mercoledì 25 dicembre 2024

Questa è la storia di un re


Recensione redatta da Valerkis

Quest'anno come recensione di Natale, vi propongo il nuovo live-action della Disney che sta riempiendo le sale cinematografiche in Italia. Si torna indietro, riportando la saga de “Il re leone” con una storia che ci porta alle origini di Mufasa, il padre di Simba, il re della savana e di come, appunto, sia diventato re. La storia di Mufasa parte dal rapporto con i suoi genitori interrotto da un incidente causato da un’inondazione e così da solo, il protagonista ha ricominciato una nuova vita incontrando Taka ed entrando così nella nuova terra. Purtroppo veniva continuamente minacciata dai leoni bianchi, considerati con il denominativo “Gli Emarginati” che volevano prendersi il potere su tutto il territorio ed essere i veri re della savana, ma se la dovevano vedere con chi aspirava a diventarlo.

Ormai i live-action sono un obiettivo focale per la Disney, riportando sul grande schermo delle saghe che hanno fatto storia, cercando così di approfondire queste storie bellissime. Personalmente vorrei tenermi stretto “Il re leone” del 1994, così commovente e così avventuroso. Anche il live-action non mi era dispiaciuto, però. Ma torniamo al prequel in questione che ci ha fatto conoscere meglio Mufasa. All’inizio il film ha rischiato di essere scontato e, a mio parere, lo sviluppo iniziale della storia ha rischiato di ricalcare troppo da vicino quella del figlio, soprattutto per quanto riguarda il movente che ha dato origine agli eventi raccontati. Per fortuna si è ripreso notevolmente nel corso della pellicola e ho visto una vicenda assai differente da come si preannunciava, ma piena di avventura, fratellanza, riscatto e valore dal lato del protagonista. Insomma una storia ricca di queste qualità che hanno tenuto in piedi tutto l’andamento dei fatti e registicamente il film lascia impresse queste qualità appena descritte e assume così una dinamicità nell’ambiente di scena. Il lavoro di Barry Jenkins (regista di “Moonlight”) è abbastanza completo. La sceneggiatura scritta da Jeff Nathanson è conforme alla regia che si è sviluppata, mettendo in risalto la dinamicità dei personaggi e delle proprie azioni e i pilastri che tengono in piedi questo film. La scenografia e la fotografia si sono amalgamate molto in tutte le scene, rendendo più vera e vivace tutta la vicenda e questo è stato messo in risalto notevolmente. La colonna sonora, invece, ha ripreso le melodie del primo film della saga ed è stata implementata da una qualità orchestrale e moderna della colonna stessa e per questo l’ho apprezzata. 

Sicuramente è un film da vedere, per ogni genere di pubblico, famiglie comprese e a me ha lasciato impressa una vicenda corale tra i personaggi che hanno intrapreso un'avventura a tutti gli effetti e non rispecchiando, per fortuna, quello che poteva rischiare di diventare, ovvero una storia già vista e rivista e proprio ciò non volevo che accadesse. Se è un film Disney preparatevi a cantare e ad ascoltare molte canzoni e inoltre non credo che la narrazione da parte di Rafiki abbia influenzato negativamente con il problema di rendere il film più pesante del previsto, anzi ha dato più enfasi e arricchito la pellicola secondo me.

Se volete passare un bel momento insieme, questo è sicuramente un buon film. Con l’occasione mi permetto di augurare a tutti Voi un buon Natale e che possiate festeggiare nel miglior modo…al cinema!

martedì 17 dicembre 2024

La cosa più grande che tu possa imparare è amare e lasciarti amare


Recensione redatta da Valerkis

Con questo film vorrei iniziare a portare sul blog tutti quei film ambientati a Parigi, in particolare quelli maggiormente conosciuti, apprezzati (e non) dalla critica. Il titolo parla di un luogo simbolo di Parigi, di una Parigi lussuriosa e di una Parigi che ti porta alla follia pura e così preso dalla curiosità, l’ho recuperato.

1899, periodo della “bohémien” e Christian (Ewan McGregor) vuole portare in scena uno spettacolo all’interno del “Moulin Rouge”. Il mulino rosso dalle pale grosse e che cattura la borghesia parigina, coinvolgendola nel desiderio e nella passione. Il luogo è ideale per far conoscere una storia d'amore, anche se contrastante per un luogo del genere, in un luogo borghese a tutti gli effetti. Bisogna convincere l’impresario Zidler (Jim Broadbent) e soprattutto arrivare a lei, la regina del “Moulin Rouge”, Satine (Nicole Kidman). Attraente dalla testa ai piedi, tutti la desiderano e Christian la vuole scritturare, manca solo chi finanzia lo spettacolo e a questo ci penserà il “duca di Monroth” (Richard Roxburgh). La trama scorre dinamicamente nella preparazione dello spettacolo, ma un fattore condiziona il risultato finale: la gelosia.

Da cosa vogliamo partire, lati positivi o negativi? Direi di toglierci subito i negativi. Il fatto che sia un “musical” inizialmente rende l’andamento di questo film a tratti anche imbarazzante e troppo movimentato, però che ti addentra nel divertimento lussurioso di quel luogo. Non doveva essere completamente cantato, a mio avviso, avrei gradito un’immediata immersione nella “drammaticità” della storia e non parlo di fatti tragici, ma di sentimenti che mi avrebbero portato ad un travolgimento più diretto e non atteso, come è stato. Fatemi gustare subito questi sentimenti, ecco. Si doveva alleggerire la trama? Poteva essere giocata meglio di quello che è stato. La sceneggiatura scritta dal regista Baz Luhrmann e da Craig Pearce è stata un mix di tutto per i vari generi che hanno costituito la pellicola, dal “musical” al drammatico e ad un pizzico di commedia corale. La scenografia risulta troppo fiabesca, secondo me e palesemente ricostruita per l’ambientazione dell’epoca. Insomma, mi aspettavo di meglio. La fotografia è la parte estetica del film che si salva, insieme ad una bizzarra colonna sonora che concilia performance canore dei protagonisti e riprese di famosi brani pop del Novecento (Queen, Madonna, Whitney Houston e così via) e alla moltitudine di costumi usati (vince per questo il Premio Oscar nel 2002). Direi di passare ai lati positivi e in primis citerei l’ottima interpretazione di una delle bionde più famose di Hollywood, Nicole Kidman. Qua non è bionda, è rossa, sensuale, ironica ed elettrizzante, ma con le sue fragilità da risaltare. Bellissima in tutti i sensi, anche nelle sue doti canore messe in risalto. Ewan McGregor interpreta benevolmente un personaggio appassionato da tutta l’atmosfera creata ma che si ammala per una persona che non meriterebbe nulla in merito. Non è da meno nemmeno Roxburgh nei panni del duca, buonissima interpretazione, come anche per Broadbent e tutti gli attori che hanno costruito questa storia non completamente da cestinare, ma da rivedere sicuramente sia per come è uscito fuori e per riflettere su come poteva uscirne meglio di come è stato. 

Baz Luhrmann non è un regista incapace, perché ha reso tutto alquanto dinamico nella complicità dei personaggi e di quello che stavano facendo, mettendo in risalto anche visioni non considerate di quel periodo storico. Si gode, si sogna, si ama, anche se non si potrebbe, ma si ama e mi direte come non amare una Nicole Kidman nei panni di un personaggio che dirige tutto e tutti, fino alla fine dei giorni di quel “benessere” scatenante e travolgente, dove solo nel “Mouline Rouge” poteva avvenire. Parigi è bella anche per questa, in fondo!

martedì 19 novembre 2024

Piacere, Francesca Comencini

 


Recensione redatta da Valerkis

I Comencini sono un nome da custodire per il cinema italiano, prima con Luigi e per arrivare alle figlie Cristina e Francesca, che hanno deciso di seguire le orme del padre nella regia e poi c’è anche Paola, scenografa e costumista. Non conoscevo che tipologia fosse la regia di Francesca Comencini, anche se ho visto il documentario che fece sulla vicenda di Carlo Giuliani avvenuta al G8 del 2001. Ma questa è un’altra vicenda.

La produzione italo-francese, tra cui troviamo anche Marco Bellocchio tra i produttori, ha voluto dare spazio alla storia personale di Francesca ed esaltare cosí la sua vicenda inoltre raccontando una società e una generazione che viveva nell’incertezza, dove l’escamotage per andare avanti erano la protesta e l’assunzione di qualcosa che può portare addirittura alle cause peggiori.

Quindi, è la storia di Francesca (interpretata da una bravissima Romana Maggiora Vergano per la parte adulta e per la parte da bambina da Anna Mangiocavallo) e del suo rapporto con il padre, Luigi (interpretato da un bravissimo Fabrizio Gifuni) e delle vicende che li riguardano. Si passa dai set cinematografici del padre per finire ad un viaggio insieme a Parigi per sfuggire da tutto il male che li stava influenzando. La storia di questo film passa dal cinema alla realtà e che finalmente trova il risvolto definitivo, mettendo entrambi al pari in ogni senso.

Francesca Comencini gioca la carta della sua autobiografia, costruendo registicamente due personaggi così uniti e così distanti e riesce persino a coordinare i due protagonisti, aldilà della bravura di base da parte della Vergano e di Gifuni. La regia è buona sicuramente, anche se potevo aspettarmi un maggior tocco di autenticità registica. Effettivamente non era questo l’obiettivo, perché si tratta di un film autobiografico e perché parliamo di un’altra generazione di fare cinema in Italia rispetto a quando lo faceva Luigi, secondo me. Non è un film da tralasciare nella visione perché ti porta in un periodo storico che ha influenzato moltissimo i due protagonisti e cercando alla fine di sostenersi e riuscire così a trovare la giusta strada. La fotografia di Luca Bigazzi rende il tutto alquanto autentico e il montaggio (Francesca Calvelli, Stefano Mariotti), in questo film, risulta importante per il cambio di alcune scene inserendo quella che chiamerei “metafora della balena”. Ognuno, se vedete il film, può interpretarla come vuole. Anche i messaggi che vuole tramandare questo film sono importanti e non da sottovalutare, in particolare sugli effetti negativi che la droga può scatenare. 

Vorrei puntualizzare come mi abbia colpito l’interpretazione della Vergano, nella scena cuore di tutta la storia, durante una crisi nervosa. Questo è un grande salto di qualità nella sua dote attoriale, riuscendo ad entrare perfettamente nella parte. 

La Comencini ha esaltato molto il periodo buio degli anni di piombo creando incertezza, instabilità e dispersione nei protagonisti ma con la voglia viva di rimettersi in gioco affrontando un bel viaggio insieme e con la complicità che li distingue. Questo è quello che mi ha trasmesso il film di Francesca Comencini, così profondo, personale con un'attenzione ai messaggi da tramandare e una bella dedica al cinema, alla sua storia e a suo padre, che l’ha seguita nel suo percorso, arrivando ad oggi con questo film da non sottovalutare in alcun modo.

lunedì 28 ottobre 2024

Bellezza dominante, unica e particolarmente d’effetto


Recensione redatta da Valerkis

Quando si dice "Vedi Napoli e poi muori!" un motivo c’è. Ditemi quello che volete, ma in fondo hai questa sensazione (almeno per me). Ma qui non si parla di Napoli come protagonista, ma fa da sfondo alle vicende di Parthenope. Un nome importante da attribuire ad una ragazza che dovrebbe mostrare dominanza, unicità e particolarità d’effetto in quello che dice e in quello che fa. Anche in quello che pensa, ma a cosa penserà solitamente? Non si sa, lo si scoprirà vedendo (forse). 

Parthenope (Celeste dalla Porta per la parte da giovane e Stefania Sandrelli per la parte finale) nasce a Napoli nel 1950 e in questo film viene raccontata la sua vita in grandi linee, o meglio nel pieno della sua gioventù per poi avviarsi nell’età adulta. Suo fratello Armando rimane affezionato per tutta la vita a lei e in base a dove andava, lui c’era sempre. Ma gli imprevisti sono dietro l’angolo e Parthenope deve prendere la giusta strada per decidere quale intraprendere, rimanendo incredula, incerta e sperduta in quel gran caos che si chiama appunto, vita. 

Parliamo subito di regia e sceneggiatura, curate da Paolo Sorrentino che torna dopo tre anni a dirigere un capolavoro ambientato nella sua città natale e non solo. Passerei all’analisi del film, ovviamente per come la penso. La regia assume un mutamento interessante nel corso del film, o meglio assume due macro sfumature: la prima è veloce, diretta e con tanta tecnica per introdurre quella che sarà la vera essenza della storia. Un po’ come la giovinezza, forse, così veloce per non viverla appieno. La seconda più lenta e sperduta, come Parthenope stessa. Deve decidere che strada prendere e vive ogni situazione dalla più toccante alla più soddisfacente, intraprendendo una carriera e seguendo un interesse nel risolvere un mistero che la accompagnerà per buona parte della sua giovinezza. La regia di Sorrentino è autentica in ogni sfumatura, anche con le sue tecniche indimenticabili che ci immergono nella piena corrente “sorrentiniana” della sua lavorazione. La sceneggiatura risulta equilibrata, conforme e continuativa. Fino a qui bellissimo come anche fotografia e scenografia, che sono riusciti a costruire un binomio ottimo nelle sensazioni da trasmettere con molte inquadrature solari, inquietanti e passionali. Alle colonne sonore, Lele Marchitelli incide le sue musiche perfettamente adatte nei vari momenti accompagnate dalle intoccabili canzoni di Riccardo Cocciante, Ornella Vanoni e Gino Paoli. 

Delle critiche avrei da fare, però, in particolare quando Parthenope viene orlata di pietre preziose di stampo religioso sul corpo nudo della protagonista. Per me ha rischiato di osare un po’ troppo da questo punto di vista, perché penso di avere un’idea di come la religione vada trattata nella scena in contesti conformi all’etica stessa; anche in un’altra scena avrei qualcosa da dire, nei confronti di inquadrature di un atto erotico in corso. Sarebbe stato meglio che si intravedesse soltanto, ma questa scelta finale potrebbe essere coerente al fatto di mostrare lo squallore in cui si ritrovò in quel momento Parthenope, comprendendo appieno i veri problemi e pericoli della vita.  

Direi di passare alle interpretazioni e partirei se non da lei, Celeste Dalla Porta. Alla sua prima esperienza da attrice protagonista riesce ad interpretare perfettamente un personaggio che viene descritto come ho appena fatto all’inizio dell’articolo: dominante, unica e particolarmente d’effetto. Su quest’ultimo non parlo solamente dal punto di vista seduttivo, perché la bellezza viene mostrata senza essere troppo seducenti, anzi la bellezza di Parthenope è in tutto il suo essere. Per questo Dalla Porta è riuscita molto bene nella sua interpretazione. Altro personaggio importante è il suo professore di antropologia all’università, il professor Marotta (interpretato da Silvio Orlando) che segue la protagonista e mostrandosi come un punto cardine nei suoi confronti. Orlando non delude mai. Per arrivare agli altri: la presenza di Gary Oldman (nei panni di John Cheever) che ho apprezzato pienamente; Isabella Ferrari nei panni della misteriosa Flora Malva; Luisa Ranieri nei panni di Greta Cool e per passare ai familiari e a tutte le persone di passaggio che ammiravano Parthenope come se fosse scesa una divinità in persona. Lei era la divinità, rendendosi unica nel suo splendore e con il suo vissuto caratterizzato da una gioventù che risulta dolce e amara subito dopo, perché la vita vera sono altre cose, dove le fratture tendono a dominare e questo lei lo vede ed è il “vedere” il vero senso dell’antropologia. Il vero senso della vita.

Parla di vita, questo è chiaro, ma nel pieno sentimentalismo e assumendo una filosofia d’autore unica che solo Sorrentino riesce a costituire, crescendo sempre di più registicamente e sentendosi convinto in quello che è riuscito a portare sul grande schermo e soprattutto a produrlo (lo apprezzo questo e il numero 10 nei titoli di testa, in onore di Maradona, faceva già capire il tutto) e sul discorso della produzione, ho notato come siano stati coinvolti tre paesi: Italia, Francia e Stati Uniti (Netflix incluso). Non è stato troppo sdolcinato, in fondo, perché quando ti crolla tutto viene percepito, ma riesce ad usare una delicatezza che solo un autore di cinema riesce ad intraprendere e trasmettere, seduzione inclusa. Per questo Parthenope è piaciuto e per questo va visto, per provare tante emozioni e comprendere una filosofia e una visione sulla vita e sulla bellezza mostrata appieno in ogni singolo frammento. 

P.S.: sarò pazzo, ma è possibile che dopo ventiquattro ore che avevo visto il film ancora mi tornavano in mente delle scene, senza che ci pensassi? Capolavoro, anche per questo effetto che mi ha scatenato.


mercoledì 23 ottobre 2024

Non ci siamo!

 


Recensione redatta da Valerkis

Sono già cinque anni che “Joker” di Todd Phillips è uscito nelle sale italiane conquistando notorietà, apprezzamenti e incassi al botteghino. Le aspettative iniziali erano alte per questo nuovo capitolo del personaggio interpretato da Joaquin Phoenix, lo ammetto, anche se sapevo si trattasse di un “musical” (vi avverto da subito). Inoltre, mi aveva colpito la scelta di Lady Gaga (nei panni di Lee) da inserire nel cast, visto che negli ultimi anni si sta affermando anche come attrice. 

Arthur Fleck (“Joker”) è rinchiuso nel manicomio di Gotham e ogni giorno è uguale all’altro con una condizione generale di trattamento veramente pessima e lui rimane coinvolto dal suo vortice di negatività e di follia, quando un giorno conosce Lee (“Harley Quinn”) e cosí il protagonista percepisce un cambiamento a livello emotivo, sentendosi meno solo e dando un senso, così, alla sua esistenza.

Todd Phillips è alla regia anche in questo film e ha co-scritto la sceneggiatura insieme a Scott Silver. Inoltre, ho apprezzato scenografia equilibrata all’ambientazione e colonna sonora perfettamente tetra nei momenti giusti, tralasciando la parte cantata dai protagonisti. Ho trovato una regia che assume più o meno la stessa etica del primo “Joker”, di fondo, ma guardando con un occhio al di là della stasi. Non ho trovato elementi troppo diversificati e rimane conforme a quell’ambiente sempre più squallido e falso. Dal punto di vista di sceneggiatura, ho trovato coinvolgente la parte del processo giudiziario nei confronti di Arthur/Joker, anche quando il protagonista assume doppia personalità e così non facendoci dimenticare quando sa essere l’uno o l’altro. Secondo me, non viene ben contestualizzato perché ad un punto decide di assumere i panni di Joker e forse questo é voluto dal punto di vista registico-scritturale, per comprendere al meglio la difficile situazione personale del personaggio interpretato da Phoenix. 

Joaquin Phoenix risulta fenomenale nell’interpretazione, come al primo film e ho apprezzato anche Lady Gaga, tutto sommato, anche se sinceramente poteva mostrarsi ancora più dominante e risultare così completa nella sua esecuzione. Insomma, le interpretazioni dei protagonisti sono ben definite nel loro complesso ma è il film di fondo che non ci sta e il motivo è ben chiaro, cosa mi ha lasciato? Nulla. Perché il continuo di questa storia non mi ha lasciato nulla? Non ho trovato entusiasmante l’introduzione e anche la conoscenza con Lee, soprattutto mediante questa scelta di fare un “musical”, ben contrastante al principio del film. Diciamo che, per me, con questo hanno voluto rendere più diretta e concreta l’immaginazione di Arthur nei confronti di Lee e di cosa poteva fare insieme a lei. Potrebbe anche andar bene, ma secondo me non è riuscito come mi aspettavo. Non è stata una coreografia unica nel suo genere e questo influisce sul mio giudizio negativo, purtroppo.

Peccato, veramente, perché mi ero affezionato su questa serie di film veramente promettente, alquanto deludente una volta girato l’angolo della strada. Da Phillips vorrei comprendere la sua ideologia nella trasposizione di questa vicenda in chiave “pop” e melodica e io non l’ho compreso perché non sono riuscito a capire il fine di una vicenda che termina in una maniera inaspettata e forse anche scontata. Questo lo posso percepire come uno sbaglio della regia, su questo fatto e non aggiungo altro. Non vorrei dire di evitare di vederlo, ma non crearsi troppe aspettative perché altrimenti rimarrete con un certo amaro in bocca, come esattamente mi è successo. 




mercoledì 9 ottobre 2024

Arriverà anche un “baby-Gru” e non solo…

 


Recensione redatta da Valerkis

Quest’anno é tornata nelle sale la saga con Gru protagonista, l’ex-cattivo che ormai è diventato un punto cardine dell’AVL (l’agenzia anti-cattivi per cui lavora) e uscendo nelle sale lo scorso 21 agosto, ha permesso di far ripartire la stagione cinematografica dopo un’estate statica, come al solito.

Gru, questa volta assume l’incarico di una missione importantissima, catturare un nuovo cattivo dal nome di Maxime Le Mal, che ha il potere di trasformarsi in scarafaggio e controllarli persino. Purtroppo Gru si accorgerà di essere in pericolo e dovrà stare sotto copertura dall’agenzia é costretto a cambiare vita, sia per lui sia per la sua famiglia, Minions inclusi.

Già dalle prime scene, ho notato come la storia in questo capitolo avrebbe preso una direzione ben specifica e anche ben evoluta dal solito. Cambiano anche gli stili nei personaggi, ma di fondo assumono sempre lo stesso carattere. Questa volta, però, ho notato che le principali figlie di Gru (Margo, Edith e Agnes), in questo capitolo, non hanno molta rilevanza e partecipazione diretta nella storia. I principali protagonisti saranno Gru, Le Mal e un nuovo personaggio che considererei misteriosa, ma con l’enfasi di diventare cattiva: Poppy, la figlia dei vicini che abitano accanto alla casa di Gru e Lucy. Anche Lucy passa quasi in secondo piano, come ruolo nella vicenda complessiva e questo significa che la saga sta avendo un mutamento radicale. I Minions rimangono conformi alla loro simpatia e partecipazione di fondo, assumendo però un ruolo fondamentale per i “Mega Minions”, chiaro riferimento ai supereroi del mondo Marvel. Anche un altro personaggio apparirà per la prima volta in questa saga: baby Gru, o Gru jr. Il piccolo Gru si presenta innocente, ma poi si scoprirà di avere una forma di atteggiamenti da cattivo e questo potrebbe far pensare al possibile continuo della saga, come il prossimo erede di Gru. Passo dopo passo, però.

Il film l’ho gradito per la sua leggerezza, in fondo, ma anche per la sua evoluzione degli eventi e dell’animazione in sé. La Illumination continua a fare passi da gigante dal punto di vista della lavorazione grafica, di sceneggiatura e regia. Alla fine, quello che ho apprezzato è stato l’intrattenimento che mi ha fatto trascorrere un’ora e mezza, più o meno, divertendosi e conoscendo un’evoluzione della storia in sé da non sottovalutare ma nemmeno da sopravvalutare. Siamo nel mezzo e assicura quella situazione, dove la saga non risulta sproporzionata e non diventa sgradevole. La colonna sonora di Pereira e Pharrell sono una garanzia, ormai, sia nelle canzoni cattive sia nelle canzoni e musiche considerate ormai solite della saga. La regia di Chris Renaud è dinamica dal punto di vista di grafica, animazione e scenografia e nel complesso segue il passo della vicenda, dando spazio ai nuovi personaggi che hanno costituito il cambiamento generale della storia ma non tralasciando l’intrattenimento che deve garantire ad ogni modo. La sceneggiatura di Mike White e Ken Daurio è buona, lineare, ma alla fine non ho neanche trovato aspetti che si rivelano particolari nella vicenda, speciali ma semplici e coerenti con la stesura di una storia da trasmettere a qualsiasi tipologia di pubblico. 

Chissà come si evolverà, sperando che la scena finale non sia un ricapitolo della saga e forse decretando la propria fine. Spero di no, in fondo.

domenica 6 ottobre 2024

Gru ha un fratello. Che ridere! (Non solo…)




Recensione redatta da Valerkis

Siamo nel 2017 e si giunge cosí al terzo capitolo, dove ho notato un orientamento della vicenda ampiamente diversificato, ma con l’obiettivo di intrattenere come un buon film d’animazione giustamente deve fare.

Gru insieme a Lucy continuano il loro lavoro nell’agenzia anti-cattivi e devono catturare Balthazar Bratt, un cattivo che ha preso troppo sul serio il suo ruolo interpretato quando era attore per una serie hollywoodiana e lo considerano come un pericolo per la società. Ma in tutto questo Gru saprà di avere un fratello e così il film si evolve tra le vicende di Gru e suo fratello e quelle dei “Minions” che si vogliono staccare dalla nuova vita del protagonista, ma si renderanno conto di non trovarsi nella giusta strada.

A distanza di quattro anni, tra il secondo e il terzo capitolo, ho notato un'evoluzione nell’animazione e nel raccontare la vicenda. La regia di Pierre Coffin, Kyle Balda e Eric Guillon è stata ben attenta a non sproporzionare i vari eventi accaduti, rendendo il film scorrevole nonostante le moltitudini di vicende. Le scene tra Bratt e il protagonista sono un omaggio alla musica pop anni ’80, con la loro “sfida dance” improvvisata. Gru e Dru sono, entrambi, dei personaggi buffi, cattivi a loro modo, ma in grado di unirsi e creare qualcosa di contrastante al male. Lucy si evolve nel personaggio come madre ma rimanendo di base la stessa conosciuta nel capitolo precedente. I “Minions” diventano per un momento indipendenti (segnale che tra il secondo e il terzo capitolo era uscito lo spin-off con loro protagonisti), seguendo la loro strada sempre insieme, ma è proprio vero che senza un capo non riescono a dare un senso alla propria esistenza. Bratt risulta essere un cattivo retrò, a vista innocente ma assolutamente credibile e invincibile. La sceneggiatura è scritta dagli stessi di sempre che migliorano ulteriormente la modalità di stesura e di descrizione delle scene. La colonna sonora con le solite firme di Pharrell e Heitor Pereira, accompagna il film in maniera proporzionata e persino sdolcinata. 

Alla produzione troviamo sempre Chris Meledandri e ancora una volta ci azzecca con questo terzo capitolo, secondo me, rendendo la storia di questa saga ancora più ricca di eventi, dinamica e con personaggi che diventano sempre più partecipi nei vari momenti che accadono all’interno della vicenda. Gru ancora si definisce un buon protagonista e con un ruolo fondamentale di agente e genitore. Sono rimasto molto colpito dall’evoluzione nell’animazione e soprattutto nell’arricchimento degli eventi che compongono una sceneggiatura considerata sempre più solida e ben ponderata, al tempo stesso. Avanti così, cara Illumination.

mercoledì 25 settembre 2024

Gru colpisce ancora (in senso buono)



Recensione redatta da Valerkis

Ecco a voi la recensione inerente al secondo capitolo della saga che ho iniziato questa settimana. A questo capitolo sono particolarmente legato, poiché mi riporta ai pomeriggi trascorsi nelle sale insieme ai miei compagni di classe delle scuole elementari.

Gru ormai è diventato genitore a tempo pieno e vive le sue giornate facendo il buon padre di famiglia, prendendosi cura delle tre bambine adottate. Un giorno arriva Lucy che lo porterà a compiere una missione contro il crimine e per catturare eventuali cattivi che potranno utilizzare una sostanza nociva altamente pericolosa. Tra eventi, imprevisti e successioni generali avvengono vicende che vanno dallo spionaggio al sentimentalismo puro e generalizzato, ovviamente per alleviare la storia in sé.

A distanza di tre anni, la Illumination riesce a sviluppare l’animazione rendendola migliore del primo film. La regia rimane la stessa del capitolo precedente e quindi l’esecuzione sembra uguale al primo, quindi esilarante e non troppo articolata. Anche la sceneggiatura è stata scritta dagli stessi del primo capitolo e quindi riescono a confermare la stessa enfasi, nella lavorazione e stesura della vicenda completa. Anche per la colonna sonora, confermati Pharrell Williams e Heitor Pereira. Aggiungo che, ormai, il protagonista assume un carattere diverso da come si era preannunciato e con l’aiuto di Lucy, lo migliora ulteriormente e diventa persino collaborativo nel battere il crimine, a suo modo. Considero il personaggio femminile doppiato da Arisa, una seconda protagonista e un’aiutante per Gru e nel rimettersi in gioco. I “Minions” continuano ad essere personaggi fondamentali, soprattutto in questo capitolo, diventando persino cavie del male da combattere. 

Il film è esilarante in tutta la sua composizione, la colonna sonora di Williams e Pereira accompagna le scene nel giusto modo e il film, appunto, riesce a trasmettere l’evoluzione nel carattere del protagonista. Inoltre la storia assume degli aspetti che vanno dallo spionaggio al sentimentale, quindi attraversa anche vari generi oltre a quello di semplice film d’animazione. È un film che rimane nell’enfasi della semplicità e dell'intrattenimento per il pubblico a cui è rivolto. Inoltre sono convinto che abbia coinvolto ancora più persone del previsto. Per questo piace e per questo, ogni volta che lo rivedo, mi immergo nel pieno continuo di una saga che sta nient’altro che scalando le classifiche di film più lucroso e con maggior incasso. Ovviamente non finisce qui...

martedì 24 settembre 2024

Arrivano nelle sale Gru e i Minions



Recensione redatta da Valerkis

Vorrei condividere con voi la recensione del primo capitolo della saga di “Cattivissimo Me”, in occasione dell’uscita del nuovo capitolo avvenuta il 21 agosto scorso e così vorrei riproporre i capitoli precedenti, attraverso le mie recensioni e arrivando infine a quella sul nuovo capitolo.

Era il 2010 e nelle sale arrivò una nuova casa di produzione, la Illumination di Chris Meledandri, che ha deciso di produrre una nuova saga di film d’animazione. È stato nella top 10 dei film con maggior incasso nel 2010 ed è stato presentato in Russia, per la prima volta, al Festival Internazionale di Mosca. Benvenuti nella saga di “Cattivissimo Me”.

Conosciamo così Gru (doppiato in Italia da Max Giusti), un cattivo che ha compiuto dei furti, ma con poco successo e vive le sue giornate, compiendo piccole cattiverie e mostrando il suo essere “cattivissimo”. Nella sua casa ci sono altri personaggi a fargli compagnia nei propri furti, il prof.Nefario e i “Minions”, quei piccoli esseri gialli che collaborano con Gru nel compiere le sue cattiverie, ma soprattutto sono quei personaggi in grado di avere un ruolo fondamentale all’interno della vicenda e in tutta la saga (diciamocela tutta). Il protagonista ha intenzione per il suo prossimo colpo, quello di rubare la Luna. Un gioco da ragazzi, no? Ma ci saranno tre bambine che subentreranno nella sua vita: Margo, Edith e Agnes, che serviranno a Gru per raggiungere il suo scopo, ma poi si rivelerà come la loro presenza abbia cambiato, in una maniera, il carattere interiore del protagonista. In tutto ciò, ci sarà Vector, il nuovo cattivo in circolazione, a mettere gli ostacoli tra i piedi a Gru.

Vorrei riservare un paragrafo ai “Minions”, perché sono coloro che, detto così, tengono in piedi tutta la saga. Diciamo come stanno realmente le cose, sono un fulcro nelle vicende che accadono in tutta la saga di “Cattivissimo Me” e perlopiù non ci avrebbero fatto uno “spin-off” su di loro, diventando così protagonisti. Così incomprensibili, spiritosi e ingenui, anche, intrattengono e divertono il pubblico a tutti gli effetti. Se li togliessero, la saga finirebbe, a mio parere!

Mi è piaciuto sicuramente, per il film d’animazione in sé, la vicenda non troppo elaborata ma vivace e divertente e i personaggi che sono stati tutti (più o meno) punti fondamentali per la costruzione della vicenda. La regia di Pierre Coffin e Chris Renaud (quindi in mano francese) non risulta troppo elaborata, ma precisa e semplicemente esilarante. La sceneggiatura scritta da Ken Daurio e Cinco Paul, è stata scritta con lo scopo di intrattenere principalmente il pubblico a cui si rivolge e per questo non risulta troppo elaborata, ma ben scorrevole e con una buona esecuzione nella descrizione delle varie scene. La colonna sonora firmata da Pharrell Williams, insieme a Heitor Pereira, rende tutto alquanto cattivo e anche sentimentale e tutto in chiave moderna e con stili musicali che si propongono tra il pop e l’hip-hop. Insomma, Pharrell lo adoro. Per quanto riguarda l’animazione, alla prima esperienza per la Illumination, è risultata graficamente alquanto un po’ “formosa”, almeno secondo me c’è una tendenza ad esaltare un po’ la forma. Però il movimento dei personaggi risulta, nel complesso, abbastanza fluido e comunque ben lavorato. Nel corso della storia, l’animazione rimane organica e sviluppata, quindi per nulla degenerante. La persona che ha creduto in tutto, ovvero Chris Meledandri, ha avuto a che fare con altri film d’animazione in passato e sa su cosa investire e ha dato così credito alle vicende di Gru e ai Minions, che sono diventati così dei personaggi unici e inimitabili nella storia dei film d’animazione. 

Vorrei ringraziare in tutto questo Sergio Pablos, il papà dei Minions e di tutti i personaggi della saga di “Cattivissimo Me” per come l’ha rappresentati e tutti quelli che hanno contribuito ad animarli e costruire così una saga che ha intrattenuto e fatto botteghino, coinvolgendo un enorme fetta di pubblico. 

Bisogna essere particolarmente cattivi per fare un po’ d’animazione, ma con il cuore, quello non va mai dimenticato a casa, perché state tranquilli che le cose bene non usciranno mai fuori. Ma non è questo il caso.

domenica 1 settembre 2024

Una famiglia borghese in preda alle proprie fragilità



Recensione redatta da Valerkis

Vorrei ripartire con le nuove recensioni da condividere sul blog, portando l’ultimo film di Marco Tullio Giordana, uscito il 22 agosto scorso nelle sale. Tornato in sala, appunto, dopo due mesi tra impegni di studio, personali e meritate vacanze estive, avevo bisogno di immergermi nuovamente nel luogo dove si possono cogliere emozioni in forme indescrivibili che solo l’arte del cinema ci può regalare. Si sa, Marco Tullio Giordana è un regista chiave del cinema italiano contemporaneo e quest’anno ci porta un film tratto dalla storia del romanzo omonimo di Mariapia Veladiano.

Al volo la trama: in una famiglia vicentina, la nascita di Rebecca scatena una reazione negativa e di sconforto, a primo impatto e c’è chi nasconde le proprie fragilità e chi non ne può fare a meno. Tutto per colpa di un angioma e la madre Maria, diventa chiusa e non vuole così affrontare la questione, mettendo in discussione ogni cosa. Il marito Osvaldo cerca in qualsiasi modo di aiutarla e come risollevare tutta la famiglia e poi c’è la zia Erminia, considerata la guida principale nei confronti di Rebecca, che la manda a scuola, le fa affrontare gli ostacoli della vita e le trasmette la passione per il pianoforte, diventando così un’eccellenza impeccabile.

Non vado oltre! Partiamo dalla stesura della sceneggiatura, scritta dal regista, Gloria Malatesta e da un pezzo forte del cinema italiano, Marco Bellocchio (è stato anche uno dei produttori del film); è stata una sceneggiatura che ha definito un’ambientazione lugubre, data la vicenda cupa e astratta alla quale ho assistito. Ma è stata anche intrigante, risaltando la drammaticità dei fatti e quella espressa dai personaggi. Le interpretazioni sono state tutte strabilianti per quanto riguarda quelle di Valentina Bellè (nei panni di Maria), Sonia Bergamasco (nei panni di Erminia) e le tre ragazze che hanno interpretato Rebecca nelle varie fasce d’età. Mi hanno fatto percepire pesantezza nella triste e difficile situazione ma anche l’ambizione da tirar fuori e mostrare nella vita per reagire e andare avanti. Paolo Pierobon (nei panni di Osvaldo), secondo me, doveva mostrarsi un po’ più credibile nell’interpretazione fatta, facendo percepire di più il dramma del personaggio. Anche la colonna sonora è stata fondamentale nell'accompagnare le varie scene (diretta da Dario Marianelli), come anche la fotografia e scenografia (curata quest'ultima da Luca Gobbi). 

Marco Tullio Giordana alla regia si è mostrato pienamente capace di portarci una vicenda che drammaticamente risulta coinvolgente, astratta e con un messaggio di ambizione da tramandare. Nell’uso dei primi piani e nella concezione di spazio, risulta in grado di essere predominante nel suo lavoro e portando in risalto l’astratto che ha caratterizzato il tutto e il finale, considerato personalmente diverso e inaspettato ma puramente surreale e bizzarro. Ammetto che mi ha messo un po' in difficoltà nella comprensione, ma tutto sommato posso confermare, quella di Giordana, una regia completa per un film intrigante e drammatico a livello totale. Lo consiglio, ma non cercate troppo l’aspetto drammatico. Alquanto individuate un lavoro completo che definisce la creatività e il saper lavorare con l’arte del cinema e menomale che nel Belpaese, ogni tanto si riesce a fare questo.

sabato 29 giugno 2024

Ritornano le emozioni…con nuove compagnie


Recensione redatta da Valerkis

Dopo nove anni, tornano nelle sale le emozioni più famose del cinema e sono quelle che hanno permesso alla Disney di produrre e distribuire un film d’animazione che parlasse di psiche e di aspetti emotivi che caratterizzano le persone. In questo sequel cosa mai potrebbe accadere? Prima cosa, ci sono nuove emozioni e…non sono per nulla rassicuranti e i loro nomi sono molto chiari: ansia, imbarazzo, invidia (vizio capitale) e noia. 

Riley ormai è diventata adolescente e si è ambientata a San Francisco e nella sua nuova squadra di hockey. Ci sono due nuove amiche, Bree e Grace che si trovano in squadra insieme e va tutto a gonfie vele, al punto di presentarsi un’occasione e di allenarsi come si deve in un campo estivo prima di entrare al liceo. Le tre ragazze partono e Riley punta ad entrarci, nonostante non siano facili superare le prove. Subentrano così le nuove emozioni e nel mentre avviene un cambiamento radicale all’interno del quartier generale. Avviene un cambiamento in Riley, determinando così la sua personalità.

Questo sequel è molto incentrato sulla protagonista in sé e quindi, dopo nove anni, hanno deciso di far proseguire la storia di Riley in base a ciò che sta costruendo per definire la sua personalità e inoltre sta diventando sempre più grande e si allontana dall’essere una bambina. Questo film considera l’aspetto della personalità e questo è importante, perché è tutto l’insieme che definisce l’essere di una persona e in base alle emozioni che predominano, si costruisce una personalità buona o cattiva. Un altro aspetto considerato in questo film è la dinamicità della storia e di come si struttura. Si affronta molto in cosa succede all’interno di Riley e quindi come le emozioni agiscono, sia dal punto di vista esilarante sia dal punto di vista drammatico. Questa volta troviamo i principali personaggi uniti nel salvare Riley, da eventuali predominanze negative che non la porteranno da nessuna parte, come a nessuno di noi. 

È molto realistica la storia e la parte finale è stata devastante, personalmente. È molto incentrato sull’ansia e sui brutti scherzi che ti fa compiere, rischiando di diventare incontrollabile e scatenare il peggio delle ipotesi. Bellissima, emozionante e devastante. Kelsey Mann alla regia, rende molto vivace questa storia che non ti annoia, ti diverte e ti fa riflettere come l’enfasi del primo è riuscita a trasmettere. Sicuramente c’è una netta differenza con il primo capitolo, anche perché mi è mancato Pete Docter, un nome di spicco per la Pixar, alla regia e qui lo troviamo in veste di produttore esecutivo; però Meg LeFauve alla sceneggiatura rimane e ci riporta la stessa tematica, la stessa enfasi anche se vivacizzata, date anche le circostanze capitate alla protagonista e alla moltitudine di emozioni che hanno elettrizzato tutto quanto.

La colonna sonora non rimane unica, è variata di molto rispetto al primo e Andrea Datzman ha fatto risaltare la vicenda grazie alla sua movimentata composizione e lasciando quel motivetto che il buon Giacchino ci ha impresso nella mente e non ce l’ha fatta togliere più.

Difficilmente critico il doppiaggio e l’unica nota che vorrei fare in questo ambito, per quanto riguarda il doppiaggio italiano, è la buona prova di Pilar Fogliati nella voce di Ansia. Mi è piaciuta molto e con la sua voce da perfetta imitatrice, è riuscita a personificare quella pessima entità che si chiama Ansia.



“Inside Out 2” ci ripropone ciò che aveva lasciato al pubblico quasi dieci anni fa e i protagonisti ritornano con una storia divertente, caotica e anche devastante per tutto ciò che succede, esternamente ed internamente (soprattutto). L’enfasi non è stata la stessa del primo capitolo, ma comunque similare e questo significa molto, come parlare di personalità, ansia incontrollabile e in qualche modo definirsi in una moltitudine di emozioni che definisce l’apprezzamento di una persona unica nel suo genere, come lo è Riley, come lo sono io e come lo sei tu. Come lo siamo tutti. 

Chissà…se già stanno anticipando un ipotetico terzo capitolo? Spero non se ne riparli tra altri nove/dieci anni, però.


venerdì 28 giugno 2024

Rappresentare la psiche emotiva con un film d’animazione



Recensione redatta da Valerkis

“Vi siete mai chiesti a qualcuno cosa gli passa per la testa?”. Penso ce lo chiediamo tutti quando stiamo con altre persone su come si comportano. L’esempio della protagonista Riley, è l’esempio di molti, se non di tutti.

La Disney e la Pixar, dopo vent’anni di collaborazioni nella produzione e distribuzione di film d'animazione, sono riusciti a portare una storia che mostra piena sintonia nel mostrare la psiche sulle emozioni e di come ci esponiamo nel quotidiano vivere. D’altronde “Inside Out” ci dovrebbe raccontare ciò che siamo dentro e quello che dimostriamo fuori.

Gioia, tristezza, disgusto, rabbia e paura sono nella testa di Riley e sono le principali emozioni che prova, soprattutto Gioia. Predomina parecchio nella vita di Riley e vuole che la protagonista vivesse positivamente le sue giornate (ragionamento inverso e reale: Riley vorrebbe essere sempre felice). Tristezza la ostacola spesso, finché per un incidente escono dal quartier generale e per finire nella memoria a lungo termine e intraprendere così un lungo viaggio nei corridoi della memoria di un essere umano, rimediando al danno causato e con l’aiuto di un personaggio buffo, simpatico e unico nel suo genere come Bing Bong, l’amico immaginario di Riley.

La regia di Pete Docter, in collaborazione con Ronnie Del Carmen, lascia impressa la sua firma in un altro prodotto Pixar dopo film bellissimi come “Up” e “Monsters & Co.”, essendo surreale per piccoli aspetti ma puramente realista e determinato su ciò che andava raccontato, risaltando le emozioni che ognuno di noi possa provare (ovviamente). La psiche emotiva non poteva essere rappresentata in maniera più semplice e diretta. I personaggi sono stati esaltanti, in ogni modo e comprendendo come la singola emozione assuma un proprio potere, positivo o negativo. Pete Docter, Meg LeFauve e Josh Cooley scrivono una sceneggiatura anch’essa diretta, non troppo articolata e portando una storia che passa dal divertimento al sentimentalismo puro e ponendo una riflessione da non tralasciare assolutamente. La colonna sonora di Michael Giacchino è iconica, una di quelle che rimangono nella memoria (a lungo termine) e che arricchiscono l’elenco delle colonne sonore più famose del cinema. 

Uscito dalla sala, ormai quasi dieci anni fa, rimasi pienamente colpito del risultato finale, che non è il classico film d'animazione fiabesco. È un bellissimo film d’animazione che porta la psiche al centro di tutto e soprattutto nella maniera più semplice e diretta per un pubblico più giovane, soprattutto. Senza dubbio è un film che coinvolge tutte le età e poi, più cresci e più analizzi molti aspetti che non noti alla primissima visione.

La vittoria del Premio Oscar nel 2016 per il miglior film d’animazione è la conferma di un ottimo lavoro nel complesso da parte di tutti, per portarci nelle sale una storia piacevole a tutte le età e parlando di psiche, emozioni e di come la mente di ognuno funziona e soprattutto raccontarla in maniera piuttosto semplice.


giovedì 13 giugno 2024

Ci siamo…è il momento di un nuovo film di Lanthimos


Recensione redatta da Valerkis

Siamo a due. Esatto, due film nel 2024 per Yorgos Lanthimos, che dopo un “Poor Things – Povere creature” surreale e strano ma così artistico, ci propone un film a tre. Un film con tre storie diverse ma con un soggetto in comune a tutte: un tizio misterioso chiamato R.M.F. e, a mio parere, in parte non ti fa capire il suo scopo nelle tre vicende, anche se ponendo una riflessione profonda, risulta essere una specie di “effetto farfalla” di tutte le situazioni capitate. Giudicate voi alla visione di questo film.

Una trama generale non esiste, perchè il film si divide in tre storie diverse e tre tematiche diverse: nella prima storia il protagonista Robert vive la propria vita controllata dalle decisioni prese da Raymond; la seconda, racconta di Daniel e del rapporto con Liz, sua moglie, che torna a casa dopo che è stata ritrovata dispersa a causa di un naufragio e si risalta l’aspetto intrinseco e psichico di Daniel che trova Liz diversa e questo lo porta a distruggersi e a distruggere ciò che lo circonda; la terza e ultima storia, racconta di una setta e del loro obiettivo.

Parlerei subito del cast: Jesse Plemons (Robert, Daniel e Andrew) è il principale partecipe delle prime due storie e mostra le giuste sensazioni provate negli attimi che determinano le vicende; Emma Stone (Rita, Liz, Emily) diventa la principale interprete nella terza storia, essendo comunque predominante anche nelle altre due e interpretando personaggi con differenti enfasi; Willem Dafoe (Raymond, George e Omi) assume predominanza soprattutto nella prima storia e per la sua elegante cattiveria l’ho apprezzato molto; Hong Chau (Sarah, Sharon, Aka) anche lei risulta capace di differenziare l’interpretazione in base al personaggio e altri due attori che predominano sono Margaret Qualley (Vivian, Martha, Ruth, Rebecca) e Mamoudou Athie (Will, Neil, infermiere). La Qualley accompagna efficacemente l’andamento dei fatti con la sua interpretazione e Athie poteva avere una parte piú centrale in tutte e tre le storie e invece rimane nel pieno spirito di personaggio che contorna i fatti avvenuti. 

Passerei al punto chiave della mia opinione, quella sulla regia e la sceneggiatura. La sceneggiatura scritta da Lanthimos e il suo collega di fiducia Efthymis Filippou, è ricca di dettagli per far risaltare ciò che queste tre storie devono trasmettere allo spettatore. Vizi, difetti, obbedienza, rapporti affettivi, crollo psicologico, sacrificio, sono molti dei fattori che arricchiscono questa storia. Una sceneggiatura che fa costituire un film di quasi tre ore, deve per forza lasciarti qualcosa e in questo ci sono riusciti. La regia di Lanthimos, ormai, la conosco pure troppo bene: folle, surreale che con la sua arte, merito anche della fotografia, del montaggio e del gioco di inquadrature, in tre vicende fa risaltare aspetti della società nel lato psicologico, relazionale e in base al contesto introdotto.

Non basterebbe, lo so, ma cosa altro ci sarebbe da dire? In fondo, cosa c’è da dire? Questa è la domanda. Vedetelo! Per rispondere bisogna vederlo, immergersi e definire le proprie conclusioni. Secondo me, è un film che merita perché mi ha interessato dal primo all’ultimo minuto e mi ha tenuto anche incollato alla sedia, guardando queste vicende rappresentate nel senso di ironia, surrealismo ed esaltazione della psiche dei personaggi che vivono nella nostra società. Un consiglio che vi posso dare, è cercare di cogliere il “sogno” e di come si esalta nelle tre storie. 

Grazie Lanthimos per essere così folle, surreale e che ancora una volta mi hai fatto uscire dalla sala, confuso ma colpito notevolmente da queste vicende, stranamente collegate tra loro. Merito anche di cast, fotografia, montaggio e colonna sonora, anch’essa bizzarra, folle ma affascinante.

giovedì 30 maggio 2024

Due poli si attraggono, si sa



Recensione redatta da Valerkis

Credo che la commedia italiana attuale, quando riesce, ci regala delle piccole sorprese. Questo è un caso. Il film diretto da Max Croci ha una storia assolutamente leggera, spensierata e non richiede molta attenzione nel seguirlo, ma ci sono dei particolari che rendono unica la vicenda e personalmente mi hanno colpito.

Stefano (Luca Argentero) e Claudia (Sarah Felberbaum) sono due poli opposti in persona: idee diverse e atteggiamenti diversi. Però date numerose circostanze, si attraggono e si uniscono, conoscendosi e comprendendo che tra loro c’è qualcosa di profondo nel rapporto passato e presente tra i due. L’unione finale è merito anche del fratello di Claudia, Alessandro (Giampaolo Morelli) e dal rapporto instaurato anche con il figlio di Claudia, Luca (Riccardo Russo).

Partiamo dai fattori che mi hanno fatto reputare questo film unico nel suo genere: innanzitutto Max Croci ha avuto sempre questa capacità di rendere ogni vicenda leggera a suo modo nel film che ha diretto, rendendola registicamente non troppo elaborata. Potrebbe essere una storia scontata dal punto di vista amoroso e posso darvi ragione, ma grazie ai caratteri contrastanti dei protagonisti e comuni al tempo stesso, si definisce il loro rapporto. Personalmente ho trovato anche una certa spensieratezza nell’interpretazione da parte dei protagonisti e la vicenda è stata resa così frivola, quasi da azzerare ogni pizzico di sotto dramma che può esserci in una commedia (in questo caso c’era Luca vittima di bullismo). 

Gli sceneggiatori sono ben otto e credo sia stata anche esagerata questa scelta, secondo me. Otto persone per scrivere una vicenda che trasmette leggerezza in un rapporto tra uomo e donna di puro contrasto ma così ravvicinato (vi risparmio l’elenco). Vi posso indicare chi ha scritto il soggetto però, Gianluca Ansanelli e Tito Buffulini. Si prendono in considerazione molte tematiche in una vicenda di neanche un’ora e mezza di durata: bullismo, amore, divorzio, complicità nei rapporti, diversità, difficoltà nel ruolo del genitore e così via. Luca Argentero si è dimostrato nella sua interpretazione pienamente proporzionato, modesto e semplice, per quanto gli riguarda. La Felberbaum è stata più incisiva nel rapporto tra i due, anche perché è stata la più schizzinosa, rigida e al contempo appassionata da chi la corteggiava. Comunque il personaggio di Argentero, alla fine, è stato un aiutante predominante per lei, nel lato amoroso e nel lato paterno nei confronti di Luca, avendo così finalmente un punto di riferimento. Morelli è stato un buon personaggio che ha fatto da spalla, soprattutto per Stefano e il resto dei personaggi, sono stati poco incisivi nella vicenda, tranne la produttrice televisiva Carolina (Grazia Schiavo).

Non vorrei criticare gli aspetti estetici, perché non ce n’è bisogno. Non sono stati troppo elaborati e particolari nel dettaglio. Semplici e definiti, come questo film si è mostrato nel complesso. 

Spero che in qualche modo possa arrivare il messaggio di come l’esordio alla regia di un lungometraggio per Max Croci sia stato buono, anche per rispecchiare l’etica di quella parte di commedia italiana che a noi, tutto sommato, potrebbe farci rilassare un attimo. Non vorrei andare troppo sul personale, ma ha lasciato impresso come quello era un periodo di pura spensieratezza, dove i tabù e i pregiudizi scatenati attualmente dai social non erano ancora diffusi su larga scala nei confronti della società e così da esserne influenzata. Ho apprezzato una vicenda che racconta tuttavia delle tematiche importanti, tra cui anche l’amore, nella maniera né troppo fiabesca né troppo elaborata. Piaciuto, apprezzato e da rivedere ancora. Alle coppie piacerà sicuramente, ne sono certo.


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