ogni genere, cosa che avviene non solo nelle corse ma anche nella vita quotidiana e Enzo è sempre lì, che passivamente racconta attraverso una voce tutti i momenti vissuti insieme al suo padrone.

La trama è tratta dal romanzo di Garth Stein e racconta la storia di una persona che vive le giornate e i momenti della sua vita, inseguendo le proprie ambizioni, i propri sogni e cercando di non trascurare le persone che lo aspettavano a casa, ovvero la famiglia che aveva costruito per amore. Quindi si, è una storia d’amore reciproca quella che si percepisce nella coppia protagonista, anche di rispetto per le ambizioni che ogni persona possiede e nel caso di Denny, le corse. I personaggi interpretati dagli attori sono unici perché si rispettano e già un chiaro messaggio viene trasmesso e di come nonostante le varie successioni di eventi intercettano la vita di coppia, entrambi hanno cercato di combattere la propria battaglia per tenere in vita la loro relazione e l’amore dimostrato da entrambi. Denny così determinato nelle corse, Eve così piena di affetto e Enzo sempre partecipe, che ci racconta la sua visione di una vita vissuta assieme ai protagonisti con rispetto, affetto e ambizione. La sceneggiatura di Mark Bomback costruisce una vicenda che, nella prima metà, appare frettolosa nel presentare i personaggi e nel delineare il loro quotidiano. Tuttavia, con l’evolversi degli eventi, il ritmo si adegua alla drammaticità della situazione, facendo percepire con maggior intensità il peso delle scene mostrate. Stessa cosa vale per il montaggio. La regia di Simon Curtis riesce a creare le giuste sensazioni da provare sia da una parte sia dall’altra, passando da un protagonista all’altro e così facendomi apprezzare questa vicenda.

È un film che fa emozionare, ti appassiona ai protagonisti e a questo curioso cane che racconta, con la voce italiana di Gigi Proietti (un grande), le vicende accadute e non risulta fastidiosa, ma altresì un buon accompagnatore nei pensieri che anche un cane può manifestare, vivendo situazioni di una famiglia perlopiù emozionanti, anche se complicate a volte. Consiglio vivamente di vederlo, perché è bello ed entusiasmante e sicuramente intrattiene il pubblico come dovrebbe, con le giuste sensazioni da provare.

sabato 25 gennaio 2025

Dalla preistoria ad oggi in…un’inquadratura soltanto


Recensione redatta da Valerkis

Guardando sia il trailer sia dei video che trattavano la trama del nuovo film di Robert Zemeckis, mi sono fatto incuriosire da questa storia che percorre in grandi linee circa cento anni di storia, se non di più, se non addirittura dalla preistoria e in che modo? Attraverso un’unica inquadratura. 

La trama è questa: dalla preistoria si arriva ai giorni nostri e si approfondiscono varie vicende attraverso questo punto di ripresa, dove intorno al diciannovesimo secolo cominciarono a costruire un’abitazione, nella quale hanno vissuto varie famiglie. Da questo periodo fino agli anni venti del 2000, sono passate generazioni di persone, ci sono stati momenti, fatti storici e come la società è cambiata radicalmente nel corso del tempo. Sostanzialmente si approfondisce la vicenda di Richard (Tom Hanks) e Margareth (Robin Wright) che dagli anni ’50 arrivano al periodo post-Covid, dove all’interno di quella casa avevano vissuto tanti momenti, sia belli sia tristi. Ma ci sono state altre famiglie, sia prima sia dopo, passando dalla Belle Époque all’influenza spagnola, al Dopoguerra, la Guerra Fredda e l’avvento del nuovo millennio. 

Non vi aspettate il filmone d’autore, anche se ormai Zemeckis può portare il peso di una firma che racconta quasi cinquant’anni di carriera da regista e sceneggiatore. È un film molto semplice nella composizione anche se dietro le quinte e quindi nella preparazione, non si nasconde il fatto di aver usato l’IA (Intelligenza Artificiale) per ringiovanire gli attori protagonisti e usandola, ha rischiato di rendere la scenografia e la fotografia poco naturale, in alcune riprese. Ecco, se devo trovare un lato negativo di questo film l’ho trovato. Personalmente, penso sia un enorme potenziale per rendere i personaggi più credibili al momento opportuno della ripresa e si conferma come ormai questa nuova forma di tecnologia sta rivoluzionando il modo di fare cinema. Il montaggio non è risultato alquanto elementare perché è stato un fattore molto importante in tutto il film. Il lavoro eseguito non è stato per niente disastroso, anzi ha iniziato nel modo da comporre i vari tratti di inquadratura (lo so, statica), nei vari periodi storici e cercando di restare coerenti all’andamento di una vicenda che avanza e torna indietro di colpo (vi avverto). 

È una storia vivace e ti cattura completamente, questo è poco ma sicuro e le interpretazioni degli attori sono state libere e spontanee. Il tempo passa, se ne va e non tornerà più…cantava qualcuno e se ripensassi alla vicenda dei due principali personaggi di questo film, ovvero Margareth e Richard, si comprende maggiormente questa riflessione posta. Forse il film ti cattura anche per questo motivo, perché Zemeckis nella sua sceneggiatura (scritta insieme a Eric Roth, già colleghi per la scrittura di “Forrest Gump”) mette in risalto questo importante aspetto che, a volte, sottovalutiamo. Interpretazioni giuste, sceneggiatura coerente e film apprezzato per la sua vivacità e il fatto che risulti attraente nella sua difficile e statica inquadratura, anche se di fondo sono cambiate le persone e aspetti di cui nemmeno ci accorgiamo.

Consigliatissimo per godervi neanche un paio d’ore di una commedia sentimentale che vale la pena vedere e citerei anche Alan Silvestri (compositore di oltre 100 film) alla colonna sonora, capace di accompagnare i vari momenti che hanno attraversato quella fissa inquadratura, così importante per la storia che andrete a visionare.

martedì 14 gennaio 2025

Le donne sono i diamanti


Recensione redatta da Valerkis

Durante le vacanze natalizie, Ferzan Özpetek ci ha fatto un bel regalo per la fine del 2024 e ci ha portato una pellicola dove mette in risalto il ruolo della donna in quella che noi chiamiamo vita e tutto nella maniera più delicata ed esteticamente coinvolgente.

È la storia di una sartoria, la sartoria Canova, dirette da Alberta (Luisa Ranieri) e Gabriella (Jasmine Trinca) e di tutte le sarte e le costumiste che ci lavorano. Principalmente è la storia di persone come Bianca, Fausta, Paolina, Beatrice, Carlotta, Nicoletta, Nina, Eleonora, Silvana e tutte le donne che, come loro, si battono per la propria posizione e unite come sempre si danno da fare, danno il massimo, ma d’altra parte non trascurano i sentimenti e le fragilità che percepiscono, le sorelle protagoniste in primis. Il loro compito è creare i vestiti per un regista esigente e tra alti e bassi riuscire così a creare l’abito perfetto.

Non mi metto ad elencare le attrici che hanno partecipato a questo film perché sono tantissime e parliamo di buona parte dell’attuale scena italiana. Principalmente mi soffermerei alle interpretazioni delle due sorelle protagoniste, decisamente contrastanti ma unite al tempo stesso ed equilibrate per tutta la durata del film. Sia la Ranieri sia la Trinca sono state fenomenali. Insieme alle altre interpreti sono riuscite a dare una coralità nella vicenda e questo è stato il fattore che ha dato enfasi alla storia. Ferzan Özpetek migliora la sua regia, rendendola dinamica e catturando in spazi ridotti, per la maggior parte delle scene, la forza e la volontà dei personaggi e del senso che si dà alla vita ogni giorno da parte delle protagoniste, considerate i “diamanti” della storia. I diamanti sono le donne che hanno il pieno diritto ad avere tutte le soddisfazioni che vogliono, raggiungendo gli obiettivi e superando le proprie difficoltà e fragilità. Questo è stato messo in risalto registicamente e merito anche della colonna sonora, che ha permesso di accompagnare i vari momenti della vicenda (canzone finale interpretata da Giorgia inclusa). 

Esteticamente è un bel film, parlo di scenografia, fotografia e mettiamoci anche i costumi. È stato fatto un buon lavoro da parte di questo fantastico trio e Özpetek ha permesso di curare la ripresa, l’inquadratura degli sguardi e le gesta delle donne che hanno recitato in questa storia. Il film l’ho apprezzato, a partire da tutte le interpretazioni fatte dalle attrici che hanno composto il cast e inoltre risalta l’accuratezza emotiva e in tutto il momento che compone la scena. Secondo me, si poteva approfondire un po’ le storie di tutte, magari per poco, anche se è vero che il rischio è quello di fare un film troppo lungo e forse l’obiettivo era principalmente girare intorno al concetto del ruolo della donna nella società e nella vita di ogni giorno, creando una vicenda come questa, ovvero la storia della sartoria Canova è soltanto un esempio di piccole realtà e di tante donne che quotidianamente cercano di raggiungere uno scopo.  

Da vedere per appassionarsi al cinema italiano contemporaneo e per trovarsi un nuovo Özpetek, a mio parere, più dinamico e ancora più accurato e delicato nel dettaglio da catturare, attraverso la macchina da presa e nella scrittura della sceneggiatura (insieme a due donne, Elisa Casseri e Carlotta Corradi). Per concludere, ho apprezzato inoltre come la vicenda venga interrotta da un prologo, epilogo e da una pausa di mezzo che tornano alla realtà che c’è stata dietro alla preparazione del film e dal punto di vista diciamo teatrale è piaciuto ed è stato anche simpatico, per certi aspetti. Nel finale non mi sarei allargato all’arricchimento della scena, ma avrei messo in risalto solamente il messaggio che si voleva condividere, continuando a lasciare impressa la propria immagine (c’è proprio Özpetek che si fa riprendere e questo l’ho apprezzato). Penso sia stata bella la dedica speciale fatta ad attrici storiche come Virna Lisi, Monica Vitti e Mariangela Melato.

Alle donne, al cinema e alla vita che concede a chiunque uno spazio per rimediare agli errori e raggiungere così le proprie soddisfazioni!

mercoledì 25 dicembre 2024

Questa è la storia di un re


Recensione redatta da Valerkis

Quest'anno come recensione di Natale, vi propongo il nuovo live-action della Disney che sta riempiendo le sale cinematografiche in Italia. Si torna indietro, riportando la saga de “Il re leone” con una storia che ci porta alle origini di Mufasa, il padre di Simba, il re della savana e di come, appunto, sia diventato re. La storia di Mufasa parte dal rapporto con i suoi genitori interrotto da un incidente causato da un’inondazione e così da solo, il protagonista ha ricominciato una nuova vita incontrando Taka ed entrando così nella nuova terra. Purtroppo veniva continuamente minacciata dai leoni bianchi, considerati con il denominativo “Gli Emarginati” che volevano prendersi il potere su tutto il territorio ed essere i veri re della savana, ma se la dovevano vedere con chi aspirava a diventarlo.

Ormai i live-action sono un obiettivo focale per la Disney, riportando sul grande schermo delle saghe che hanno fatto storia, cercando così di approfondire queste storie bellissime. Personalmente vorrei tenermi stretto “Il re leone” del 1994, così commovente e così avventuroso. Anche il live-action non mi era dispiaciuto, però. Ma torniamo al prequel in questione che ci ha fatto conoscere meglio Mufasa. All’inizio il film ha rischiato di essere scontato e, a mio parere, lo sviluppo iniziale della storia ha rischiato di ricalcare troppo da vicino quella del figlio, soprattutto per quanto riguarda il movente che ha dato origine agli eventi raccontati. Per fortuna si è ripreso notevolmente nel corso della pellicola e ho visto una vicenda assai differente da come si preannunciava, ma piena di avventura, fratellanza, riscatto e valore dal lato del protagonista. Insomma una storia ricca di queste qualità che hanno tenuto in piedi tutto l’andamento dei fatti e registicamente il film lascia impresse queste qualità appena descritte e assume così una dinamicità nell’ambiente di scena. Il lavoro di Barry Jenkins (regista di “Moonlight”) è abbastanza completo. La sceneggiatura scritta da Jeff Nathanson è conforme alla regia che si è sviluppata, mettendo in risalto la dinamicità dei personaggi e delle proprie azioni e i pilastri che tengono in piedi questo film. La scenografia e la fotografia si sono amalgamate molto in tutte le scene, rendendo più vera e vivace tutta la vicenda e questo è stato messo in risalto notevolmente. La colonna sonora, invece, ha ripreso le melodie del primo film della saga ed è stata implementata da una qualità orchestrale e moderna della colonna stessa e per questo l’ho apprezzata. 

Sicuramente è un film da vedere, per ogni genere di pubblico, famiglie comprese e a me ha lasciato impressa una vicenda corale tra i personaggi che hanno intrapreso un'avventura a tutti gli effetti e non rispecchiando, per fortuna, quello che poteva rischiare di diventare, ovvero una storia già vista e rivista e proprio ciò non volevo che accadesse. Se è un film Disney preparatevi a cantare e ad ascoltare molte canzoni e inoltre non credo che la narrazione da parte di Rafiki abbia influenzato negativamente con il problema di rendere il film più pesante del previsto, anzi ha dato più enfasi e arricchito la pellicola secondo me.

Se volete passare un bel momento insieme, questo è sicuramente un buon film. Con l’occasione mi permetto di augurare a tutti Voi un buon Natale e che possiate festeggiare nel miglior modo…al cinema!

martedì 17 dicembre 2024

La cosa più grande che tu possa imparare è amare e lasciarti amare


Recensione redatta da Valerkis

Con questo film vorrei iniziare a portare sul blog tutti quei film ambientati a Parigi, in particolare quelli maggiormente conosciuti, apprezzati (e non) dalla critica. Il titolo parla di un luogo simbolo di Parigi, di una Parigi lussuriosa e di una Parigi che ti porta alla follia pura e così preso dalla curiosità, l’ho recuperato.

1899, periodo della “bohémien” e Christian (Ewan McGregor) vuole portare in scena uno spettacolo all’interno del “Moulin Rouge”. Il mulino rosso dalle pale grosse e che cattura la borghesia parigina, coinvolgendola nel desiderio e nella passione. Il luogo è ideale per far conoscere una storia d'amore, anche se contrastante per un luogo del genere, in un luogo borghese a tutti gli effetti. Bisogna convincere l’impresario Zidler (Jim Broadbent) e soprattutto arrivare a lei, la regina del “Moulin Rouge”, Satine (Nicole Kidman). Attraente dalla testa ai piedi, tutti la desiderano e Christian la vuole scritturare, manca solo chi finanzia lo spettacolo e a questo ci penserà il “duca di Monroth” (Richard Roxburgh). La trama scorre dinamicamente nella preparazione dello spettacolo, ma un fattore condiziona il risultato finale: la gelosia.

Da cosa vogliamo partire, lati positivi o negativi? Direi di toglierci subito i negativi. Il fatto che sia un “musical” inizialmente rende l’andamento di questo film a tratti anche imbarazzante e troppo movimentato, però che ti addentra nel divertimento lussurioso di quel luogo. Non doveva essere completamente cantato, a mio avviso, avrei gradito un’immediata immersione nella “drammaticità” della storia e non parlo di fatti tragici, ma di sentimenti che mi avrebbero portato ad un travolgimento più diretto e non atteso, come è stato. Fatemi gustare subito questi sentimenti, ecco. Si doveva alleggerire la trama? Poteva essere giocata meglio di quello che è stato. La sceneggiatura scritta dal regista Baz Luhrmann e da Craig Pearce è stata un mix di tutto per i vari generi che hanno costituito la pellicola, dal “musical” al drammatico e ad un pizzico di commedia corale. La scenografia risulta troppo fiabesca, secondo me e palesemente ricostruita per l’ambientazione dell’epoca. Insomma, mi aspettavo di meglio. La fotografia è la parte estetica del film che si salva, insieme ad una bizzarra colonna sonora che concilia performance canore dei protagonisti e riprese di famosi brani pop del Novecento (Queen, Madonna, Whitney Houston e così via) e alla moltitudine di costumi usati (vince per questo il Premio Oscar nel 2002). Direi di passare ai lati positivi e in primis citerei l’ottima interpretazione di una delle bionde più famose di Hollywood, Nicole Kidman. Qua non è bionda, è rossa, sensuale, ironica ed elettrizzante, ma con le sue fragilità da risaltare. Bellissima in tutti i sensi, anche nelle sue doti canore messe in risalto. Ewan McGregor interpreta benevolmente un personaggio appassionato da tutta l’atmosfera creata ma che si ammala per una persona che non meriterebbe nulla in merito. Non è da meno nemmeno Roxburgh nei panni del duca, buonissima interpretazione, come anche per Broadbent e tutti gli attori che hanno costruito questa storia non completamente da cestinare, ma da rivedere sicuramente sia per come è uscito fuori e per riflettere su come poteva uscirne meglio di come è stato. 

Baz Luhrmann non è un regista incapace, perché ha reso tutto alquanto dinamico nella complicità dei personaggi e di quello che stavano facendo, mettendo in risalto anche visioni non considerate di quel periodo storico. Si gode, si sogna, si ama, anche se non si potrebbe, ma si ama e mi direte come non amare una Nicole Kidman nei panni di un personaggio che dirige tutto e tutti, fino alla fine dei giorni di quel “benessere” scatenante e travolgente, dove solo nel “Mouline Rouge” poteva avvenire. Parigi è bella anche per questa, in fondo!

martedì 19 novembre 2024

Piacere, Francesca Comencini

 


Recensione redatta da Valerkis

I Comencini sono un nome da custodire per il cinema italiano, prima con Luigi e per arrivare alle figlie Cristina e Francesca, che hanno deciso di seguire le orme del padre nella regia e poi c’è anche Paola, scenografa e costumista. Non conoscevo che tipologia fosse la regia di Francesca Comencini, anche se ho visto il documentario che fece sulla vicenda di Carlo Giuliani avvenuta al G8 del 2001. Ma questa è un’altra vicenda.

La produzione italo-francese, tra cui troviamo anche Marco Bellocchio tra i produttori, ha voluto dare spazio alla storia personale di Francesca ed esaltare cosí la sua vicenda inoltre raccontando una società e una generazione che viveva nell’incertezza, dove l’escamotage per andare avanti erano la protesta e l’assunzione di qualcosa che può portare addirittura alle cause peggiori.

Quindi, è la storia di Francesca (interpretata da una bravissima Romana Maggiora Vergano per la parte adulta e per la parte da bambina da Anna Mangiocavallo) e del suo rapporto con il padre, Luigi (interpretato da un bravissimo Fabrizio Gifuni) e delle vicende che li riguardano. Si passa dai set cinematografici del padre per finire ad un viaggio insieme a Parigi per sfuggire da tutto il male che li stava influenzando. La storia di questo film passa dal cinema alla realtà e che finalmente trova il risvolto definitivo, mettendo entrambi al pari in ogni senso.

Francesca Comencini gioca la carta della sua autobiografia, costruendo registicamente due personaggi così uniti e così distanti e riesce persino a coordinare i due protagonisti, aldilà della bravura di base da parte della Vergano e di Gifuni. La regia è buona sicuramente, anche se potevo aspettarmi un maggior tocco di autenticità registica. Effettivamente non era questo l’obiettivo, perché si tratta di un film autobiografico e perché parliamo di un’altra generazione di fare cinema in Italia rispetto a quando lo faceva Luigi, secondo me. Non è un film da tralasciare nella visione perché ti porta in un periodo storico che ha influenzato moltissimo i due protagonisti e cercando alla fine di sostenersi e riuscire così a trovare la giusta strada. La fotografia di Luca Bigazzi rende il tutto alquanto autentico e il montaggio (Francesca Calvelli, Stefano Mariotti), in questo film, risulta importante per il cambio di alcune scene inserendo quella che chiamerei “metafora della balena”. Ognuno, se vedete il film, può interpretarla come vuole. Anche i messaggi che vuole tramandare questo film sono importanti e non da sottovalutare, in particolare sugli effetti negativi che la droga può scatenare. 

Vorrei puntualizzare come mi abbia colpito l’interpretazione della Vergano, nella scena cuore di tutta la storia, durante una crisi nervosa. Questo è un grande salto di qualità nella sua dote attoriale, riuscendo ad entrare perfettamente nella parte. 

La Comencini ha esaltato molto il periodo buio degli anni di piombo creando incertezza, instabilità e dispersione nei protagonisti ma con la voglia viva di rimettersi in gioco affrontando un bel viaggio insieme e con la complicità che li distingue. Questo è quello che mi ha trasmesso il film di Francesca Comencini, così profondo, personale con un'attenzione ai messaggi da tramandare e una bella dedica al cinema, alla sua storia e a suo padre, che l’ha seguita nel suo percorso, arrivando ad oggi con questo film da non sottovalutare in alcun modo.

lunedì 28 ottobre 2024

Bellezza dominante, unica e particolarmente d’effetto


Recensione redatta da Valerkis

Quando si dice "Vedi Napoli e poi muori!" un motivo c’è. Ditemi quello che volete, ma in fondo hai questa sensazione (almeno per me). Ma qui non si parla di Napoli come protagonista, ma fa da sfondo alle vicende di Parthenope. Un nome importante da attribuire ad una ragazza che dovrebbe mostrare dominanza, unicità e particolarità d’effetto in quello che dice e in quello che fa. Anche in quello che pensa, ma a cosa penserà solitamente? Non si sa, lo si scoprirà vedendo (forse). 

Parthenope (Celeste dalla Porta per la parte da giovane e Stefania Sandrelli per la parte finale) nasce a Napoli nel 1950 e in questo film viene raccontata la sua vita in grandi linee, o meglio nel pieno della sua gioventù per poi avviarsi nell’età adulta. Suo fratello Armando rimane affezionato per tutta la vita a lei e in base a dove andava, lui c’era sempre. Ma gli imprevisti sono dietro l’angolo e Parthenope deve prendere la giusta strada per decidere quale intraprendere, rimanendo incredula, incerta e sperduta in quel gran caos che si chiama appunto, vita. 

Parliamo subito di regia e sceneggiatura, curate da Paolo Sorrentino che torna dopo tre anni a dirigere un capolavoro ambientato nella sua città natale e non solo. Passerei all’analisi del film, ovviamente per come la penso. La regia assume un mutamento interessante nel corso del film, o meglio assume due macro sfumature: la prima è veloce, diretta e con tanta tecnica per introdurre quella che sarà la vera essenza della storia. Un po’ come la giovinezza, forse, così veloce per non viverla appieno. La seconda più lenta e sperduta, come Parthenope stessa. Deve decidere che strada prendere e vive ogni situazione dalla più toccante alla più soddisfacente, intraprendendo una carriera e seguendo un interesse nel risolvere un mistero che la accompagnerà per buona parte della sua giovinezza. La regia di Sorrentino è autentica in ogni sfumatura, anche con le sue tecniche indimenticabili che ci immergono nella piena corrente “sorrentiniana” della sua lavorazione. La sceneggiatura risulta equilibrata, conforme e continuativa. Fino a qui bellissimo come anche fotografia e scenografia, che sono riusciti a costruire un binomio ottimo nelle sensazioni da trasmettere con molte inquadrature solari, inquietanti e passionali. Alle colonne sonore, Lele Marchitelli incide le sue musiche perfettamente adatte nei vari momenti accompagnate dalle intoccabili canzoni di Riccardo Cocciante, Ornella Vanoni e Gino Paoli. 

Delle critiche avrei da fare, però, in particolare quando Parthenope viene orlata di pietre preziose di stampo religioso sul corpo nudo della protagonista. Per me ha rischiato di osare un po’ troppo da questo punto di vista, perché penso di avere un’idea di come la religione vada trattata nella scena in contesti conformi all’etica stessa; anche in un’altra scena avrei qualcosa da dire, nei confronti di inquadrature di un atto erotico in corso. Sarebbe stato meglio che si intravedesse soltanto, ma questa scelta finale potrebbe essere coerente al fatto di mostrare lo squallore in cui si ritrovò in quel momento Parthenope, comprendendo appieno i veri problemi e pericoli della vita.  

Direi di passare alle interpretazioni e partirei se non da lei, Celeste Dalla Porta. Alla sua prima esperienza da attrice protagonista riesce ad interpretare perfettamente un personaggio che viene descritto come ho appena fatto all’inizio dell’articolo: dominante, unica e particolarmente d’effetto. Su quest’ultimo non parlo solamente dal punto di vista seduttivo, perché la bellezza viene mostrata senza essere troppo seducenti, anzi la bellezza di Parthenope è in tutto il suo essere. Per questo Dalla Porta è riuscita molto bene nella sua interpretazione. Altro personaggio importante è il suo professore di antropologia all’università, il professor Marotta (interpretato da Silvio Orlando) che segue la protagonista e mostrandosi come un punto cardine nei suoi confronti. Orlando non delude mai. Per arrivare agli altri: la presenza di Gary Oldman (nei panni di John Cheever) che ho apprezzato pienamente; Isabella Ferrari nei panni della misteriosa Flora Malva; Luisa Ranieri nei panni di Greta Cool e per passare ai familiari e a tutte le persone di passaggio che ammiravano Parthenope come se fosse scesa una divinità in persona. Lei era la divinità, rendendosi unica nel suo splendore e con il suo vissuto caratterizzato da una gioventù che risulta dolce e amara subito dopo, perché la vita vera sono altre cose, dove le fratture tendono a dominare e questo lei lo vede ed è il “vedere” il vero senso dell’antropologia. Il vero senso della vita.

Parla di vita, questo è chiaro, ma nel pieno sentimentalismo e assumendo una filosofia d’autore unica che solo Sorrentino riesce a costituire, crescendo sempre di più registicamente e sentendosi convinto in quello che è riuscito a portare sul grande schermo e soprattutto a produrlo (lo apprezzo questo e il numero 10 nei titoli di testa, in onore di Maradona, faceva già capire il tutto) e sul discorso della produzione, ho notato come siano stati coinvolti tre paesi: Italia, Francia e Stati Uniti (Netflix incluso). Non è stato troppo sdolcinato, in fondo, perché quando ti crolla tutto viene percepito, ma riesce ad usare una delicatezza che solo un autore di cinema riesce ad intraprendere e trasmettere, seduzione inclusa. Per questo Parthenope è piaciuto e per questo va visto, per provare tante emozioni e comprendere una filosofia e una visione sulla vita e sulla bellezza mostrata appieno in ogni singolo frammento. 

P.S.: sarò pazzo, ma è possibile che dopo ventiquattro ore che avevo visto il film ancora mi tornavano in mente delle scene, senza che ci pensassi? Capolavoro, anche per questo effetto che mi ha scatenato.


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