Recensione redatta da Valerkis
Ve
lo dico subito, partirò nel pieno svantaggio. Ora vi dirò il perché. Se devo
spendere due parole su Francesca Archibugi, non posso farlo. Gli unici film visti
diretti da lei sono: “Il nome del figlio”
visto a tratti e a primo impatto l’ho reputato pesante negli argomenti trattati
(sarà una recensione futura magari). L’altro film è “Vivere” e non vi dirò niente per una futura recensione assicurata.
Parliamo
di un film che sta riempiendo (o meno) il cinema italiano in questo ottobre 2022
ed è stato presentato in occasione dell’apertura del Festival del Cinema di
Roma. L’Archibugi torna dopo tre anni dietro la macchina da presa e a
sceneggiare insieme a Francesco Piccolo e a Laura Paolucci una storia, che
qualcuno magari già conosce, grazie alla vittoria del Premio Strega 2020 da
parte dello scrittore del libro omonimo da cui è tratto il film, ovvero Sandro
Veronesi. Parto svantaggiato inoltre perché non ho letto il suo libro e
sicuramente quello raccontato nel romanzo non è proprio identico alla sceneggiatura
adattata da Archibugi, Piccolo e Paolucci. Per questo mi esprimerò solamente
per ciò che ho visto.
Il
trailer e l’inizio mi hanno trasmesso buone possibilità nel vedere un racconto
potente, cioè ricco di emozioni e, perché no, di colpi di scena alternando
drammaticità e semplicità nel dirigere questa vicenda. Come è andata invece?
Partiamo dal protagonista Marco Carrera (interpretato da Pierfrancesco Favino),
un medico che ha vissuto la propria vita tra amori, discussioni e speranze
nell’età adolescenziale e pre-adulta per poi trascorrere una vita adulta risultata
tormentata e complicata, insomma non come se la immaginava da ragazzo. Tre
persone hanno segnato in maniera significativa la sua vita, anzi quattro: Luisa
Lattes (interpretata da Bérénice Bejo), Marina Molitor (interpretata da Kasia
Smutniak), Adele Carrera (interpretata da Benedetta Porcaroli, nell’età adulta)
e quello che per me è stato il mio personaggio preferito in questa storia,
Daniele Carradori (interpretato da Nanni Moretti). Questi personaggi sono stati
importanti per Marco, in ogni parte della sua vita: in quella sentimentale, in
quella prosperosa e in quella difficile. Nel corso della vicenda, Carradori è
stata una figura aiutante nella vicenda, soprattutto per il protagonista e il
personaggio interpretato dalla Smutniak. Ve lo dico da subito, vedere Nanni
Moretti interpretare quella parte, in determinate scene, ho rivisto troppo il
personaggio del suo film “La stanza del
figlio” (la recensione la porterò sicuramente, promesso e scusatemi
l’eventuale “spoiler”, ma tutto questo lo capirà solo chi avrà visto quel
meraviglioso film). Bravo Nanni!
Altro
da dire? Per quanto riguarda la storia, non vorrei dirvi troppo, giusto che il
protagonista è stato coinvolto in tanti eventi e fatti i quali hanno condizionato
la sua vita, sentimentalmente e non, anche grazie a quelle persone citate prima
risultate significative nel proprio percorso.
Per
quanto riguarda il cast, abbiamo a che fare con buona parte degli attori
attuali italiani. Tutti magicamente bravi, da Favino il quale è riuscito a
interpretare un protagonista inizialmente orgoglioso di vivere e per poi
spegnersi lentamente diventando passivo nella realtà che lo circondava; alla
Smutniak, splendida nelle sue delusioni e rabbie; alla Bejo, dove in qualche
modo si è resa sempre disponibile nel riempire il vuoto di Marco; a Laura
Morante (interpretante la mamma di Marco) che ancora a 66 anni riesce a
rimanere la stessa di quaranta, se non cinquant’anni fa quando era ancora una
giovane e affascinante attrice capace di interpretare ogni tipo di personaggio
e per arrivare a rinnovare la mia gratitudine ad un immenso Nanni Moretti, passando
successivamente alla Porcaroli, a Sergio Albelli (intepretante il padre di
Marco), Alessandro Tedeschi (interpretante il fratello di Marco), Fotinì Peluso
(interpretante la sorella di Marco) e ad un inaspettato Massimo Ceccherini (interpretante
un amico del periodo giovanile di Marco; vi prego non pregiudicate male su di
lui prima di guardare il film. Guardatelo e poi ne riparliamo).
Cosa
mi ha trasmesso il riadattamento dell’Archibugi inerente alla storia di
Veronesi?
Partiamo
da una cosa fondamentale: un evidente buon rapporto con la fotografia firmata da
Luca Bigazzi (vincitore del David di Donatello per i film “La Grande Bellezza”,
“Pane e Tulipani”, “Le conseguenze dell’amore”, “Romanzo Criminale” e tanti
altri…) direi pienamente azzeccata soprattutto per le riprese nella località della
spensieratezza e della bella stagione, dove i colori e le luci sono forti e
vivi. Sto parlando della località dove è stata girata la storia del
protagonista nell’età fertile e pre-adulta. La fotografia delle riprese
effettuate nelle città ha fatto assumere quella monotonia nella quale sono
stati coinvolti i protagonisti, confermando il buon lavoro firmato Bigazzi. Ma lì,
in quel mare, in quella spiaggia…ho percepito quella leggerezza e freschezza,
come d’altronde agivano i protagonisti e sembrava svolgersi la vicenda, per poi
piovere, oscurarsi e vedere ribaltarsi tutto. Ho notato come l’Archibugi ha
giocato molto con il “flash-back” e devo capire e analizzare meglio se questo è
stato frequente anche nel romanzo. Ma non credo cambierà il mio pensiero sul
film che vi sto recensendo, perché il “flash-back” va usato e gestito non bene,
di più e il motivo sta nel fatto di calcolare l’eventuale disattenzione da
parte del pubblico perché se si perde un minimo nella comprensione bisognerà
premere il pulsante STOP e RESTART. Fidatevi! Il potenziale c’è, perché la
storia è bella e sceneggiata anche in maniera abbastanza decente, facendo
percepire la drammaticità generale che la vicenda doveva trasmettere assistendo
così ad una storia ricca di emozioni in ogni sfaccettatura per arrivare in un
momento dove mi colpisce, in particolare, nel vedere un Favino statico e
passivo. Lì solo una parola mi è saltata in mente: “tristezza”. Perché prima ho
detto “sceneggiata in maniera abbastanza decente”? Perché riflettendo, ho
notato qualche buco inaspettato, devo dire anche spiacevole, rendendo il film
quasi incomprensibile ma per fortuna è durato molto poco!
Però
peccato davvero, ribadendo anche la questione dei “flash-back” che magari potevano
essere gestiti meglio, facendo assicurare il mio pieno apprezzamento, ma sarà
parziale anche se collocato oltre “il 50%”.
Comunque
sia, parliamo di un film eseguito non da una principiante ma da una persona che
lavora nel cinema dagli anni ottanta, mostrando così la sua capacità (buona o
discreta) nel dirigere ogni minimo particolare. Dove si può notare un eventuale
“tocco femminile”? Non posso dirlo, dovrei seguire per un po’ la sua filmografia
e ne potremo riparlare. Ma se dovessi proprio rispondere? E dove sarebbe
presente in questo film? Forse le emozioni, sono state risaltate parecchio e in
questo le donne riescono benevolmente. Sono decisamente più sensibili di noi
uomini!
Comunque
il gioco del “flash-back” andava gestito meglio ed è stato un vero peccato, perché
tutto sommato è un film che merita di essere visto e di percepire ogni singola
emozione trasmessa da parte di ogni elemento contribuente alla realizzazione di
questo film: attori, sceneggiatori, regista e ovviamente il padre di questa
storia, Sandro Veronesi che insieme a Francesca Archibugi hanno lasciato allo
spettatore quello che dovevano: emozioni su emozioni.