venerdì 28 ottobre 2022

L’Archibugi e Veronesi ci fanno emozionare, ma non basta!



Recensione redatta da Valerkis

Ve lo dico subito, partirò nel pieno svantaggio. Ora vi dirò il perché. Se devo spendere due parole su Francesca Archibugi, non posso farlo. Gli unici film visti diretti da lei sono: “Il nome del figlio” visto a tratti e a primo impatto l’ho reputato pesante negli argomenti trattati (sarà una recensione futura magari). L’altro film è “Vivere” e non vi dirò niente per una futura recensione assicurata.

Parliamo di un film che sta riempiendo (o meno) il cinema italiano in questo ottobre 2022 ed è stato presentato in occasione dell’apertura del Festival del Cinema di Roma. L’Archibugi torna dopo tre anni dietro la macchina da presa e a sceneggiare insieme a Francesco Piccolo e a Laura Paolucci una storia, che qualcuno magari già conosce, grazie alla vittoria del Premio Strega 2020 da parte dello scrittore del libro omonimo da cui è tratto il film, ovvero Sandro Veronesi. Parto svantaggiato inoltre perché non ho letto il suo libro e sicuramente quello raccontato nel romanzo non è proprio identico alla sceneggiatura adattata da Archibugi, Piccolo e Paolucci. Per questo mi esprimerò solamente per ciò che ho visto.

Il trailer e l’inizio mi hanno trasmesso buone possibilità nel vedere un racconto potente, cioè ricco di emozioni e, perché no, di colpi di scena alternando drammaticità e semplicità nel dirigere questa vicenda. Come è andata invece? Partiamo dal protagonista Marco Carrera (interpretato da Pierfrancesco Favino), un medico che ha vissuto la propria vita tra amori, discussioni e speranze nell’età adolescenziale e pre-adulta per poi trascorrere una vita adulta risultata tormentata e complicata, insomma non come se la immaginava da ragazzo. Tre persone hanno segnato in maniera significativa la sua vita, anzi quattro: Luisa Lattes (interpretata da Bérénice Bejo), Marina Molitor (interpretata da Kasia Smutniak), Adele Carrera (interpretata da Benedetta Porcaroli, nell’età adulta) e quello che per me è stato il mio personaggio preferito in questa storia, Daniele Carradori (interpretato da Nanni Moretti). Questi personaggi sono stati importanti per Marco, in ogni parte della sua vita: in quella sentimentale, in quella prosperosa e in quella difficile. Nel corso della vicenda, Carradori è stata una figura aiutante nella vicenda, soprattutto per il protagonista e il personaggio interpretato dalla Smutniak. Ve lo dico da subito, vedere Nanni Moretti interpretare quella parte, in determinate scene, ho rivisto troppo il personaggio del suo film “La stanza del figlio” (la recensione la porterò sicuramente, promesso e scusatemi l’eventuale “spoiler”, ma tutto questo lo capirà solo chi avrà visto quel meraviglioso film). Bravo Nanni!

Altro da dire? Per quanto riguarda la storia, non vorrei dirvi troppo, giusto che il protagonista è stato coinvolto in tanti eventi e fatti i quali hanno condizionato la sua vita, sentimentalmente e non, anche grazie a quelle persone citate prima risultate significative nel proprio percorso.

Per quanto riguarda il cast, abbiamo a che fare con buona parte degli attori attuali italiani. Tutti magicamente bravi, da Favino il quale è riuscito a interpretare un protagonista inizialmente orgoglioso di vivere e per poi spegnersi lentamente diventando passivo nella realtà che lo circondava; alla Smutniak, splendida nelle sue delusioni e rabbie; alla Bejo, dove in qualche modo si è resa sempre disponibile nel riempire il vuoto di Marco; a Laura Morante (interpretante la mamma di Marco) che ancora a 66 anni riesce a rimanere la stessa di quaranta, se non cinquant’anni fa quando era ancora una giovane e affascinante attrice capace di interpretare ogni tipo di personaggio e per arrivare a rinnovare la mia gratitudine ad un immenso Nanni Moretti, passando successivamente alla Porcaroli, a Sergio Albelli (intepretante il padre di Marco), Alessandro Tedeschi (interpretante il fratello di Marco), Fotinì Peluso (interpretante la sorella di Marco) e ad un inaspettato Massimo Ceccherini (interpretante un amico del periodo giovanile di Marco; vi prego non pregiudicate male su di lui prima di guardare il film. Guardatelo e poi ne riparliamo).

Cosa mi ha trasmesso il riadattamento dell’Archibugi inerente alla storia di Veronesi?

Partiamo da una cosa fondamentale: un evidente buon rapporto con la fotografia firmata da Luca Bigazzi (vincitore del David di Donatello per i film “La Grande Bellezza”, “Pane e Tulipani”, “Le conseguenze dell’amore”, “Romanzo Criminale” e tanti altri…) direi pienamente azzeccata soprattutto per le riprese nella località della spensieratezza e della bella stagione, dove i colori e le luci sono forti e vivi. Sto parlando della località dove è stata girata la storia del protagonista nell’età fertile e pre-adulta. La fotografia delle riprese effettuate nelle città ha fatto assumere quella monotonia nella quale sono stati coinvolti i protagonisti, confermando il buon lavoro firmato Bigazzi. Ma lì, in quel mare, in quella spiaggia…ho percepito quella leggerezza e freschezza, come d’altronde agivano i protagonisti e sembrava svolgersi la vicenda, per poi piovere, oscurarsi e vedere ribaltarsi tutto. Ho notato come l’Archibugi ha giocato molto con il “flash-back” e devo capire e analizzare meglio se questo è stato frequente anche nel romanzo. Ma non credo cambierà il mio pensiero sul film che vi sto recensendo, perché il “flash-back” va usato e gestito non bene, di più e il motivo sta nel fatto di calcolare l’eventuale disattenzione da parte del pubblico perché se si perde un minimo nella comprensione bisognerà premere il pulsante STOP e RESTART. Fidatevi! Il potenziale c’è, perché la storia è bella e sceneggiata anche in maniera abbastanza decente, facendo percepire la drammaticità generale che la vicenda doveva trasmettere assistendo così ad una storia ricca di emozioni in ogni sfaccettatura per arrivare in un momento dove mi colpisce, in particolare, nel vedere un Favino statico e passivo. Lì solo una parola mi è saltata in mente: “tristezza”. Perché prima ho detto “sceneggiata in maniera abbastanza decente”? Perché riflettendo, ho notato qualche buco inaspettato, devo dire anche spiacevole, rendendo il film quasi incomprensibile ma per fortuna è durato molto poco!

Però peccato davvero, ribadendo anche la questione dei “flash-back” che magari potevano essere gestiti meglio, facendo assicurare il mio pieno apprezzamento, ma sarà parziale anche se collocato oltre “il 50%”.

Comunque sia, parliamo di un film eseguito non da una principiante ma da una persona che lavora nel cinema dagli anni ottanta, mostrando così la sua capacità (buona o discreta) nel dirigere ogni minimo particolare. Dove si può notare un eventuale “tocco femminile”? Non posso dirlo, dovrei seguire per un po’ la sua filmografia e ne potremo riparlare. Ma se dovessi proprio rispondere? E dove sarebbe presente in questo film? Forse le emozioni, sono state risaltate parecchio e in questo le donne riescono benevolmente. Sono decisamente più sensibili di noi uomini!

Comunque il gioco del “flash-back” andava gestito meglio ed è stato un vero peccato, perché tutto sommato è un film che merita di essere visto e di percepire ogni singola emozione trasmessa da parte di ogni elemento contribuente alla realizzazione di questo film: attori, sceneggiatori, regista e ovviamente il padre di questa storia, Sandro Veronesi che insieme a Francesca Archibugi hanno lasciato allo spettatore quello che dovevano: emozioni su emozioni.

mercoledì 26 ottobre 2022

TRE UOMINI, DUE SENTENZE, UN TESORO

Recensione redatta da Rickers


Con questo post si chiude una saga iniziata un mese fa. Il film che tratterò in questo post è uno dei film più iconici e leggendari che vi possa venire in mente. Questo post termina la mitica “Trilogia del Dollaro” dell’altrettanto mitico Sergio Leone, regista geniale e innovativo, che vede proprio nel suo ultimo capitolo il suo apice.

“Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo” forse rimane (ancora ad oggi) uno dei più celebri film western della storia del cinema, tanto da essere considerato come la perfetta incarnazione del western nostrano, oltre che uno dei migliori film di sempre. Girata dopo gli insperati (quanto meritati) successi dei due film precedenti (“Per un pugno di dollari” e di seguito “Per qualche dollaro in più”), la pellicola getta le basi per il completamento della fortunata “Trilogia del Dollaro” creata da Sergio Leone. Dopo i successi legati ai primi due film, Leone non aveva alcuna intenzione di continuare il progetto legato alla trilogia. Tuttavia, si convinse ben presto a rivedere la sua decisione dopo aver visto il compenso che gli sarebbe spettato. Leone accettò immediatamente seppure non avesse alcuna idea in cantiere. Il film, alla sua uscita, generò opinioni contrastanti alla critica, ma ciò non impedì alla pellicola di ottenere un enorme successo di pubblico. La sua popolarità perdura inalterata da quel lontano 1966 e ormai si è instaurato autentico classico del cinema. La sua importanza storica è innegabile, talmente tanto da essere d’ispirazione ancora oggi per importantissimi cineasti moderni, primo tra tutti Quentin Tarantino.

La sceneggiatura, curata dallo stesso Leone insieme a Luciano Vincenzoni, fu difficilissima da portare a termine. All’inizio erano presenti il duo Age & Scarpelli (Agenore Incrocci e Furio Scarpelli) e Sergio Donati, ma i tre lasciarono il progetto praticamente agli esordi: i primi furono silurati da Leone dopo aver presentato la prima bozza di una ipotetica trama, il secondo lasciò per incomprensioni con il regista. La trama narra di una guerra quasi “territoriale” compiuta da tre pistoleri dall’oscuro passato, bramosi di impossessarsi di un tesoro nascosto all’interno di un cimitero. In queste poche righe viene rispecchiata l’essenza del pensiero di Leone. Nei tre protagonisti, ognuno per la propria parte autobiografico del regista, convivono bellezza e bruttezza, umanità e ferocia. Il regista prende tutti questi concetti demistificandoli e riuscendo, al contempo, anche a compiere una dichiarata quanto sottile denuncia alla follia bellica e all’avarizia insita nell’essere umano. Leone demistifica di conseguenza la storia degli stessi Stati Uniti d'America, mostrandone il vero lato violento e brutale, sempre oscurato dalla tradizione naturalmente mitizzante dell'epica western. Interessante la scelta di riproporre il "cliché" dell'uomo senza nome, sotto però spoglie ambigue, a metà strada tra quelle di un cacciatore di taglie e quelle di un giustiziere.

Dal punto di vista registico, questo film ha fatto scuola. Scene catturate con grande sapienza, con montaggi serrati e stacchi violenti. Ogni scena incarna alla perfezione una piccola dimensione che trova magicamente il proprio posto all’interno della pellicola. Unica pecca: la parte centrale che smorza il ritmo incalzante del film, che finisce irrimediabilmente per ammazzare lo spettatore per la sua lentezza. Tuttavia, senza quella stessa parte centrale il film perderebbe di senso, perdendo di conseguenza il proprio scorrere. Le scenografie sono realizzate con grande cura. Famosa storia riguarda il cimitero del “triello finale”, set realizzato appositamente per il film.

Il cast si segnala ancora una volta dalla presenza dell’immancabile Clint Eastwood, che in questo film interpreta “il Biondo”, una delle incarnazioni dell’uomo senza nome. Nell’arco di tutta la trilogia, Clint Eastwood ha probabilmente incarnato quello che è, per caratura e importanza, il personaggio maggiormente riuscito di Sergio Leone. Molto importante è la presenza del sigaro, uno dei simboli di questo film: Clint Eastwood ne ha sempre in bocca uno e l'accende ripetutamente. Torna anche Lee Van Cleef, che in questo film interpreta “Sentenza”. Ultimo arrivato è Eli Wallach, che qui interpreta il ruolo di “Tuco”. Tutti e tre gli attori forniscono forse la loro migliore interpretazione. Clint Eastwood irraggiungibile per mimica, impostazione della voce ed iconografia; Lee Van Cleef ottimo antieroe capace di trainare il film anche per un discreto minutaggio, Eli Wallach perfetto nel suo serio ma comico quel tanto che basta da strappare un sorriso ogni tanto.

Nota a margine spetta per il maestro Ennio Morricone, che confeziona senza alcun dubbio il suo lavoro più iconico. Musiche incalzanti, composte e sempre azzeccate, caratterizzate da un incedere deciso e scandito dal metronomo delle scene. In alcuni frangenti le musiche trasmettono una teatralità e un’epicità trasudanti imprese a stelle e strisce. Iconica rimarrà la scena del “triello”. Leggendario, basta solo questa parola.

Arrivati alla fine di questa trilogia, posso affermare quasi come un coro unanime che questi film costituiscono parte integrante della storia del cinema. In particolare questo film mi ha entusiasmato e continua a farlo ogni volta che lo vedo. Il viaggio dell’uomo senza nome leoniano raggiunge il suo apice qui, dopo aver attraversato un climax ascendente che lo ha portato a scontrarsi con bande messicane fin troppo avare, colonelli in cerca di vendetta e pistoleri bramosi di ricchezza. Questo film è (e resterà sempre) una vera e propria pietra miliare della storia del cinema. Tutto di questo è realizzato nei minimi dettagli: la trama, le riprese, il recitato e le scenografie, i costumi, i dialoghi, insomma tutto quanto. Uniche note di stono sono la parte centrale abbastanza lenta e la durata del film, ma questo significa davvero trovare il pelo nell’uovo. “Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo” rappresenta la fine di un viaggio che conclude magnificamente un ciclo narrativo che mai verrà superato a livello di emozioni, climax e splendore epico. Poco ma sicuro.

venerdì 21 ottobre 2022

PER QUALCHE DOLLARO IN PIU'

Recensione redatta da Rickers

A distanza da un mese direi che è giunto il momento di continuare con quello che ho definito come un “fantastico racconto”. A distanza di un mese, riprenderò una delle trilogie cinematografiche più famose della storia del cinema, quella “del Dollaro” di Sergio Leone, lì da dove mi sono fermato.

Sergio Leone è stato un genio innovatore. Su questo nessuno (ma proprio nessuno) potrà negarlo. Con la sua corrente di pensiero e con le sue idee visionarie ha spianato la strada a tante delle mega-produzioni di Hollywood che tanto amiamo. Continuare la storia lì dove si era interrotta, con un pistolero che insieme al suo bottino e al suo fido destriero va alla ricerca di nuove imprese, era praticamente impossibile. Qui scatta la scintilla che accende la lampadina: ricominciare daccapo quella storia. “Per Qualche Dollaro in Più” parte da questo pensiero laterale; creare qualcosa di nuovo a partire da qualcosa di già visto. Sergio Leone, genio e sregolatezza.

Questo film, sulla base della premessa, vede di nuovo un intramontabile Clint Eastwood come protagonista di questa storia. La parabola “dell’Uomo senza Nome” leoniano riprende forma in un giovane cacciatore di taglie alla ricerca di criminali molto remunerativi. L’occhio (e la pistola) del cacciatore di taglie cade sul manifesto di “El Indio”, rinomato e pericoloso criminale interpretato da Gian Maria Volonté, sulla cui testa pende una taglia sufficientemente alta da attirare l’attenzione del giovane. A molti chilometri di distanza, anche il Colonello Mortimer dell’esercito sudista, interpretato da Lee Van Cleef, adocchia la taglia di “El Indio”, anche se per motivi diversi dal vil denaro. Inizierà quindi una forte rivalità tra i due intraprendenti cacciatori di taglie, che li spingeranno ad unire le forze pur di far sparire “El Indio” dalla circolazione.

Trama pulita, niente sbavature e dalla scorrevolezza molto lineare e franca. “Per Qualche Dollaro in Più” ha avuto un enorme successo commerciale al suo rilascio, scalando le classifiche nei botteghini diventando il film più visto nel suo anno di uscita (1965) e più in generale il quinto film italiano più visto di sempre. Il successo strabordante del primo capitolo aveva costretto Leone a inventarsi l’insperato pur di realizzare un seguito, a cui ovviamente partecipò anche Eastwood. Lee Van Cleef fu convinto in ben altra maniera: l’attore raccontò più volte che Leone lo “salvò” da un declino quasi certo. Van Cleef era infatti reduce da film in cui non raggiungeva vivo nemmeno i titoli di coda e per sua stessa ammissione non riusciva nemmeno a pagare la bolletta della luce. “Per Qualche Dollaro in Più” rappresenta la sua rinascita come attore e come interprete dei film western. Lee Van Cleff diverrà un nome da mettere ben stampato a caratteri cubitali nei titoli di testa. Gian Maria Volonté venne anche lui richiamato per il progetto e l’attore accettò di buon grado l’invito, interpretando lo spietato “El Indio”.

Tutti e tre gli attori forniscono una prova stellare del loro talento e bravura. Eastwood spicca su tutti, dietro al suo lavoro vi è un grande studio del personaggio e la grande mimica dell’attore in alcune scene è più eloquente di mille parole. Lee Van Cleef offre una bella interpretazione del vecchio cacciatore di taglie attanagliato dai nefasti eventi della vita e il suo è un ruolo composto ed educato. Alla base di questo film si volle creare un senso di contrasto, generato da Clint, più giovane e inesperto, e da Van Cleef, più esperto e calcolatore. Devo dire che hanno centrato in pieno l’obiettivo. Gian Maria Volonté si dimostra di nuovo l’attore giusto da chiamare quando non si ha un antagonista in questo genere di film. Già la sua faccia era tutto un programma, la sua caratterizzazione era incredibile, quasi romanzesca. I tre si amalgamo molto bene tra loro e l’intreccio che ne viene fuori è qualcosa di difficilmente sbrogliabile.

A confezionare ancora le musiche ci pensa il maestro Morricone, diventato ormai un marchio di garanzia, neanche avesse il bollino “DOP” stampato sopra. Le sue musiche abbondano di una grande varietà di strumenti: a partire dalla solita e classica orchestra per finire al sapiente utilizzo dello scaccia-pensieri sardo, strumento molto insolito per un film western.

In conclusione, la trama ben realizzata, l’ottimo recitato e le musiche incalzanti rendono questo film un'altra pietra miliare del genere western. Non solo a distanza di più di cinquant’anni questa pellicola rimane attuale e intoccabile, ma forse arricchisce ancora di più l’importanza storica e culturale di quest’opera. Questo film fu una conferma per Sergio Leone. “Per un Pugno di Dollari” aveva avuto un successo insperato, quasi non voluto. Secondo il mio parere “Per un Pugno di Dollari” rimane ancora un gradino sopra questa pellicola, tuttavia ciò non deve sminuire questo film. Vedere per credere.

mercoledì 19 ottobre 2022

Verso l'infinito (e oltre)



Recensione redatta da Valerkis

Ci siamo, nelle sale cinematografiche italiane (e credo anche mondiali) è tornato un film Pixar dopo due anni di pandemia. Il film in questione è considerato lo spin-off della saga di “Toy Story”. Parliamoci chiaro, chi può mai essere il personaggio che ha reso particolare quella saga e il bambino protagonista? Si, sto parlando di lui, del Comandante Buzz Lightyear.

Il nostro Buzz, in questa vicenda, perde il pelo ma non il vizio e cambia completamente aspetto facendo notare così l'evidente evoluzione della CGI (grafica computerizzata in 3D) che c’è stata tra il 1995 (anno di produzione del primo Toy Story) e il 2022 (anno di produzione  del film in oggetto). Non perde minimamente le sue abitudini e battute tipiche di un personaggio che mi ha fatto ritornare bambino e a un passato ormai lontano, segnando un'epoca e varie generazioni.

In questa storia, Buzz non è solo e avrà un’aiutante imponente, Alisha Hawthorne, un personaggio che crede nello spirito dello “Space Ranger” e collabora in maniera efficiente con il Comandante protagonista. Nella vicenda il trascorrere del tempo é dominante e Buzz continua a non mollare perché vuole migliorarsi raggiungendo la perfezione e l'ipervelocitá. Ma nel frattempo gli anni passano, cambiano le ambientazioni e cambiano le persone. Un altro personaggio che gli farà compagnia è il gatto-robot Sox, un personaggio tecnologico, geniale, disponibile e simpatico, aggiungerei anche grazioso. Il nostro protagonista non ce la fa a stare fermo, vuole portare a termine nella maniera più efficiente il suo compito e quando l’avventura si prolunga, avrà bisogno di persone che lo accompagneranno in una nuova avventura. Sono personaggi l’uno diverso dall’altro, ma con delle abilità per nulla scontate, facendo emergere l'animo dello "Space Ranger".

Il film, oltre a mostrare un’evoluzione nell’animazione computerizzata da parte della Pixar, racconta una storia dove l’azione e l’avventura si mescolano perfettamente rendendo lo scorrere degli eventi per nulla pesante e adatto a qualsiasi tipo di spettatore di ogni età. La Pixar, comunque, non smette mai di evolversi nel suo lavoro. L’icona di Alisha Hawthorne è fondamentale per i messaggi con i quali aziende multinazionali come la Pixar e la Disney hanno bisogno di tramandare alle future generazioni, in questo caso affrontando la tematica della diversità di genere. Non nascondo di aver ritrovato dei riferimenti alla saga da dove proviene il nostro protagonista e a un altro capolavoro di casa Pixar, “Wall-E” (osservate attentamente i robot e le ambientazioni e magari parleremo anche di questo personaggio).

Angus MacLane è riuscito a mostrare la storia di Buzz in maniera non entusiasmante ma apprezzabile, sicuramente, sia nel lavoro da regista sia nel lavoro da sceneggiatore insieme a Jason Headley. Sicuramente molti aspettavano da quasi trent’anni questo momento ed è notevole come, tutto sommato, MacLane si è mostrato al pubblico con questo film per nulla impreparato, considerando che non si é trovato alla sua prima esperienza dietro la macchina da presa. Posso confermare quindi una regia in grado di farci piacere ancora di più il personaggio di Buzz e  riuscendo così ad andare in luoghi spaziali e vasti, insomma verso l’infinito e oltre!

giovedì 13 ottobre 2022

Il primo film (non d’animazione) visto nella mia vita



Recensione redatta da Valerkis

Vorrei iniziare con una premessa: la recensione di questo film è dedicata ad un conoscente di famiglia molto caro (di cui non farò il nome per motivi di privacy) che purtroppo qualche mese fa è volata in cielo e lo ringrazierò sempre per la simpatia dimostrata nei miei confronti e dei regali fatti durante la mia infanzia. Per farmi trascorrere il tempo libero, mi regalava dei film d’animazione e non, i quali possiedo ancora e una volta mi ha prestato persino questo film scritto, diretto e interpretato da Leonardo Pieraccioni. Spero che lassú possa arrivargli questa recensione.

Toscana, tempi odierni all’anno di produzione: la vita di paese è veramente semplice, soprattutto nella cerchia di persone e amici che si conoscono. L’inizio è veramente buffo, dove Rocco Papaleo e Chiara Francini stanno interpretando i due protagonisti di “Grease” per preparare una rivisitazione villana del musical più conosciuto in tutto il mondo e tra le varie generazioni. È la cerchia di amici protagonista ad occuparsi della messa in scena, tra cui c’è Mariano Stoppani (interpretato da Leonardo Pieraccioni). Mariano è un ortolano che possiede un banco al mercato insieme a sua moglie Miranda (interpretata da Laura Torrisi). Qui, come in tutti i film di Pieraccioni, il “dialetto toscano” prevale nei dialoghi, cosa che sottolineo positivamente sentendosi maggiormente a casa loro, dove possiamo trovare un territorio cordiale, accogliente e bello, nelle persone e nelle città e paesaggi. La vita dei due cambia quando Miranda incontra Andrea (interpretato da Gabriel Garko) in visita al paese e propone alla protagonista di fare, a tutti gli effetti, una proposta indecente.

Pieraccioni, insieme a Giovanni Veronesi, scrivono una sceneggiatura in qualche modo discreta, nulla di eccezionale, in riferimento alla vicenda da raccontare e in quella che vorrei denominare “Visione Pieraccioniana”. Ah, interessante e come la spieghi questa tua affermazione? Con tre parole: la prima è, toscanità; la seconda è, vicenda amorosa o simile e terza è, riflessione correlata. La riflessione adottata in questo film è risultata nel complesso genuina all’interno del racconto e nelle conseguenze dei protagonisti. Vorrei sottolineare quanto sia stato importante vedere nei contenuti speciali alcune scene tagliate, meglio chiamate “scene eliminate”. Non credo sia stato proprio l’ideale tagliare alcune scene, perché ha reso il film un po’ elementare nei dettagli e sicuramente con il mantenimento nel montaggio delle scene eliminate, la storia poteva essere più approfondita. Vorrei sottolineare il personaggio misterioso di Don Pierino (interpretato da Tony Sperandeo) e lo reputo da buon contorno alla vicenda, comprensivo nei confronti di Mariano in determinate situazioni.

Il personaggio di Garko non mi ha colpito notevolmente, ma il suo fascino ha reso il personaggio interpretato nel complesso discreto e infatti la sua, per il mio parere, è stata un’interpretazione naturale. Imponente è stata anche la comparsa di Carlo Conti. E Panariello? A casa? Mettici pure lui a sto punto e si riunisce così il “Trio Toscano” più famoso d’Italia.

Questo film l’ho rivisto dopo anni e ho ritrovato quella leggerezza onnipresente nei film di Pieraccioni, dove la comicità toscana predomina e nonostante sia scontata la riflessione tramandata agli spettatori in quelli che costituiscono i rapporti amorosi. Ma sicuramente è stata messa in scena una riflessione discutibile, in base ai vari punti di vista. 

mercoledì 5 ottobre 2022

“Lasciatemi la faccia!” (e chi ha visto il film lo capirà)


Recensione redatta da Valerkis

Vi premetto di non conoscere bene Pippo Mezzapesa, ma una cosa la posso affermare da subito: di esperienza cinematografica ne possiede e si nota.

Il Festival di Venezia del 2022 è stato caratterizzato anche dalla presentazione di questo film e penso molti (io compreso) sono stati incuriositi da una presenza inaspettata: quella di Elodie interprete di una parte protagonista. Insomma dai provini per "X-Factor" nel lontano 2008 alla sua prima esperienza nel campo cinematografico, sono passati quattordici anni di successi tra vari programmi televisivi, album, tormentoni e mettiamoci anche tre Festival di Sanremo (due da cantante e uno da co-conduttrice).

Andiamo con ordine: personalmente questo film mi ha interessato non solo per vedere come se la cavasse Elodie alla sua prima esperienza in questo mondo, ma anche per il fatto di conoscere nuovi occhi del cinema italiano e per vedere come si ripropone la pellicola in bianco e nero nel 2022. Aggiungo inoltre che mi interessava il genere, considerato probabilmente superficiale e scontato.

Siamo nel tacco dello stivale, quindi in Puglia, il periodo storico non è importante più di tanto anche se in qualche modo ci aiuta a capire la dinamica della situazione. La vicenda narra di una guerra in atto tra due famiglie conosciute nei paesini della zona dove è ambientata la vicenda e di mezzo ci sono persone che vorrebbero rimediare a queste tensioni attuando, così, una serie di diplomazie. Ma si sta in mezzo ad una valanga di fatti troppo enormi per occuparsi di diplomazie, appunto. Praticamente è tutto troppo difficile, forse addirittura impossibile!

I due protagonisti principali sono Marilena (interpretata da Elodie) e Andrea (interpretato da Francesco Patanè) che vengono travolti dall’eros finendo nel lato più buio di tutta la vicenda. Forse è proprio questo il motivo per cui la pellicola è in bianco e nero, difficile da accettare per le generazioni più nuove, come me, ma più attraente per comprendere maggiormente i lati oscuri della vicenda. Tutto è merito anche della fotografia firmata dal David di Donatello Michele D’Attanasio, bellissima e attraente, devo dire veramente azzeccata!

Sono rimasto contento del fatto che il regista abbia affidato una piccola parte nella famiglia protagonista ad un bambino con la “sindrome di down”, un messaggio spero non passi inosservato dal pubblico.

Un altro fatto di cui sono rimasto attratto è stata l’allegoria continua adottata nella sceneggiatura attraverso le figure degli animali in confronto agli esseri umani spiegando perfettamente la situazione narrata, sottolineando così una buona cura della sceneggiatura da parte del regista stesso insieme ad Antonella Gaeta e Davide Serino. Il dialetto pugliese adottato come lingua parlata, insieme all’italiano, non ha reso più di tanto complessa la comprensione dei dialoghi, anche perché le parole utilizzate erano semplici. Sicuramente fatto appositamente per non mettere in difficoltà il pubblico, nonostante la presenza dei sottotitoli (quello era il minimo che si potesse fare). La colonna sonora è stata fondamentale in questo film ed è stata curata benissimo, scoprendo degli aspetti persino superiori alle mie aspettative. Quindi un’ovazione va fatta anche a Teho Teardo per averci impresso in maniera più diretta il grottesco e la cruda violenza mostrati nella storia.

Sicuramente il film in questione è stato pubblicizzato principalmente per la prima esperienza cinematografica di un’artista come Elodie e il risultato è che nel complesso possiede una buona presenza scenica. Le caratteristiche principali del suo personaggio sono quelle di essere un’esauriente testimone dei fatti, una sopravvissuta coraggiosa e un’icona sensuale a tutti gli effetti. Magari una maggiore teatralità avrebbe reso più che buona la sua interpretazione e invece l’ho trovata un po’ statica all’uso del dialetto e del lato sensuale che il personaggio doveva trasmettere. Ci poteva essere qualcosina in più, ma non sto dicendo che non mi sia piaciuta. Patanè è stato azzeccato per la sua parte, quella di un personaggio inetto che si trasforma in un boss vero e proprio, continuando a nascondere le sue debolezze. Notevole, comunque, la trasformazione del personaggio negli atteggiamenti assunti e credo sia merito anche del trucco, rendendo il protagonista un vero trucido al punto di mostrare un'assoluta anaffettività.

Quindi, il film di Pippo Mezzapesa è il risultato finale di una vicenda noir e grottesca accaduta nel nostro paese, dove da una parte c’è l’amore per il quale vorrebbe lasciare spazio a tutte le atrocità ma alla fine ritornano e durano per sempre, rimanendo in ogni momento tesi e, come si dice, con il fiato sul collo. La parola “pace” è decisamente sconosciuta in quell’ambiente.

Un altro fatto notevole dal punto di vista registico è stato l’utilizzo frequente dei “primi piani” risaltando sguardi, sangue e merda, ma veramente tanta. È stato tutto decisamente grottesco!

È una storia coinvolgente, in generale, dove la teatralità è stata aiutata grazie all’uso del dialetto e c’è stato il rischio che la vicenda potesse diventare scontata e superficiale. Invece così non è stato.

Ma cosa mi sto dimenticando! Michele Placido torna a fare il duro della situazione…un’ interpretazione del genere non la vedevo da circa sedici anni!

Dai Pippo non male, ma da valorizzare di più!

sabato 1 ottobre 2022

PERDERSI NELL'IMMENSITA'

Recensione redatta da Rickers

Ci siamo ormai lasciati il prestigioso Festival del Cinema di Venezia, giunta proprio quest'anno alla sua 79° edizione, con tanti propositi e molte sorprese. Molti film sono stati presentati al Festival quest'anno e bisogna dire che di film italiani se ne sono visti davvero a pacchi. Negli ultimi anni infatti c'è stato uno disgregamento del prestigio del nostro cinema, molto spesso film italiani passano in sordina al Festival e questo è un tutto dire. Uno dei film che più allettanti e più attesi del Festival è stato senza dubbio "L'Immensità", film di Emanuele Crialese. 

Partiamo, come al solito, dalla trama. Il film è ambientato nella Roma degli anni settanta e vede come protagonista la famiglia di Adriana. Questa famiglia è composta da Clara, spagnola, e da Felice, siciliano, più i tre figli. Il matrimonio tra i due coniugi è in crisi, quindi Clara cerca di compensare questo gap con prestando molte attenzione ai figli, anche se il rapporto con la figlia maggiore Adriana diventa presto teso. La ragazza infatti non solo avverte le tensioni nel matrimonio dei genitori, ma comincia anche a mettere in dubbio la sua identità di genere, rifiutando il nome di Adriana e facendosi chiamare Andrea. Sulla carta, la trama di questo film si preannuncia molto interessante: un trasloco difficile, un matrimonio in crisi che si ripercuote sui figli, smarrimento interiore del protagonista. Insomma, tutti temi di estrema attualità e che facilmente rientrano nella vita quotidiana di parecchi di noi, anche se questa doveva essere sicuramente l'intenzione iniziale. Il regista ha dichiarato apertamente che questo film è ispirato liberamente alla sua vita, servendo anche da trampolino di lancio per il suo coming out, in cui ha rivelato la sua transizione. Purtroppo, a mio avviso, questa pellicola tratta temi scottanti con troppa brace scoppiettante, cioè si prende troppo sul serio trattando temi fin troppo seri in modo troppo esagerato. Ripeto, le intenzioni del film sono tra le migliori e appoggio vivamente i temi proposti, ma dal mio punto di vista il film si vuole far prendere troppo sul serio, nel senso che tratta temi fin troppo seri in modo fin troppo raffazzonato e sconclusionato.

La stessa sceneggiatura è stata scritta e supervisionata dal regista stesso, quindi sono quanto meno deluso da questo punto di vista. La regia è un bel problema. Alcune scene sono estremamente d'impatto e realizzate con estrema cura e maestria, altre invece sono completamente fuori contesto o addirittura inutili alla trama proposta. È difficile indicizzare un genere preciso di riferimento per questo film: vengono proposte molte scene cariche di pathos che trasmettono quasi tristezza, tipiche del film drammatico; altre scene proposte presentano la quotidianità di una famiglia complessa e articolata come la loro, ciò ricorda moltissimo gli “slice of life” e altro ancora. La mia impressione è che il regista abbia filmato delle scene a "compartimenti stagna", ovvero abbia girato tutte le scene senza un filo logico. Sembra infatti che ogni scena sia fine a sé stessa, che non abbia un senso globale del tema e del film. Durante la visione ho fatto veramente fatica nel capire le vicende narrate a schermo, proprio per lo scorrere di tutte le scene. Mi spiace dirlo, ma purtroppo non ci siamo proprio.

Il cast non è di prima eccellenza ma un nome spicca di più di tutti: Penélope Cruz. La sua sola presenza ha fatto letteralmente spiccare il volo a questo film, che ultimamente sta registrando buoni numeri nei nostri box office anche solo grazie alla sua prestigiosa presenza. Con lei il film risale non poco, anzi fa un salto di qualità pazzesco. Il recitato è veramente molto buono e ho davvero apprezzato tutti gli attori impegnati nelle riprese. Penélope Cruz è Penélope Cruz, su questo non ci piove. Nonostante non sia mai stato un suo estimatore, non posso che ammettere l'estrema bravura dell'attrice spagnola. Luana Giuliani, che intrepreta la protagonista Adriana, ha offerto una buonissima prova, come il resto del cast. Il recitato riporta letteralmente a galla questo film che altrimenti rischiava di colare miseramente a picco.

In definitiva, personalmente ho trovato questa pellicola a dir poco fuori luogo. Capisco e supporto l'idea dietro al film, ma la realizzazione ha davvero lasciato a desiderare. Scene sconnesse tra loro, temi controversi e altre scelte registiche francamente evitabili (come i siparietti stile musical ispirati a momenti storici della televisione italiana, con protagonisti i vari Mina, Raffaella Carrà, Adriano Celentano e Claudio Villa). Il recitato fa da "salvagente" ma non salva un film già a priori vittima di un tema fin troppo grande per lui. Questo film poteva far riflettere su molte dinamiche attuali con cui abbiamo a che fare quotidianamente ma purtroppo non riesce nel suo intento. Questo "salto dello squalo" è stato un brutto fallimento per quanto mi riguarda. Tuttavia ci sono dei lati positivi. Il recitato è davvero ottimo e in alcuni frangenti la regia è davvero sublime, quindi non conviene disperarsi. Riassumendo questo film rappresenta un perfetto tutorial sul come "perdersi nell'immensità".

  Care lettrici e cari lettori, come avete potuto notare, purtroppo, nemmeno in questo mese appena concluso sono riuscito a rimanere costant...