Recensione redatta da Valerkis
Vi premetto di non conoscere bene Pippo
Mezzapesa, ma una cosa la posso affermare da subito: di esperienza
cinematografica ne possiede e si nota.
Il Festival di Venezia del 2022 è stato
caratterizzato anche dalla presentazione di questo film e penso molti
(io compreso) sono stati incuriositi da una
presenza inaspettata: quella di Elodie
interprete di una parte protagonista. Insomma dai
provini per "X-Factor" nel lontano 2008
alla sua prima esperienza nel campo cinematografico, sono passati quattordici
anni di successi tra vari programmi televisivi, album, tormentoni e mettiamoci
anche tre Festival di Sanremo (due da cantante e uno da co-conduttrice).
Andiamo con ordine: personalmente questo film mi
ha interessato non solo per vedere come se la cavasse Elodie alla sua prima
esperienza in questo mondo, ma anche per il fatto di conoscere nuovi occhi del
cinema italiano e per vedere come si ripropone la pellicola in bianco e nero
nel 2022. Aggiungo inoltre che mi interessava il
genere, considerato probabilmente superficiale
e scontato.
Siamo nel tacco dello stivale, quindi in Puglia,
il periodo storico non è importante più di tanto anche se in qualche
modo ci aiuta a capire la dinamica della situazione. La
vicenda narra di una guerra in atto tra due famiglie
conosciute nei paesini della zona dove è
ambientata la vicenda e di mezzo ci sono persone che vorrebbero rimediare a queste tensioni attuando,
così, una serie di diplomazie. Ma si sta in mezzo ad una
valanga di fatti troppo enormi per occuparsi
di diplomazie, appunto. Praticamente è tutto troppo difficile, forse
addirittura impossibile!
I due protagonisti principali sono Marilena
(interpretata da Elodie) e Andrea (interpretato da Francesco Patanè) che
vengono travolti dall’eros finendo nel lato
più buio di tutta la vicenda. Forse è proprio questo il motivo per cui la
pellicola è in bianco e nero, difficile da accettare per le generazioni più
nuove, come me, ma più attraente per comprendere maggiormente i lati oscuri
della vicenda. Tutto è merito anche della
fotografia firmata dal David di Donatello Michele D’Attanasio, bellissima e attraente, devo dire veramente azzeccata!
Sono rimasto contento del fatto che il regista
abbia affidato una piccola parte nella famiglia protagonista ad un bambino con
la “sindrome di down”, un
messaggio spero non passi inosservato dal pubblico.
Un altro fatto di cui sono rimasto attratto è
stata l’allegoria continua adottata nella sceneggiatura attraverso le figure
degli animali in confronto agli esseri umani spiegando perfettamente la
situazione narrata, sottolineando così una buona
cura della sceneggiatura da parte del regista
stesso insieme ad Antonella Gaeta e Davide Serino. Il dialetto pugliese
adottato come lingua parlata, insieme all’italiano, non ha reso più di tanto
complessa la comprensione dei dialoghi, anche
perché le parole utilizzate erano semplici. Sicuramente fatto appositamente per non mettere in difficoltà il
pubblico, nonostante la presenza dei sottotitoli (quello era il minimo che si
potesse fare). La colonna sonora è stata fondamentale
in questo film ed è stata curata benissimo, scoprendo degli aspetti persino
superiori alle mie aspettative. Quindi un’ovazione va fatta anche a Teho Teardo
per averci impresso in maniera più diretta il grottesco e la cruda violenza mostrati
nella storia.
Sicuramente il film in questione è stato pubblicizzato
principalmente per la prima esperienza cinematografica di un’artista come Elodie e il
risultato è che nel complesso possiede una buona presenza scenica. Le
caratteristiche principali del suo personaggio sono quelle di essere
un’esauriente testimone dei fatti, una sopravvissuta
coraggiosa e un’icona sensuale a tutti gli
effetti. Magari una maggiore teatralità
avrebbe reso più che buona la sua
interpretazione e invece l’ho trovata un po’ statica all’uso del dialetto e del
lato sensuale che il personaggio doveva trasmettere. Ci poteva essere
qualcosina in più, ma non sto dicendo che non mi sia piaciuta. Patanè è stato azzeccato per la
sua parte, quella di un personaggio inetto che
si trasforma in un boss vero e proprio, continuando a nascondere le sue debolezze. Notevole, comunque, la
trasformazione del personaggio negli atteggiamenti assunti e credo sia merito anche del
trucco, rendendo il protagonista un vero
trucido al punto di mostrare un'assoluta anaffettività.
Quindi, il film di Pippo Mezzapesa è il risultato
finale di una vicenda noir e grottesca accaduta nel nostro paese, dove da
una parte c’è l’amore per il quale vorrebbe lasciare spazio a tutte le atrocità ma alla
fine ritornano e durano per sempre, rimanendo
in ogni momento tesi e, come si dice, con il fiato sul collo. La parola “pace” è decisamente
sconosciuta in quell’ambiente.
Un altro fatto notevole dal punto di vista
registico è stato l’utilizzo frequente dei “primi piani” risaltando sguardi,
sangue e merda, ma veramente tanta. È stato tutto decisamente grottesco!
È una storia coinvolgente, in generale,
dove la teatralità è stata aiutata grazie all’uso del dialetto e c’è
stato il rischio che la vicenda potesse diventare scontata e superficiale. Invece così non è
stato.
Ma cosa mi sto dimenticando! Michele
Placido torna a fare il duro della situazione…un’ interpretazione del genere non la vedevo da circa sedici anni!
Dai Pippo non male, ma da valorizzare di più!
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