mercoledì 5 ottobre 2022

“Lasciatemi la faccia!” (e chi ha visto il film lo capirà)


Recensione redatta da Valerkis

Vi premetto di non conoscere bene Pippo Mezzapesa, ma una cosa la posso affermare da subito: di esperienza cinematografica ne possiede e si nota.

Il Festival di Venezia del 2022 è stato caratterizzato anche dalla presentazione di questo film e penso molti (io compreso) sono stati incuriositi da una presenza inaspettata: quella di Elodie interprete di una parte protagonista. Insomma dai provini per "X-Factor" nel lontano 2008 alla sua prima esperienza nel campo cinematografico, sono passati quattordici anni di successi tra vari programmi televisivi, album, tormentoni e mettiamoci anche tre Festival di Sanremo (due da cantante e uno da co-conduttrice).

Andiamo con ordine: personalmente questo film mi ha interessato non solo per vedere come se la cavasse Elodie alla sua prima esperienza in questo mondo, ma anche per il fatto di conoscere nuovi occhi del cinema italiano e per vedere come si ripropone la pellicola in bianco e nero nel 2022. Aggiungo inoltre che mi interessava il genere, considerato probabilmente superficiale e scontato.

Siamo nel tacco dello stivale, quindi in Puglia, il periodo storico non è importante più di tanto anche se in qualche modo ci aiuta a capire la dinamica della situazione. La vicenda narra di una guerra in atto tra due famiglie conosciute nei paesini della zona dove è ambientata la vicenda e di mezzo ci sono persone che vorrebbero rimediare a queste tensioni attuando, così, una serie di diplomazie. Ma si sta in mezzo ad una valanga di fatti troppo enormi per occuparsi di diplomazie, appunto. Praticamente è tutto troppo difficile, forse addirittura impossibile!

I due protagonisti principali sono Marilena (interpretata da Elodie) e Andrea (interpretato da Francesco Patanè) che vengono travolti dall’eros finendo nel lato più buio di tutta la vicenda. Forse è proprio questo il motivo per cui la pellicola è in bianco e nero, difficile da accettare per le generazioni più nuove, come me, ma più attraente per comprendere maggiormente i lati oscuri della vicenda. Tutto è merito anche della fotografia firmata dal David di Donatello Michele D’Attanasio, bellissima e attraente, devo dire veramente azzeccata!

Sono rimasto contento del fatto che il regista abbia affidato una piccola parte nella famiglia protagonista ad un bambino con la “sindrome di down”, un messaggio spero non passi inosservato dal pubblico.

Un altro fatto di cui sono rimasto attratto è stata l’allegoria continua adottata nella sceneggiatura attraverso le figure degli animali in confronto agli esseri umani spiegando perfettamente la situazione narrata, sottolineando così una buona cura della sceneggiatura da parte del regista stesso insieme ad Antonella Gaeta e Davide Serino. Il dialetto pugliese adottato come lingua parlata, insieme all’italiano, non ha reso più di tanto complessa la comprensione dei dialoghi, anche perché le parole utilizzate erano semplici. Sicuramente fatto appositamente per non mettere in difficoltà il pubblico, nonostante la presenza dei sottotitoli (quello era il minimo che si potesse fare). La colonna sonora è stata fondamentale in questo film ed è stata curata benissimo, scoprendo degli aspetti persino superiori alle mie aspettative. Quindi un’ovazione va fatta anche a Teho Teardo per averci impresso in maniera più diretta il grottesco e la cruda violenza mostrati nella storia.

Sicuramente il film in questione è stato pubblicizzato principalmente per la prima esperienza cinematografica di un’artista come Elodie e il risultato è che nel complesso possiede una buona presenza scenica. Le caratteristiche principali del suo personaggio sono quelle di essere un’esauriente testimone dei fatti, una sopravvissuta coraggiosa e un’icona sensuale a tutti gli effetti. Magari una maggiore teatralità avrebbe reso più che buona la sua interpretazione e invece l’ho trovata un po’ statica all’uso del dialetto e del lato sensuale che il personaggio doveva trasmettere. Ci poteva essere qualcosina in più, ma non sto dicendo che non mi sia piaciuta. Patanè è stato azzeccato per la sua parte, quella di un personaggio inetto che si trasforma in un boss vero e proprio, continuando a nascondere le sue debolezze. Notevole, comunque, la trasformazione del personaggio negli atteggiamenti assunti e credo sia merito anche del trucco, rendendo il protagonista un vero trucido al punto di mostrare un'assoluta anaffettività.

Quindi, il film di Pippo Mezzapesa è il risultato finale di una vicenda noir e grottesca accaduta nel nostro paese, dove da una parte c’è l’amore per il quale vorrebbe lasciare spazio a tutte le atrocità ma alla fine ritornano e durano per sempre, rimanendo in ogni momento tesi e, come si dice, con il fiato sul collo. La parola “pace” è decisamente sconosciuta in quell’ambiente.

Un altro fatto notevole dal punto di vista registico è stato l’utilizzo frequente dei “primi piani” risaltando sguardi, sangue e merda, ma veramente tanta. È stato tutto decisamente grottesco!

È una storia coinvolgente, in generale, dove la teatralità è stata aiutata grazie all’uso del dialetto e c’è stato il rischio che la vicenda potesse diventare scontata e superficiale. Invece così non è stato.

Ma cosa mi sto dimenticando! Michele Placido torna a fare il duro della situazione…un’ interpretazione del genere non la vedevo da circa sedici anni!

Dai Pippo non male, ma da valorizzare di più!

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