mercoledì 3 dicembre 2025

Il ritorno del mito di Frankenstein



Recensione redatta da Valerkis

Frankenstein è sempre stato oggetto di numerose pellicole che nel corso degli anni hanno arricchito la storia del cinema. Anche Guillermo del Toro decide di portare il suo Frankenstein, in una modalità totalmente autentica e differente dalla base storica, tratta dal romanzo scritto da Mary Shelley. 

"Ci ho messo 30 anni a realizzare questo sogno, prendendo il meglio di quello che ho incontrato, in termini di capacità tecniche. Il romanzo ci parla ancora”.

Queste parole espresse dal regista, individuano come nella realizzazione di questo film si intravede un qualcosa di puramente artistico nell’esecuzione, risultando completo nelle forme che assume.

La storia di Frankenstein, bene o male la conosciamo tutti. Penso. Io non sto di certo a raccontarvela. Avete presente, quello scienziato che realizza la sua Creatura e poi prende vita e si dice che poi diventa cattiva e secondo voi perché? Di suo o perché lo fanno diventare cattivo, considerandolo a prescindere un essere mostruoso e inguardabile a primo impatto?

Se ognuno di noi si informasse sulla vera e propria storia di Frankenstein e della sua Creatura, quindi quella ideata dalla Shelley, confrontandola con quella di Del Toro, si noterà che c’è sicuramente qualche (e giusto qualche) differenza. Ovviamente sono stato sarcastico. è evidente che ci sia una notevole differenza, stravolgendo in questo modo la base storica del romanzo di Mary Shelley e creando una storia unica attraverso le doti artistiche di un regista come Guillermo Del Toro, che molti avranno adorato per il film “La forma dell’acqua”. Non è assolutamente paragonabile con questo appena citato, anche se il regista ha per sua dote questo suo lato emotivo da esaltare e metterlo per iscritto, sia a livello di sceneggiatura, registico e stilistico in sé.

Ammetto che per certi versi, il film potrebbe risultare abbastanza pesante, soprattutto nella prima parte dando un bel po’ di spazio ai personaggi e ai propri caratteri. Poi, quando parla la Creatura, il film diventa entusiasmante e attraente per chi lo vede. Si fa altrettanto interessante e lasciando parlare la Creatura, fa riflettere su come essa non viene raffigurata per come si possa pensare e l’obiettivo del film era mettere in risalto, tramite la fotografia eccezionale delle inquadrature e della scenografia in sé, il sentimento della Creatura e di come lui possa essere incluso e cosa non fanno invece gli umani. Allora chi è il mostro? Chi sono i mostri? 

Guillermo Del Toro dimostra una certa autenticità dietro la macchina da presa e questo l’ho capito, quando è riuscito ad evidenziare il dettaglio principale della storia. Apprezzata. Regia pienamente equilibrata, sceneggiatura articolata che si mostra attraverso la modalità di regia e soprattutto la fotografia, è stata molto importante e ha accompagnato eccezionalmente ogni singolo frame, per il contesto in cui è ambientata la vicenda. Molto buono il lavoro svolto da Dan Laustsen. Le interpretazioni dei due protagonisti di Jacob Elordi (nei panni della Creatura) e di Oscar Isaac (nei panni di Victor Frankenstein) le ho pienamente apprezzate, perché hanno messo in primo piano il proprio carattere e riuscendo a far coinvolgere il pubblico, così, nelle scena che li interessavano. Figura importante anche quella di Elizabeth (Mia Goth) per entrambi i personaggi, da un lato per l’amore provato e dall’altro per la semplice ammirazione della Creatura. 

Il film è diviso in due parti, ricco di aspetti e così creando una storia divisiva ma che porta, alla fine, alla comprensione di come una Creatura strana, mostruosa e non conforme al resto non si passi per quello che viene mostrata. Guillermo Del Toro accentra pienamente il concetto e riesce a raggiungerlo, a suo modo, valutando così positivamente ogni idea ispirata su questo film, basato su uno dei romanzi più importanti della storia.


Intervista a Guillermo del Toro su Frankenstein:

https://www.vogue.it/article/frankenstein-film-guillermo-del-toro-recensione


venerdì 14 novembre 2025

Benetton Formula




Articolo-recensione redatto da Valerkis

Non avrei immaginato di vivere un’occasione unica come quella di assistere ad una première. Questa è stata ufficialmente la prima da persona e da blogger. Io, che amo il cinema, ho assistito all’anteprima del prossimo documentario prodotto da Sky e dalla neo casa di produzione “Slim Dogs”, in vista della prossima uscita. In questo documentario, che verrà trasmesso il prossimo 28 novembre su Sky, si celebrano i trent’anni della scuderia dei Benetton, campione del mondo costruttori di Formula 1 nel 1995 e con un immenso Michael Schumacher alla prima guida, conquistando il suo secondo titolo da campione del mondo piloti consecutivo. 

In questo articolo cercherò non solo di fare una recensione del documentario diretto da Matteo Bruno, ma vorrei raccontare un po’ della serata in generale. Arrivato all’orario previsto per l’ingresso, in compagnia di amici con cui ho trascorso questa magnifica ed unica serata, c’è stato il benvenuto per poi sedersi nella sala del cinema “The Space Moderno” di Roma, grandissima e piena di persone ad assistere alla presentazione e proiezione del film. Mentre ci dirigiamo a sederci, c’erano illustrate delle fotografie simbolo di momenti della scuderia e ricevendo persino qualche gadget. Con l’intervento di Mara Sangiorgio e Omar Schillaci (per conto di Sky), Alessandro Benetton in persona e un pilota come Gerhard Berger, ci hanno immerso in questa parte unica di storia del motorsport, anche in maniera simpatica ed entusiasmante, iniziando così la proiezione di “Benetton Formula”. 

Il documentario si mostra portante della storia che ci racconta e a livello di regia e sceneggiatura, è perfettamente equilibrato, piacevole, esaltante. Quello doveva essere! Intervistando le giuste personalità, sono riusciti a trasmettere l’etica dei Benetton. Si parte dal 1986, in cui entrarono nel mondo delle corse ufficialmente, nel top del motorsport, nella Formula 1. Da Gianni Minoli a Pino Allevi, a Bernie Ecclestone e a Flavio Briatore, sono riusciti ad intervistare e a far raccontare la “Benetton Formula” attraverso le giuste personalità che hanno visto nascere, crescere e raggiungere l’apice di questo team. Ogni fotogramma ha rappresentato un pezzetto di storia di un brand, anche grazie alle tante immagini di repertorio, che ha rischiato tantissimo in un settore che non lo riguardava minimamente e invece ha voluto investire non solo come sponsor, ma come vero e proprio interprete in uno sport che è seguito da moltissimi. Si, un venditore di magliette che realizza una scuderia di Formula 1 a tutti gli effetti e cosa che Luciano Benetton ha deciso di prendere al balzo, per portare il suo brand in un settore completamente differente dalla moda e ammirato molto da uno come Ecclestone, che ha sempre accolto benevolmente la scuderia con a capo, un diligente Alessandro. I piloti sono passati da Berger a Nannini, per arrivare infine a Schumi, con il quale vinsero il campionato costruttori nel 1995 e lui campione del mondo piloti 1994 e 1995 (il resto, poi, è storia). Pienamente esaltante, coinvolgente e facendo parlare, per l’appunto, le giuste persone che hanno collaborato al team, comprese persone come Peter Collins, Rory Byrne e Ross Brawn che aiutarono la scuderia ad essere competitiva, proprio perché bisognava avere qualcuno che sapesse disegnare e costruire un’auto da corsa vera e propria e non bastava solo portare l’etica di un brand e commercializzare, avviando una campagna di marketing vera e propria. 

Per tutta la serata si percepiva un’enfasi di corse, di competizione, di storia della Formula 1 per nulla indifferente e soprattutto vedere qualcosa di veramente stimolante e interessante da tutti i punti di vista. Così descriverei la regia di Matteo Bruno e la sceneggiatura di Giacomo Pucci e Giulia Soi è riuscita a coordinare, senza essere sproporzionata, tutte le riprese di repertorio con le testimonianze dei vari interpreti che hanno contribuito all’ascesa di questo brand nel mondo delle corse. Per me è stata una bellissima ed unica serata, vedendo così dal vivo personalità importanti del motorsport e di chi ha diretto l’andamento del brand, raccontandoci quella che è stata un’esperienza irripetibile nel suo essere, come per me è stata in questa immensa ed unica occasione ringraziando, infine, chi mi ha permesso di viverla.

Vi lascio qualche immagine scattata di repertorio all’entrata della première.











Sitografia



(aggiornamento articolo del 21.11.2025 per l'aggiunta di una funzionalità beta di Blogger che abilita l'anteprima di una Ricerca Google)

venerdì 24 ottobre 2025

The Boss in Nebraska

 


Recensione redatta da Valerkis

Attualmente nelle sale, è uscito un film con interprete Jeremy Allen White nei panni di Bruce Springsteen, conosciuto meglio come “The Boss” e non parla solo di un personaggio storico della musica rock che ancora oggi porta negli stadi migliaia e migliaia di persone, ma di come ha intrapreso il suo percorso per comporre “Nebraska” l’album che lo ha incoronato rockstar, prima del successo vero e proprio con “Born in the USA”. 

Bruce è il nostro protagonista, insomma, che all’alba degli anni ’80 decide di costruire un percorso tutto suo all’interno di una casa che sta al di fuori della sua cittadina natale e cominciando così a scrivere i suoi testi. Nel frattempo non è solo tra persone, colleghi e amici che lo supportano, lo amano e chi lo segue nonostante le tensioni passate, come i suoi familiari. Bruce si rende conto di essere perseguitato dai suoi demoni e non riesce a superarli, quando poi si renderà conto che in fondo non era necessario restare ancorato agli eventi passati. Proprio questi momenti turbolenti e di piena attività portano alla nascita di “Nebraska”, un album che riscrive un genere come solo il Boss poteva fare.

L’interpretazione di Allen White non è stata screditata per niente, anzi l’ho apprezzata nel suo complesso, cimentandosi anche nel canto e trasmettendo quello che in fondo era il carattere del Boss. Anche Odessa Young, nella parte di Faye, che ha interpretato un personaggio di supporto per vari aspetti nei confronti di Bruce, facendogli provare una sensazione maggiore e diversa dal suo carattere solito e contribuendo ad una composizione generale di un’interpretazione meno serra e più sdolcinata. Il resto dei personaggi hanno aiutato a far compiere i passi giusti verso il raggiungimento dell’obiettivo di Bruce e le interpretazioni semplicemente degne dei ruoli ricoperti. La fotografia accompagna le sensazioni che si percepiscono dal protagonista e Masanobu Takayanagi riesce perfettamente ad eseguire il proprio lavoro in base alle singole scene. La colonna sonora, mischiata ai brani più famosi del Boss curata da Jeremiah Fraites, si unisce in modo tale che collabora con la fotografia e il montaggio per costruire la scena. 

La sceneggiatura, curata dal regista Scott Cooper, non è molto calcata di argomentazioni  varie, risulta alquanto diretta e lineare sul racconto di quel periodo e nonostante riesca a realizzare una durata normale e non troppo eccessiva, permette comunque alla regia di esporsi con un ritmo rallentato e appesantito. Sceneggiatura diretta ma regia articolata, ecco. Non è banale, non è da cestinare, ma nulla di eccezionale perché abbiamo a che fare, tutto sommato, con un biopic esaltante e assolutamente coerente, anche con quel pizzico sentimentale che alleggerisce la vicenda. 

Sicuramente il film merita di essere visto, a me è piaciuto, anche se avrei decisamente tagliato il finale per come ormai era stato scritturato e non andare avanti ancora, tanto per rendere la storia più completa e questo non ha aiutato la sceneggiatura, risultata debole da questo punto di vista e la regia così si è dovuta adattarsi nella chiusura del film. Quello che doveva trasmettere l’ha fatto, però non vi create eccessive aspettative, pensando che questo possa essere il film dell’anno, perché non c’è stata quella caratteristica a mio parere che ha reso il film unico nel suo genere ma sicuramente potrà far discutere e apprezzare il pubblico, anche perché si tratta sempre di un personaggio che nell’immaginario collettivo è conosciuto. Lo consiglio, vedetelo e per conoscere una vicenda per come è stata elaborata, nell’etica di affrontare diverse tematiche personali, introspettive e alla fine per raggiungere il sogno e l’ambizione che ognuno possiede nelle proprie aspirazioni e passioni.


lunedì 13 ottobre 2025

Dalla fantascienza al thriller-action, qui si gioca con i generi Steven

 



Recensione redatta da Valerkis

Parlerò di un titolo diventato cult del cinema contemporaneo e del genere spielberghiano, pienamente variegato nel corso dei 150 minuti di una storia che riguarda la tematica della premonizione, un qualcosa di astratto per certi aspetti ma è anche qualcosa di assolutamente eclatante. 

Il protagonista John Anderton, interpretato da Tom Cruise, si occupa della direzione degli agenti che operano all’interno dell’agenzia del “Precrimine” presso Washington e lui, quotidianamente, ha la responsabilità di mobilitare tutta la squadra per la responsabilità nazionale di far evitare i crimini commessi, arrestando anticipatamente i possibili assassini. Il periodo distopico in cui è ambientato il film (ambientato nel 2054) è a sua volta magnifico da questo punto di vista. Obiettivo raggiunto dei reati zero negli USA e tutto sembra andare verso la corretta direzione, ma allo scoprire di un qualcosa che non piacerà a John si raggiungerà un fine inaspettato e che nessuno potrebbe immaginarsi. Non dare nulla per scontato nei confronti di nessuno, questo vi posso dire per chiudere con la trama. 

Tom Cruise, anche qui, possiede una buona presenza scenica come personaggio centrale della storia, anche nelle varie successioni di eventi. Samantha Morton, nei panni di Agata, una dei “Precog” (ovvero persone che venivano usate come motori della premonizione per agevolare il lavoro della “Precrimine”), è stata l’aiutante principale tramite la sua reazione alle premonizioni ed è stata molto brava, rimanendo attinente all’etica del suo personaggio. Bravura pura! Poi Colin Farrell, nei panni di Danny Witwer, interpreta un personaggio che insegue in continuazione il protagonista e completamente integrato nella storia. In linea generale le interpretazioni sono proporzionate e completamente apprezzate. La regia di Steven Spielberg è una garanzia ed è stato perfetto e capace di non rendere lo scorrimento del film pesante nonostante la durata, riuscendo ad amalgamare vari generi in un unico film, che non è da tutti e poteva risultare confusionario, ma questo non è successo assolutamente. Personalmente sono stato soddisfatto di aver visto un film dove si passa dalla fantascienza all’azione e al thriller. Bravura registica assicurata! La sceneggiatura adattata da Scott Frank e Jon Cohen, tratto dal racconto di Philip Dick, è completa di eventi e di sensazioni che fanno attrarre lo spettatore e costruendo alla fine una storia che in tutte le forme non è considerata banale. Direi nel complesso, una sceneggiatura buona. La colonna sonora diretta dall'immenso John Williams (il compositore di E.T., Indiana Jones, Star Wars…) accompagna come dovrebbe ogni singolo frame e fa quello che deve, anch’essa pienamente apprezzata.

Aggiungerei montaggio, fotografia e così via, personalmente apprezzati tutti, riescono a contribuire alla creazione di un'unicità nello stile registico presentato, ma basta non mi dilungherò più di tanto e passerei alle mie considerazioni finali. 

Il film è assolutamente attraente, mi è piaciuto e fa quello che deve nei confronti dello spettatore, intrattenerlo con la propria vicenda e ogni singolo frame contribuisce alla costruzione di un'enfasi che ti lascia stupito. Sappiate che questo non è un semplice film come si pensa, si occupa anche di lanciare il concetto di “brand invasivo”, mediante l'uso dei loghi delle più importanti aziende mondiali e multinazionali e perlopiù saranno stati sponsor del film, a pensare che la Lexus abbia costruito quell’auto rossa che guida Cruise appositamente per quel film, chiamandola appunto “Lexus 2054”. C'è un po’ di marketing in questo film, a quanto pare. Inoltre per la realizzazione del film, hanno usato prototipi di algoritmi che implementano sistemi di intelligenza artificiale e uso dei cosiddetti “big data” per comprendere come potrebbe essere l’ipotetico mondo nel 2054 è qualcosa di interessante e coinvolgente, a tal punto che il buon Spielberg è andato a confrontarsi con esperti del MIT per realizzare questo film e non c’è niente da fare, l’impegno ripaga sempre! Vuoi fare un film fatto bene, devi sbizzarrirti a cercare quel passo in più che definisce un buon risultato e si è riuscito a proiettarsi nel futuro. Era il 2002 e già si parlava del presente (o meglio già da un bel po’ di anni per la precisione che si tratta dell'intelligenza artificiale), ma sappiate che in questo film, tutto sommato, si ha affrontato ciò che ha incentivato l’innovazione e influenzando tutti i fattori cinematografici e ciò che oggi ci ritroviamo sottomano e Spielberg risulta essere un gran regista per trasmettermi tutto questo. L’action si percepisce perché non ci sono mai momenti morti, thriller perché il terrore, l'ansia addosso e il mistero che fanno da sfondo a questa vicenda si percepiscono e fantascienza pura che viene arricchita con aspetti surreali di persone, cose e ambienti. 

Non riusciamo idealmente a concretizzare come sarà il futuro, ma che non ci siano crimini sarebbe troppo bello ma se questo dovesse portare a metterci in discussione ’uno contro l’altro, non credo che sia una scelta buona. Il protagonista si troverà in una situazione molto scomoda, ma come Tom Cruise sa ben interpretare l’azione, risultando focale in ogni momento, montaggio e come interpreti una parte di riferimento per una storia che solo un regista come Spielberg poteva realizzare. Pienamente attratto e consigliato assolutamente e non considerate la durata, tranquilli, perché sembra abbastanza consistente ma la bellezza di questo film sta anche nel semplificare un qualcosa di complesso come la premonizione, fattore chiave del film. Interpretazioni buone, concetti chiari, tecnica coerente e tutto ciò per farti rimanere completamente attratto.



sabato 11 ottobre 2025

Affrontare la fine con sarcasmo

 



Recensione redatta da Valerkis

Johnny Depp, uno degli attori maggiormente influenti nello scenario del cinema contemporaneo, nel film che recensirò quest’oggi assume le vesti di un personaggio, come quello di Richard Brown, un professore universitario di letteratura che scopre di avere un tumore ai polmoni e come reagirà a tutto ciò? Sicuramente a prendere la vita con sarcasmo, indifferenza e in tutt’altro modo che ognuno di noi potrebbe immaginare. Richard è sempre affiancato dal suo migliore amico, Peter (Danny Huston) e dalla sua famiglia, composta da Veronica (Rosemarie DeWitt) e Olivia (Odessa Young) a cui non dice nulla, ma quanto potrà tenere un peso del genere?

Rimanendo all’analisi del film, è risultato sarcastico come lo è stato sia il personaggio in sé e l’interpretazione di Depp, perfettamente adattata al protagonista. Trasgressore, indifferente e sempre con un bicchiere di whisky in mano, ormai non ha nulla da perdere e in quello che dice e fa. Lui continua a fare il suo lavoro, come ha fatto per una vita e lo dice sempre in maniera sarcastica ma anche con decisione, dicendo che la vita va vissuta fino in fondo e in ogni istante sempre con un bicchiere di vino in mano. Sembra scontato, vero? Parole fatte, così, ma è la modalità con cui Richard affronta la fine del suo percorso, anche se trasgressivamente.

A livello tecnico, non sembra un film talmente rilevante che metta in risalto chissà che e chissà cosa, hanno fatto quello che dovevano, semplicemente restare coerenti col filo logico della pellicola e Wayne Roberts, regista e sceneggiatore, scrive e dirige nella maniera più diretta possibile e non per appesantire una situazione già tristemente difficile da accettare per il protagonista, appunto riuscendo a trasmettere il giusto messaggio con il giusto carisma trasmesso dal personaggio interpretato da Depp. Si comprende un’enfasi diversa dal solito dramma che si poteva realizzare e da una parte l’ho apprezzato, però avrei preferito qualche cosa che mi avrebbe lasciato impressionato sia a livello registico sia a livello di scrittura e questo mi è mancato e non è riuscito il film ad eccellere, cosa che poteva benissimo fare e avrebbe meritato senz’altro.

Nulla contro Johnny Depp, nulla, lui molto bravo e apprezzato tanto, come anche Peter interpretato in maniera impeccabile da Danny Huston. Come la storia in generale, mi è piaciuta il sarcasmo trasmesso, ma poteva essere decisamente qualcosa di meglio e di più impressionante, scatenando qualche emozione e attenzione in più. Regia e sceneggiatura, nel complesso, equilibrata e semplice, nulla di più nulla di meno. Dico è un bel film per una sottospecie di ironia adottata nell'affrontare la tragicità al cuore della trama, anche se per il mio parere è mancata effettivamente quella caratteristica drammatica aggiuntiva che avrebbe reso un film acclamato dal pubblico. 



sabato 5 luglio 2025

Adrenalina, sentimento, motori e pubblicità di uno sport

 


Recensione redatta da Valerkis

Un film sulla Formula 1 a trecentosessanta gradi, prima o poi, lo avrebbero prodotto e quindi eccomi qua, tornato dopo un periodo di assenza dal blog con la recensione inerente al film, in primis, della stagione estiva di quest’anno. Penso sia un qualcosa di inaspettato vedere un Brad Pitt che, realmente, sale su una monoposto di Formula 1 e diventa a tutti gli effetti un pilota della competizione numero uno del motorsport. Avete capito bene, proprio lui si è messo a pilotare!


Sonny Hayes (Brad Pitt) è un ex pilota ingaggiato dal suo amico Ruben (Javier Bardem) che possiede una scuderia in Formula 1 e vorrebbe offrirgli un sedile per il campionato in corso. Un'occasione che potrebbe segnare la sua carriera e amplificare cosí il suo curriculum, concludendo una stagione tra alti e bassi e una continua rivalità con il suo compagno di squadra, Joshua Pearce (Damson Idris) che influenzerà l'andamento della scuderia di Ruben e le carriere dei due piloti protagonisti, come le proprie vite.


Già per la modalità di come ha interpretato Sonny, Brad Pitt (alla bellezza di sessant’anni ormai compiuti) è ammirevole ed è riuscito a definire in ottima maniera il suo personaggio ironico, preciso e sentimentalmente attaccato alla sua ispirazione di vita: il mondo delle corse. Buona interpretazione anche per Damson Idris, nei panni di un giovane pilota che mostra tanta fame di correre, vuole farsi notare e ha rispecchiato, inoltre, lo stereotipo del ragazzo “social” apparentemente affascinante agli occhi dei tifosi, nonostante le difficoltà e l’inesperienza nel settore. Anche Javier Bardem è stato dominante in questa storia, come il resto del cast che ha interpretato i componenti del team APXGP (scuderia in cui hanno corso Sonny e Joshua). 


In questo film vorrei dedicare un paragrafo straordinario alla produzione e lo faccio perché è stato coinvolto tutto il mondo reale della Formula 1 per la realizzazione di questo film e farlo era strettamente necessario. Sono arrivati ai vertici della Federazione Internazionale dell’Automobilismo (FIA) e agli esponenti del gruppo aziendale della competizione stessa, compresa anche la presenza dei reali team principal nelle scene. È un film che, sicuramente, è costato parecchio in tutti i sensi, nel coinvolgimento in sé e nei confronti dei reali piloti durante i weekend di gara per effettuare tutte le riprese possibili, risultate davvero dinamiche. Infine per arrivare alle grandi distribuzioni, al coinvolgimento di Apple per la diffusione tramite piattaforme del film e produttori come Jerry Bruckheimer (produttore di Top Gun e altri) che ha dato un’altra grande chance a Joseph Kosinski per dirigere un film appassionante che colpisce centralmente l'etica e lo spirito della competizione con la sua regia pienamente dinamica, veloce e sentimentalmente apprezzabile. In fondo è stata una regia apprezzata, nonostante non mi convinca proprio lo stile sentimentale, a mio parere, ma per un film del genere era necessario comunque un regista che si esponesse e ricercasse la giusta modalità per trasmettere la velocità, l’adrenalina, la frustrazione e le gioie che si provano solo nel mondo della Formula 1. Tra i produttori, il nome di Lewis Hamilton è il segno del pieno coinvolgimento da parte dei piloti nel progetto e da una personalità come Hamilton, è ammirevole questo gesto di contribuire ad un’idea cinematografica con pura adrenalina. L’unione dei numerosi produttori ha portato alla possibilità di realizzare in grande questo film.


Il progetto in sé scritto da Joseph Kosinski e Ehren Kruger, racconta sicuramente una storia che trasmette le emozioni dello sport in questione, ma racconta anche una vicenda che parla di persone che combattono con se stesse per ottenere delle vittorie personali e raggiungere lo scopo per cui sono in vita. Ma è stata la regia di Kosinski a trasmettere queste sensazioni che sono abbastanza degne per questa vicenda, anche se magari avrei dato ancora piú spazio e cosí concentrarsi sull’azione generale che si compie durante i gran premi e non limitarsi solo ai casi peggiori e rimanendo i piú realistici possibili. Ma complessivamente la pellicola è risultata equilibrata tra la storia costruita, la diffusione delle emozioni e anche il modo di pubblicizzare e commercializzare, tutto sommato, un’etica di uno sport che ha fatto storia e continua a farla, dove sono passate e passano persone con un’abilità unica di pilotare delle monoposto che arrivano a trecento chilometri orari. Diciamo che sostanzialmente l'obiettivo di questo film è la pura commercializzazione dello sport, portando la costruzione della storia che ho raccontato poco fa.


A mio parere ho apprezzato la colonna sonora, diretta da una firma come Hans Zimmer, sorprendente e coinvolgente per tutta la durata della pellicola. Ho apprezzato le varie sfumature realizzate, magari con un occhio maggiore all’esaltazione del vero motivo per cui un tifoso rimane affascinato da uno sport diverso dai soliti. Lo avrei preferito, ma sono contento lo stesso perché infine…ho percepito le giuste emozioni. Questa è la Formula 1!


mercoledì 26 marzo 2025

L’ “Inside Out” umano

 


Recensione redatta da Valerkis

Quando ho visto il primo trailer, ho pensato erroneamente che fosse una sorta di nuovo 'Perfetti Sconosciuti' e devo dire che un’idea non mi avrebbe entusiasmato. Anche se il film ha una sua dignità, non sentivo il bisogno di un altro simile. Invece, Paolo Genovese ha scelto una strada completamente diversa, assumendosi un'enorme responsabilità: prendere l'idea di base del film 'Inside Out' e renderla…umana. Con la presenza di persone fisiche che impersonificano tutta l’irrazionalità che c’è dentro di noi.

Piero (Edoardo Leo) e Lara (Pilar Fogliati) si ritrovano a casa di lei per trascorrere una serata insieme, dopo un primo incontro e approfondire la propria conoscenza. Quindi un primo appuntamento vero e proprio, a casa di lei e in preda a tutte le emozioni da gestire in una situazione del genere e ciò vale sia per lui sia per lei. Non è facile gestire una situazione in cui l’imbarazzo potrebbe prendere il sopravvento, ma chi non ci è passato? E soprattutto, come reagiranno i nostri protagonisti? E quale sarà l’esito della serata?

Paolo Genovese dirige un cast d’eccezione, in cui gli attori che impersonificano le emozioni di Piero e Lara sono i veri motori della storia. Nel cast troviamo alcuni volti relativamente nuovi, come Maria Chiara Giannetta e Maurizio Lastrico, accanto a nomi già affermati come Claudio Santamaria, Rocco Papaleo, Marco Giallini, Vittoria Puccini, Claudia Pandolfi ed Emanuela Fanelli (la migliore nel suo ruolo). Non togliendo nulla ai due protagonisti, due interpretazioni azzeccate sia quella di Leo sia quella della Fogliati. Perfettamente imbarazzati e comandati dalle emozioni percepite. A livello di cast non ho nulla da dire contro, eccezionali tutti e molto divertenti nell'unione creata. La regia di Paolo Genovese è risultata dinamica nel coordinare un cast corale ed esaltante al tempo stesso, come giustamente doveva essere ed esaltando la capacità recitativa di ognuno. La regia di Genovese, a mio parere, è migliorata e l'ho apprezzata, ma avrei preferito che i due protagonisti avessero avuto maggior spessore. Non dico che forse era necessario approfondire le loro vicende personali, ma qualche dettaglio in più avrebbe dato loro una maggiore definizione. La sceneggiatura scritta dal regista insieme a Isabella Aguilar, Lucia Calamaro, Paolo Costella e Flaminia Gressi è piena di aspetti caratteriali che rispecchiano la situazione in cui si trovano Piero e Lara e la coralità del cast, completa la comicità che i personaggi sono riusciti a creare, grazie alle ottime capacità attoriali del cast con attori diversi tra loro e persino di generazioni diverse. È tutto alquanto divertente e merita veramente di vederlo. Finalmente questa è una volta buona che trovo una sceneggiatura dove tante idee messe insieme hanno funzionato pienamente.

"Follemente" dovrebbe avere un significato e forse è una visione filosofica di quello che ci frulla in testa nei momenti di puro imbarazzo, come in ogni occasione. Il cast è azzeccato e l'ho detto, la regia è dinamica e l'ho detto, la sceneggiatura è ricca di aspetti e l'ho detto. Bene, allora volete ridere? Vedetelo e questa è una delle poche volte in cui la commedia italiana contemporanea ha funzionato nei tre aspetti principali di analisi di un film. Ogni battuta ha un suo peso, il ritmo è serrato e il finale, inaspettato, è stato ideato e montato con grande cura. Divertentissimo, punto!


venerdì 21 marzo 2025

Cosa si prova a morire?

 


Recensione redatta da Valerkis

La domanda nel titolo potrebbe trarre in inganno, ma se siete curiosi di conoscere la mia opinione sul nuovo film di Bong Joon-ho (regista di Parasite) vi invito a leggere questa recensione. Quindi, benvenuti! Dopo sei anni da Parasite (prometto che prima o poi scriverò anche la recensione di Parasite), Bong Joon-ho torna con un film bellissimo e ricco di spunti interessanti. Dopo un capolavoro da Oscar come quello, le aspettative per questo film erano alte e così, preso dalla curiosità, me lo sono visto.

Mickey Barnes (Robert Pattinson) è un ragazzo che per sfuggire dai problemi della vita sul pianeta Terra, si propone volontario per una missione interspaziale sul pianeta Niflheim insieme al suo amico Timo (Steven Yeun) come equipaggio di questa nave che li avrebbe portati sul nuovo pianeta. Timo si è proposto come inserviente e Mickey come “sacrificabile”, uno che viene usato per dei test scientifici e poi ucciso e ricreato con la stampante 3D. Insomma una cavia. Così andare fino all’avvicinamento ad altri personaggi che interagiscono con lui, da Nasha (Naomi Ackie) a Kenneth Marshall (Mark Ruffalo), l’ex politico che aveva organizzato tutto quanto e per raggiungere la destinazione dove è in circolazione nell’aria un virus sconosciuto all’uomo e vissuto da strane creature chiamate “strisciante”.

Senza troppi giri di parole, è un bel film, nel suo genere. Ve lo dico subito, senza mezzi termini. Bong Joon-ho incarna perfettamente l’essenza del cinema orientale, lontano dall’occidentalismo spesso scontato e commerciale. La sua regia così surreale e autentica scava nella psiche dei personaggi, lasciando una riflessione profonda. È una storia con un parallelismo chiaro alla realtà che viviamo quotidianamente e con una riflessione filosofica posta nei confronti dei comportamenti dei singoli personaggi e anche del gioco del potere così schifoso da far illudere le masse e trattare gli esseri umani, alla fine, come oggetti. L’interpretazione di Mark Ruffalo così esilarante ma così squallida è nel complesso equilibrata e anche la regia ci ha messo il suo in questo. Robert Pattinson offre un’interpretazione solida, portando in primo piano il suo personaggio e accompagnandoci nella narrazione. Mickey è un protagonista complesso, capace di mostrarsi composto anche mentre rivela due facce della stessa medaglia. La sua evoluzione esplora diverse sfaccettature filosofiche legate alle sue azioni e al suo modo di pensare. La regia di Bong Joon-ho risulta filosoficamente azzeccata, inoltre. L’ho adorata perché così strana, diversa, inaspettata e mette in risalto vari generi in due ore e venti minuti di azione, fantascienza, dramma e riflessione pura su quell’aspetto che colpisce una società posta sotto un certo controllo ed illusa su cosa ti fanno credere che sia giusto e che sia sbagliato. Riesce a risaltare il grottesco con un po’ di ironia e quindi nel complesso è una regia evoluta, dinamica e che non si risparmia nulla. Bel lavoro anche a livello di sceneggiatura, essendo ricca di dettagli, elementi, sfaccettature e movimenti dei personaggi che sono simbolo di un messaggio da lasciare allo spettatore.

È una storia avvincente, per nulla noiosa e anche se può non giocare a favore per qualcuno, almeno spero possiate cogliere il messaggio principale che si vuole estrapolare da questa storia e credo che sia le interpretazioni e sia la regia, sono riusciti a metterlo in risalto. Se devo trovare un difetto, direi che il finale ha rischiato di risultare confusionario e frammentato. Tuttavia, è pienamente in linea con il genere fantascientifico e gioca un ruolo chiave nella chiusura della storia, anche se in alcuni aspetti risulta prevedibile.

Grazie, Bong Joon-ho, per questo ritorno. Il film mi ha coinvolto e lo consiglio a tutti. Alla fine, tocca aspetti di riflessione sociale che ci riguardano direttamente. Forse dovremmo rifletterci di più.



mercoledì 12 marzo 2025

Un musical da Golden Globe, ma anche no!

 


Recensione redatta da Valerkis

Vincitore dei Golden Globe e va bene; uno tra i film non statunitensi con più candidature agli Oscar e va bene; premiato ai BAFTA, al Festival di Cannes...ma alla fine “Emilia Pérez” è davvero un film che merita tutto questo riconoscimento? Cos'ha di speciale per aver attirato così tanto il pubblico e la critica? O meglio cos'è mancato davvero in questo film, a mio parere?

La trama è la seguente: Rita Moro Castro (Zoe Saldana, vincitrice dell'Oscar 2025 come miglior attrice non protagonista per questo ruolo) è un avvocato che si trova coinvolta in un caso di grande risonanza mediatica. Entra in contatto con Juan Del Monte, un narcotrafficante messicano che le chiede aiuto per cambiare identità e rifarsi una vita. Sì, avete capito bene: lui diventa una lei, abbandonando il passato criminale e intraprendendo una nuova vita a tutti gli effetti, costruendo inoltre un rapporto più aperto e collaborativo con Rita.

Siate pronti che assisterete ad un musical, quindi pronti a cantare e a ballare e questo potrebbe sorprendere (o spiazzare) chi si aspettava un thriller ricco di azione e tensione, io compreso. Siamo ancora con l’ennesimo caso dei film che si presenta con un genere e poi ti ritrovi a vedere ciò che non ti aspettavi minimamente. Le canzoni in spagnolo possono essere un buon esercizio divertente per impararlo, ma non per chi vuol vedere un film per giudicarlo, come io in questo caso, o per semplicemente capire di cosa tratta il film in questione e che messaggio vuole tramandare. Per giudicare al meglio questo film partirei dagli aspetti positivi, anzi l’unico aspetto positivo di tutto il film: le interpretazioni di Zoe Saldana e Karla Sofía Gascón risultate impeccabili e sono riuscite ad interpretare molto bene il proprio personaggio e di questo sono molto contento, ma non del resto. Anche dal punto di vista tecnico, la fotografia di Paul Guilhaume e la colonna sonora curata da Clément Ducol e Camille regalano momenti visivamente e musicalmente suggestivi e surreali. Ma in questo film c’è un problema generale che risiede sia nella sceneggiatura (scritta dal regista Jacques Audiard insieme a Thomas Bidegain) sia nella regia, d’altronde la prima risulta ricca di elementi e di aspetti che alla base costituiscono un film interessante, ma non sono stati capaci di svilupparli come si doveva nel lato registico. Ci sono anche tematiche importanti da affrontare, come il gender e la situazione della società messicana, ma vengono solo accennate e non approfondite come meriterebbero, lasciando un senso di incompletezza. Poi la regia di Jacques Audiard è caratterizzata dal fatto che si uniscono vari generi in una storia che aveva come base la piena enfasi dell’azione, della malavita, del thriller e magari con un colpo di scena o un particolare avrebbe caratterizzato in maniera unica questa pellicola, ma tutto questo è mancatoSecondo me, inoltre, l'idea di inserire delle parti cantate rispecchia l'ideologia di come l'ausilio di quest'ultime all’interno di un film, sia l’ingrediente da usare per rendere la pellicola leggera e allegra e far colpire così lo spettatore per altri aspetti.

La parte finale è forse l'unico momento davvero riuscito: intrigante, grottesca e più vicina a quello che il film avrebbe potuto essere dall'inizio. Ma nel complesso, “Emilia Pérez” lascia la sensazione di un'occasione mancata e il mio dispiacere nel scrivere una recensione più negativa che positiva sta nel fatto che si è ribaltato tutto e inoltre è apparso pienamente screditato. Le interpretazioni sono eccellenti, la fotografia e la colonna sonora sono di buon livello, ma se sceneggiatura e regia non funzionano e hanno screditato il tutto, non credo che ci si possa alzare dalla poltroncina soddisfatti appieno. Per me, purtroppo, è andata proprio così.



martedì 4 marzo 2025

Un cane che ama le corse, non solo questo!



Recensione redatta da Valerkis

Oggi vorrei condividere con voi la recensione di questo film che ho recuperato un po’ di sere fa ed è una storia che presenta una trama avvincente per le sensazioni trasmesse e le tematiche che si affrontano.

Sono le vicende di Denny Swift (Milo Ventimiglia) raccontate da Enzo, il suo cane. Esattamente, si chiama Enzo, in onore del fondatore della Ferrari e Denny è per l’appunto un pilota automobilistico che partecipa a varie competizioni per farsi notare, perché risulta un atleta con delle doti e delle qualità che nessun altro possiede. Enzo è il primo fan del suo padrone e di tutto quello che fa nelle corse. Quando arriva Eve (Amanda Seyfried) ci sono dei cambiamenti in vista, ma Enzo è sempre stato lo spettatore principale della loro relazione e di tutto ciò che è accaduto nel seguito della vicenda. Denny si troverà ad affrontare ostacoli di ogni genere, cosa che avviene non solo nelle corse ma anche nella vita quotidiana e Enzo è sempre lì, che passivamente racconta attraverso una voce tutti i momenti vissuti insieme al suo padrone.

La trama è tratta dal romanzo di Garth Stein e racconta la storia di una persona che vive le giornate e i momenti della sua vita, inseguendo le proprie ambizioni, i propri sogni e cercando di non trascurare le persone che lo aspettavano a casa, ovvero la famiglia che aveva costruito per amore. Quindi si, è una storia d’amore reciproca quella che si percepisce nella coppia protagonista, anche di rispetto per le ambizioni che ogni persona possiede e nel caso di Denny, le corse. I personaggi interpretati dagli attori sono unici perché si rispettano e già un chiaro messaggio viene trasmesso e di come nonostante le varie successioni di eventi intercettano la vita di coppia, entrambi hanno cercato di combattere la propria battaglia per tenere in vita la loro relazione e l’amore dimostrato da entrambi. Denny così determinato nelle corse, Eve così piena di affetto e Enzo sempre partecipe, che ci racconta la sua visione di una vita vissuta assieme ai protagonisti con rispetto, affetto e ambizione. La sceneggiatura di Mark Bomback costruisce una vicenda che, nella prima metà, appare frettolosa nel presentare i personaggi e nel delineare il loro quotidiano. Tuttavia, con l’evolversi degli eventi, il ritmo si adegua alla drammaticità della situazione, facendo percepire con maggior intensità il peso delle scene mostrate. Stessa cosa vale per il montaggio. La regia di Simon Curtis riesce a creare le giuste sensazioni da provare sia da una parte sia dall’altra, passando da un protagonista all’altro e così facendomi apprezzare questa vicenda.

È un film che fa emozionare, ti appassiona ai protagonisti e a questo curioso cane che racconta, con la voce italiana di Gigi Proietti (un grande), le vicende accadute e non risulta fastidiosa, ma altresì un buon accompagnatore nei pensieri che anche un cane può manifestare, vivendo situazioni di una famiglia perlopiù emozionanti, anche se complicate a volte. Consiglio vivamente di vederlo, perché è bello ed entusiasmante e sicuramente intrattiene il pubblico come dovrebbe, con le giuste sensazioni da provare.

sabato 25 gennaio 2025

Dalla preistoria ad oggi in…un’inquadratura soltanto


Recensione redatta da Valerkis

Guardando sia il trailer sia dei video che trattavano la trama del nuovo film di Robert Zemeckis, mi sono fatto incuriosire da questa storia che percorre in grandi linee circa cento anni di storia, se non di più, se non addirittura dalla preistoria e in che modo? Attraverso un’unica inquadratura. 

La trama è questa: dalla preistoria si arriva ai giorni nostri e si approfondiscono varie vicende attraverso questo punto di ripresa, dove intorno al diciannovesimo secolo cominciarono a costruire un’abitazione, nella quale hanno vissuto varie famiglie. Da questo periodo fino agli anni venti del 2000, sono passate generazioni di persone, ci sono stati momenti, fatti storici e come la società è cambiata radicalmente nel corso del tempo. Sostanzialmente si approfondisce la vicenda di Richard (Tom Hanks) e Margareth (Robin Wright) che dagli anni ’50 arrivano al periodo post-Covid, dove all’interno di quella casa avevano vissuto tanti momenti, sia belli sia tristi. Ma ci sono state altre famiglie, sia prima sia dopo, passando dalla Belle Époque all’influenza spagnola, al Dopoguerra, la Guerra Fredda e l’avvento del nuovo millennio. 

Non vi aspettate il filmone d’autore, anche se ormai Zemeckis può portare il peso di una firma che racconta quasi cinquant’anni di carriera da regista e sceneggiatore. È un film molto semplice nella composizione anche se dietro le quinte e quindi nella preparazione, non si nasconde il fatto di aver usato l’IA (Intelligenza Artificiale) per ringiovanire gli attori protagonisti e usandola, ha rischiato di rendere la scenografia e la fotografia poco naturale, in alcune riprese. Ecco, se devo trovare un lato negativo di questo film l’ho trovato. Personalmente, penso sia un enorme potenziale per rendere i personaggi più credibili al momento opportuno della ripresa e si conferma come ormai questa nuova forma di tecnologia sta rivoluzionando il modo di fare cinema. Il montaggio non è risultato alquanto elementare perché è stato un fattore molto importante in tutto il film. Il lavoro eseguito non è stato per niente disastroso, anzi ha iniziato nel modo da comporre i vari tratti di inquadratura (lo so, statica), nei vari periodi storici e cercando di restare coerenti all’andamento di una vicenda che avanza e torna indietro di colpo (vi avverto). 

È una storia vivace e ti cattura completamente, questo è poco ma sicuro e le interpretazioni degli attori sono state libere e spontanee. Il tempo passa, se ne va e non tornerà più…cantava qualcuno e se ripensassi alla vicenda dei due principali personaggi di questo film, ovvero Margareth e Richard, si comprende maggiormente questa riflessione posta. Forse il film ti cattura anche per questo motivo, perché Zemeckis nella sua sceneggiatura (scritta insieme a Eric Roth, già colleghi per la scrittura di “Forrest Gump”) mette in risalto questo importante aspetto che, a volte, sottovalutiamo. Interpretazioni giuste, sceneggiatura coerente e film apprezzato per la sua vivacità e il fatto che risulti attraente nella sua difficile e statica inquadratura, anche se di fondo sono cambiate le persone e aspetti di cui nemmeno ci accorgiamo.

Consigliatissimo per godervi neanche un paio d’ore di una commedia sentimentale che vale la pena vedere e citerei anche Alan Silvestri (compositore di oltre 100 film) alla colonna sonora, capace di accompagnare i vari momenti che hanno attraversato quella fissa inquadratura, così importante per la storia che andrete a visionare.

martedì 14 gennaio 2025

Le donne sono i diamanti


Recensione redatta da Valerkis

Durante le vacanze natalizie, Ferzan Özpetek ci ha fatto un bel regalo per la fine del 2024 e ci ha portato una pellicola dove mette in risalto il ruolo della donna in quella che noi chiamiamo vita e tutto nella maniera più delicata ed esteticamente coinvolgente.

È la storia di una sartoria, la sartoria Canova, dirette da Alberta (Luisa Ranieri) e Gabriella (Jasmine Trinca) e di tutte le sarte e le costumiste che ci lavorano. Principalmente è la storia di persone come Bianca, Fausta, Paolina, Beatrice, Carlotta, Nicoletta, Nina, Eleonora, Silvana e tutte le donne che, come loro, si battono per la propria posizione e unite come sempre si danno da fare, danno il massimo, ma d’altra parte non trascurano i sentimenti e le fragilità che percepiscono, le sorelle protagoniste in primis. Il loro compito è creare i vestiti per un regista esigente e tra alti e bassi riuscire così a creare l’abito perfetto.

Non mi metto ad elencare le attrici che hanno partecipato a questo film perché sono tantissime e parliamo di buona parte dell’attuale scena italiana. Principalmente mi soffermerei alle interpretazioni delle due sorelle protagoniste, decisamente contrastanti ma unite al tempo stesso ed equilibrate per tutta la durata del film. Sia la Ranieri sia la Trinca sono state fenomenali. Insieme alle altre interpreti sono riuscite a dare una coralità nella vicenda e questo è stato il fattore che ha dato enfasi alla storia. Ferzan Özpetek migliora la sua regia, rendendola dinamica e catturando in spazi ridotti, per la maggior parte delle scene, la forza e la volontà dei personaggi e del senso che si dà alla vita ogni giorno da parte delle protagoniste, considerate i “diamanti” della storia. I diamanti sono le donne che hanno il pieno diritto ad avere tutte le soddisfazioni che vogliono, raggiungendo gli obiettivi e superando le proprie difficoltà e fragilità. Questo è stato messo in risalto registicamente e merito anche della colonna sonora, che ha permesso di accompagnare i vari momenti della vicenda (canzone finale interpretata da Giorgia inclusa). 

Esteticamente è un bel film, parlo di scenografia, fotografia e mettiamoci anche i costumi. È stato fatto un buon lavoro da parte di questo fantastico trio e Özpetek ha permesso di curare la ripresa, l’inquadratura degli sguardi e le gesta delle donne che hanno recitato in questa storia. Il film l’ho apprezzato, a partire da tutte le interpretazioni fatte dalle attrici che hanno composto il cast e inoltre risalta l’accuratezza emotiva e in tutto il momento che compone la scena. Secondo me, si poteva approfondire un po’ le storie di tutte, magari per poco, anche se è vero che il rischio è quello di fare un film troppo lungo e forse l’obiettivo era principalmente girare intorno al concetto del ruolo della donna nella società e nella vita di ogni giorno, creando una vicenda come questa, ovvero la storia della sartoria Canova è soltanto un esempio di piccole realtà e di tante donne che quotidianamente cercano di raggiungere uno scopo.  

Da vedere per appassionarsi al cinema italiano contemporaneo e per trovarsi un nuovo Özpetek, a mio parere, più dinamico e ancora più accurato e delicato nel dettaglio da catturare, attraverso la macchina da presa e nella scrittura della sceneggiatura (insieme a due donne, Elisa Casseri e Carlotta Corradi). Per concludere, ho apprezzato inoltre come la vicenda venga interrotta da un prologo, epilogo e da una pausa di mezzo che tornano alla realtà che c’è stata dietro alla preparazione del film e dal punto di vista diciamo teatrale è piaciuto ed è stato anche simpatico, per certi aspetti. Nel finale non mi sarei allargato all’arricchimento della scena, ma avrei messo in risalto solamente il messaggio che si voleva condividere, continuando a lasciare impressa la propria immagine (c’è proprio Özpetek che si fa riprendere e questo l’ho apprezzato). Penso sia stata bella la dedica speciale fatta ad attrici storiche come Virna Lisi, Monica Vitti e Mariangela Melato.

Alle donne, al cinema e alla vita che concede a chiunque uno spazio per rimediare agli errori e raggiungere così le proprie soddisfazioni!

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